IN POCHE PAROLE …
Laddove manchi la l’accettazione dell’eredità, il Comune non può emettere un’ordinanza contingibile ed urgente nei confronti di un presunto erede per la messa in sicurezza di un immobile, ma deve attivare la procedura di cui all’art. 481, cod. civ.
A margine
Il caso – La vertenza riguarda l’impugnazione, volta ad ottenere l’annullamento, di un’ordinanza sindacale, contingibile e urgente, emessa ai sensi degli artt. 50 e 54 del Tuel, ai fini demolizione di un immobile e/o della messa in sicurezza di alcune sue parti.
Da premettere che l’ordinanza è stata indirizzata al ricorrente e ad altri soggetti in qualità di asseriti comproprietari, “eredi” per successione legittima, della madre defunta.
L’appellante afferma il proprio difetto di legittimazione passiva, considerato che:
- non ha mai accettato, né espressamente, né tacitamente, l’eredità, non avendo mai avuto il possesso diretto o indiretto dell’immobile;
- nemmeno la madre ha accettato l’eredità del rispettivo padre, primo proprietario del fabbricato;
- il Comune non ha fornito prova dell’accettazione dell’eredità da parte di nessuno dei soggetti sopra citati;
- sarebbe decorso il termine decennale di prescrizione del diritto di accettazione;
La sentenza
Sulla scorta degli arresti della giurisprudenza civile e amministrativa, il giudice ritiene la doglianza fondata.
Secondo la Cassazione, invero, “il fatto dei chiamati all’eredità che abbiano ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius, così come il fatto che essi si siano costituiti eccependo la propria carenza di legittimazione, non possono configurarsi come accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di atti pienamente compatibili con la volontà di non accettare l’eredità” (Cass. civ, VI L, ord. 13 dicembre 2018, n. 32241).
Analogamente, ad avviso dei tribunali amministrativi “poiché nelle successioni mortis causa, la delazione, che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, per la necessità anche di accettazione da parte del chiamato, chi agisce in giudizio nei confronti del preteso erede è onerato, in base al principio generale di cui all’art. 2697 c.c., dell’onere di provarne l’assunzione della qualità, non desumibile dalla sola chiamata all’eredità, ma conseguendo alla sua accettazione espressa o tacita. Ne deriva che la sua ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto convenuto in giudizio in detta qualità. Gli stessi principi debbono pertanto valere in relazione agli atti amministrativi adottati sulla base del presupposto dell’acquisto della qualità di erede, essendo onere dell’Amministrazione provare l’acquisto di detta qualità» (Tar Lombardia, Milano, IV, 20 dicembre 2023, n. 3129; Tar Piemonte, I, 23 novembre 2023, n. 937; Tar Campania, Napoli, V, 28 marzo 2018, n. 1963).
Da qui l’illegittimità di un’ordinanza comunale, impositiva verso gli eredi, dell’obbligo di provvedere all’esecuzione di lavori per la messa in sicurezza di un fabbricato, laddove l’Ente non fornisca prova dell’avvenuta accettazione di eredità, attraverso la presa di possesso dell’immobile.
Restano, infatti, privi di rilevanza tutti quegli atti che, ammettendo, come possibile, altra interpretazione, non denotino, in maniera univoca, un’effettiva assunzione della qualità di erede (cfr. Tar Abruzzo, L’Aquila, 12 aprile 2018, n. 130).
Nel caso di specie, non avendo il Comune dimostrato di aver acclarato l’avvenuta accettazione dell’eredità, il Tar accoglie il ricorso a annulla dunque l’ordinanza impugnata.
Con la precisazione che, in caso di pericolo per la pubblica incolumità, l’Ente può attivare, al fine di individuare i soggetti tenuti a eseguire le misure di messa in sicurezza, la procedura di cui all’art. 481, cod. civ., in base alla quale “chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare”.
Stefania Fabris