Mancando un’espressa disposizione di legge nazionale, il servizio idrico integrato non può essere affidato in house a società partecipate anche da privati

Consiglio di stato, sezione I, parere n. 01389 del 7 maggio 2019Presidente Torsello, relatore Neri

Il quesito – La richiesta di parere, proveniente da una regione, concerne la possibilità o meno, per gli Enti di governo d’ambito, di affidare direttamente “in house”, ad una società partecipata anche da un soggetto privato, il servizio idrico integrato.

In materia convivono infatti disposizioni normative contrastanti, ovvero:

a) l’art. 149-bis, co. 1, del d.lgs. 152/2006 e s.m.i., (norma specifica per l’affidamento del servizio idrico integrato) secondo cui: “L’ente di governo dell’ambito … delibera la forma di gestione fra quelle previste dall’ordinamento europeo provvedendo … all’affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. L’affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale” nonchè,

b) l’art. 5, co. 1, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i. e gli artt. 2, co. 1, lett. o) e 16, c. 1, del d.lgs. n. 175/2016 e s.m.i., che consentono la partecipazione di soggetti privati alle società in house.

Permane quindi un dubbio sulla corretta interpretazione dell’art. 149-bis del Codice dell’ambiente dal momento che questa norma, nel prevedere che l’affidamento diretto debba avvenire nei confronti di “società interamente pubbliche”, rinvia, nello stesso tempo, all’ordinamento europeo, e, pertanto, indirettamente, per ciò che concerne i requisiti della gestione in house, anche agli artt. 5 del d.lgs. n. 50/2016 e 16 del d.lgs. n. 175/2016 che esplicitano tali requisiti nell’ordinamento italiano.

Di conseguenza occorre chiarire se sia possibile interpretare l’art. 149-bis, in conformità al diritto europeo vigente, ricomprendendo nelle “società interamente pubbliche” anche le “società parzialmente pubbliche” in possesso dei requisiti europei per l’affidamento diretto di un servizio di interesse economico generale, contemplati dalle direttive 2014/23/UE, 2014/24UE e 2014/25/UE e, per quel che riguarda l’ordinamento interno, dagli artt. 5 del d.lgs. n. 50/2016 e 16 del d.lgs. n. 175/2016.

Il parere – Il Consiglio di Stato ricorda che, in base all’attuale disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, le pubbliche amministrazioni possono sempre decidere di gestire direttamente un servizio a mezzo di un soggetto rispondente al modello in house providing, modello quest’ultimo da non confondere con quello delle società miste a partecipazione pubblico-privata.

Attualmente i requisiti dell’in house sono indicati nelle direttive europee 2014/24/UE, 2014/25/UE e 2014/23/UE, attuate nell’ordinamento nazionale con il d.lgs. n. 50/2016.

Per la configurazione del modello il codice richiede oggi tre requisiti: 1) controllo analogo; 2) oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata deve essere effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’ente controllante; 3) nella persona giuridica controllata non vi deve essere alcuna partecipazione diretta di capitali privati.

Il requisito della partecipazione pubblica è oggi divenuto autonomo rispetto a quello del controllo analogo e, nel contempo, le direttive europee hanno modificato, in parte, i tratti distintivi dell’in house consentendo astrattamente, nel rispetto di determinati presupposti, la partecipazione diretta di capitali privati, quale eccezione di stretta interpretazione alla regola della totale partecipazione pubblica.

Proprio sull’ammissibilità della partecipazione privata all’in house, i giudici di Palazzo Spada mettono in evidenza la differenza semantica tra le disposizioni introdotte con l’art 5, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016 e quelle introdotte con l’articolo 16, co. 1, del d.lgs. n. 175/2016.

Mentre, infatti, il Codice dei contratti fa riferimento a forme di partecipazione di capitali “previste” dalla legislazione nazionale, il TUSP considera ammessa una partecipazione al capitale sociale dei privati solo a condizione che la stessa sia “prescritta” da una disposizione di legge nazionale.

In tale contesto, prevale il d.lgs. n. 175/2016 in quanto “lex posterior” che, tra l’altro, utilizza la medesima espressione contenuta nella direttiva comunitaria. Occorre quindi che, a livello interno, la partecipazione sia “prescritta”, e non meramente consentita perché:

– i considerando n. 32 della direttiva appalti e n. 46 della direttiva concessioni espressamente affermano la necessità di una partecipazione non facoltativa, ma obbligatoria, in ragione di valutazioni effettuate dal legislatore interno;

– anche l’analisi comparativo-linguistica della direttiva conferma il significato forte dell’impiego del termine “prescritta” (Corte dei Conti, sez. controllo Campania, 108/2016);

a tali esiti, è giunto lo stesso Consiglio con il parere n. 968/2016, secondo cui la norma europea “non ha inteso autorizzare in generale la partecipazione dei privati ma ha rinviato alle specifiche disposizioni di legge che le «prevedono». Tale forma di rinvio deve però essere fatto a disposizioni di legge che “prescrivono” e dunque impongono la partecipazione e non anche a quelle che genericamente “prevedono” la partecipazione”.

Parimenti, la diversità nell’utilizzo della formula previste “dalla legislazione nazionale” recata dal d.lgs. n. 50/2016, in luogo di quella prescritta “da norme di legge” propria del d.lgs. n. 175/2016, è già stata chiarita dal medesimo giudice ammettendo la possibilità per fonti diverse da quelle statali – quali quelle regionali – di prevedere l’ingresso dei privati nel capitale delle società in house (Cfr Consiglio di Stato, parere 2583/2018) nelle materie oggetto di competenza legislativa delle regioni.

Fatte queste premesse, nell’esaminare il merito del quesito, il Consiglio di Stato sottolinea anzitutto l’esclusione del settore idrico dal campo di applicazione della direttiva 2014/23/UE e del codice dei contratti (considerando 40 e articolo 12 della direttiva 2014/23/UE e articolo 12 del codice dei contratti).

Il settore idrico rientra infatti nei c.d. settori speciali, per i quali si applica una disciplina più elastica e flessibile (art. 117 codice dei codice dei contratti) dovendo comunque osservare i principi relativi ai contratti esclusi di cui all’art. 40 del d.lgs. n. 50/2016.

Detto ciò, il Consiglio di Stato rammenta che, con l’articolo 1, comma 1, lett. Hhh), della legge n. 11/2016, il Parlamento aveva delegato il Governo a provvedere, tra l’altro, alla: “hhh) disciplina organica della materia dei contratti di concessione mediante l’armonizzazione e la semplificazione delle disposizioni vigenti, nonché la previsione di criteri per le concessioni indicate nella sezione II del capo I del titolo I della direttiva 2014/23/UE, nel rispetto dell’esito del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 per le concessioni nel settore idrico, introducendo altresì criteri volti a vincolare la concessione alla piena attuazione del piano finanziario e al rispetto dei tempi previsti dallo stesso per la realizzazione degli investimenti in opere pubbliche, nonché al rischio operativo ai sensi della predetta direttiva 2014/23/UE, e a disciplinare le procedure di fine concessione e le modalità di indennizzo in caso di subentro.

Tale delega non è stata tuttavia attuata, così comportando che, per il settore idrico, la disciplina di riferimento resta a tutt’oggi quella dettata dal d.lgs. n. 152/2006 e, in particolare, dall’art 149-bis per le forme di affidamento.

Questa disposizione, come detto, ammette la scelta tra le seguenti alternative:

a) esperire una gara per la scelta del concessionario-gestore privato cui affidare la gestione del servizio idrico;

b) costituire una società mista, con socio privato, cui conferire la gestione del servizio, a condizione che la gara per la scelta del socio sia preordinata alla individuazione del socio industriale od operativo che concorra materialmente allo svolgimento del servizio pubblico nel rispetto del d.lgs. n. 175/2016, del d.lgs. n. 152/2006 nonché della giurisprudenza comunitaria (Corte UE, sez. III, 15 ottobre 2009 C196/08) e nazionale;

c) effettuare un affidamento a società in house rispettando le condizioni richieste dalla disciplina europea.

Conclusioni – Chiarito che la partecipazione dei privati al capitale di una persona giuridica controllata è ammessa solo se “prescritta” espressamente da una disposizione legislativa nazionale, e a condizione che si tratti di una partecipazione che non comporti controllo o potere di veto e che non conferisca un’influenza determinante sulle decisioni della medesima persona giuridica, il Consiglio di Stato nega la possibilità di potere procedere con l’affidamento in house del servizio idrico.

Nel caso di specie, infatti, la norma di riferimento resta l’articolo 149-bis del codice dell’ambiente, che chiaramente esclude l’affidamento in house a società partecipate anche da privati; manca, inoltre, nell’ordinamento nazionale, una disposizione di legge che espressamente prescriva la partecipazione dei privati alla società.

Ne consegue che, sino a quando una specifica disposizione di legge nazionale (diversa dagli articoli 5 del d.lgs. n. 50/2016 e 16 del d.lgs. n. 175/2016) non prescriverà la partecipazione privata alla società in house (indicando anche la misura della partecipazione, la modalità di ingresso del socio privato, il ruolo all’interno della società e i rapporti con il socio pubblico) l’apertura dell’in house ai privati deve ritenersi esclusa.

Il richiamo all’“ordinamento europeo” contenuto nell’articolo 149 bis del d.lgs. n. 152/2006 non consente di giungere a conclusioni diverse, proprio perché è lo stesso ordinamento europeo a imporre una specifica norma nazionale che prescriva e disciplini la partecipazione dei privati alle società in house.

Tale specifica disposizione di legge dovrà essere partorita dal legislatore nazionale trattandosi di competenza rientrante nella materia della “tutela della concorrenza”, riservatagli ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. e), Cost.

Stefania Fabris


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