I piccoli Comuni possono sottrarsi alla gestione associata delle funzioni fondamentali se dimostrano che non realizza risparmi.

Corte costituzionale, sentenza 24 gennaio 2019, n. 33, Presidente Lattanzi, Redattore Antonini

A margine

Il fatto

Cinque Comuni campani e l’associazione ASMEL, impugnano davanti al Tar, la circolare del Ministero dell’interno del 12 gennaio 2015 n. 323, con la quale sono impartite ai prefetti indicazioni operative per procedere alla ricognizione dello stato di attuazione della normativa statale sull’obbligo di esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali da parte dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (o 3.000, se montani) e per diffidare i Comuni inadempienti.

I Comuni chiedono di accertare di non essere obbligati a quanto previsto dalle disposizioni di legge statale e regionale attuativa deducendo che la circolare ministeriale sarebbe affetta da illegittimità derivata a causa della illegittimità costituzionale della disciplina legislativa sulla cui base è stata adottata.

Il Tar Lazio, sezione prima ter, con ordinanza del 20 gennaio 2017  n. 1027, solleva quindi questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi da 26 a 31, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, anche come modificato dall’art. 19, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, e dell’art. 1, commi 110 e 111, della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 che, in attuazione delle disposizioni statali, individua la dimensione territoriale ottimale e omogenea funzionale all’esercizio associato, nonché le scadenze temporali per l’avvio di tale modalità di gestione.

Quanto sopra poiché:

  • la normativa statale si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 5, 77, secondo comma, 95, 97, 114, 117, primo comma – in relazione all’art. 3 della Carta europea dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985, ratificata e resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989, n. 439 – e sesto comma, 118, 119 e 133, secondo comma della Costituzione.
  • la normativa regionale contrasterebbe con gli artt. 3, 5, 95, 97, 114, 117, primo comma – in relazione all’art. 3 della Carta europea dell’autonomia locale – e sesto comma, e 118 Cost., per aver pretermesso il necessario coinvolgimento degli enti locali nella individuazione degli ambiti ottimali per l’esercizio associato delle funzioni fondamentali.

La sentenza

Ad avviso della Corte costituzionale la disposizione di cui all’art. 14, comma 28 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 che impone ai Comuni con meno di 5.000 abitanti di gestire in forma associata le loro funzioni fondamentali (trasporto pubblico, polizia municipale, ecc.) è incostituzionale là dove non consente ai Comuni di dimostrare che, in quella forma, non sono realizzabili economie di scala e/o miglioramenti nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento.

In particolare, secondo la Corte, l’obbligo imposto ai Comuni sconta un’eccessiva rigidità perché dovrebbe essere applicato anche in tutti quei casi in cui:

  1. non esistono Comuni confinanti parimenti obbligati;
  2. esiste solo un Comune confinante obbligato, ma il raggiungimento del limite demografico minimo comporta il coinvolgimento di altri Comuni non in situazione di prossimità;
  3. la collocazione geografica dei confini dei Comuni (per esempio in quanto montani e caratterizzati da particolari fattori antropici, dispersione territoriale e isolamento) non consente di raggiungere gli obiettivi normativi.

Si tratta di situazioni dalla più varia complessità che però, secondo la Corte, meritano attenzione perché il sacrificio imposto all’autonomia comunale non realizza quei risparmi di spesa cui è finalizzata la normativa stessa.

Inoltre la sentenza evidenzia che, rispetto al disegno costituzionale, l’assetto organizzativo dell’autonomia comunale italiana è da sempre relegato “a mero effetto riflesso di altri obiettivi”.

Una doverosa cooperazione da parte del sistema degli attori istituzionali, direttamente o indirettamente coinvolti, dovrebbe invece assicurare il raggiungimento del difficile obiettivo di una equilibrata, stabile e organica definizione dell’assetto fondamentale delle funzioni ascrivibili all’autonomia locale.

In proposito si ricorda come in altri Paesi (ad esempio in Francia) sono state trovate risposte strutturali al problema della polverizzazione dei Comuni, spesso attuando la differenziazione sul piano non solo organizzativo ma anche funzionale.

Per questi motivi la Corte costituzionale:

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dall’art. 19, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui non prevede la possibilità, in un contesto di Comuni obbligati e non, di dimostrare, al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, del Comune obbligato, non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 110 e 111, della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 sulla individuazione della dimensione territoriale ottimale e omogenea per lo svolgimento delle funzioni fondamentali, in quanto approvati in assenza della necessaria concertazione con i Comuni interessati.


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