IN POCHE PAROLE…

I parametri per bilanciare l’aspettativa del privato alla conservazione dell’utilità legittimamente acquisita, sulla base di un atto emesso dalla PA, con le successive esigenze dell’ordinamento alla tutela degli interessi generali: ragionevole fiducia nel mantenimento dell’aspettativa, grado di prevedibilità della modifica legislativa,  ragione sottesa all’intervento normativo in materia e proporzionalità tra la nuova normativa e l’obiettivo perseguito dal legislatore.


Consiglio di Stato, Ad. Plen, sent. 5 agosto 2022, n. 9  Pres- F. Frattini- Est F. Di Matteo


A margine

L’ordinanza di rimessioneCon l’ordinanza n. 1672/2022, la Settima Sezione del Consiglio di Stato rimetteva all’Adunanza Plenaria la decisione su una controversia sorta a seguito dell’introduzione dell’art. 1, comma 458, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, secondo il quale: “L’articolo 202 del Testo Unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 e l’articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sono abrogati. Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall’incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità”.

In particolare, si trattava di capire “se le disposizioni normative di cui all’art. 1, commi 457 e 458, della l. n. 147 del 2013, nonché quelle di cui all’articolo 8, comma 5, della legge n. 370 del 1999 (nel testo vigente) [fossero] applicabili anche ai componenti cc.dd. laici del Consiglio superiore della Magistratura (con la conseguenza di rendere inapplicabili nei loro confronti l’istituto dell’assegno ad personam), ovvero se questi ultimi siano esclusi dalla applicazione delle norme ivi contenute, anche in ragione del particolare munus ad essi affidato (art. 104, comma 4, Cost.)”. E, in caso di risposta affermativa al primo quesito, “se le disposizioni normative de qui bus [fossero] applicabili ai ratei da corrispondersi a partire da 1°febbraio 2014, anche se il conferimento dell’incarico di componente c.d. laico del Consiglio superiore della Magistratura [fosse] avvenuto antecedentemente alla data di entrata in vigore della l. n. 147 del 2013”.

Si trattava di un caso del tutto peculiare ed estremamente interessante, per una più approfondita comprensione del quale è necessario operare un, sia pur breve, rinvio al concetto ed alla nozione giuridica di retroattività.

La c.d. retroattività impropria A livello generale, si tende a distinguere tra due forme di retroattività: propria ed impropria.

La prima ipotesi è tipica di quelle disposizioni normative che collocano i propri effetti anteriormente alla data di loro pubblicazione. Il secondo caso si verifica, invece, laddove il dettato legislativo produca effetti nel futuro in relazione, però, a fatti verificatisi nel passato.

Il comma 458 dell’art. 1 della legge di stabilità 2014 rientra in questa seconda categoria.

Anzitutto, considera un fatto generatore di un rapporto giuridico, ossia la cessazione dall’incarico di consigliere laico del CSM, che si è verificato anteriormente alla sua entrata in vigore.

Al tempo stesso, quel medesimo rapporto giuridico era disciplinato da una previgente disciplina, rispetto alla quale ne viene in seguito introdotta una nuova a cui le parti sono sottoposte a partire dalla sua entrata in vigore, ivi ricompresi i professori universitari che, una volta cessato il rispettivo incarico, siano rientrati nei ruoli dell’università di provenienza. Quest’ultimo punto trova conferma nel richiamo contenuto nel comma 459 all’art. 8, comma 5, della l. n. 370/1999, che prevedeva un’analoga regola per il rientro nei ruoli universitari per l’aver svolto incarichi diversi da quello qui in esame.

Si ha, dunque, un rapporto regolato diversamente a partire da un certo intervallo temporale; un cambiamento di disciplina che è, però, peggiorativo del trattamento, in primo luogo economico, del dipendente pubblico.

Nella fattispecie in esame, andava quindi accertata la possibile sussistenza di un contrasto con il principio del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, quale limite a scelte legislative modificative di rapporti giuridici in corso di svolgimento. Nel caso di specie, tale principio tutelerebbe l’aspettativa del dipendente pubblico alla conservazione dell’utilità legittimamente acquisita sulla base di un atto emesso dalla Pubblica Amministrazione.

Non si tratta, però, di un limite assoluto ed inderogabile, dovendosi piuttosto procedere ad un giudizio di ragionevolezza della disposizione introdotta.

Il percorso ermeneutico del Giudice delle leggiNegli anni, la Corte Costituzionale ha elaborato un preciso percorso ermeneutico al fine di comprendere in quali ipotesi sussista un corretto bilanciamento tra le opposte esigenze del privato e del legislatore.

Si possono distinguere tre momenti successivi.

In primo luogo, è necessario compiere una verifica sull’aspettativa del privato alla conservazione inalterata della sua situazione soggettiva per l’intera durata del rapporto. Nello specifico, essa deve risultare giustificata al momento in cui sopravviene la modifica normativa.

Un tale esito si ha a fronte di una posizione adeguatamente consolidata per essersi protratta per un tempo ragionevolmente lungo (Corte Cost. n. 108/2019) e se la modifica peggiorativa non era prevedibile, perché la situazione soggettiva è sorta in un contesto giuridico atto a fare sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento (Corte Cost. n. 16/2017).

A questo punto, alla luce di un legittimo affidamento, l’accertamento procede prendendo in riferimento la c.d. “causa normativa adeguata”, ossia la ragione sottesa all’intervento normativo in materia.

Da ultimo, va rispettato anche il limite della proporzionalità tra la nuova normativa e l’obiettivo perseguito dal legislatore.

La questione controversa – Tornando alla fattispecie controversa sottoposta all’attenzione dell’Adunanza Plenaria ed applicando alla stessa i criteri poc’anzi esposti, sembrerebbe potersi ritenere legittima l’aspettativa dei consiglieri laici alla conservazione del favorevole trattamento economico in loro godimento all’entrata in vigore nella nuova disciplina. Al tempo stesso, però, non può nascondersi come la stessa normativa di recente introduzione risponda a degli interessi di carattere generale: se, venendo meno l’assegno ad personam, si persegue un’esigenza di contenimento della spesa pubblica, si ha al contempo anche un’eliminazione delle ragioni di differenziazione dei trattamenti economici all’interno della stessa amministrazione, attraverso la previsione per cui alla cessazione dell’incarico verrà corrisposto al dipendente “un trattamento economico pari a quello attribuito al collega di pari anzianità”, dando in tal modo alle due carriere, quella interna all’amministrazione e quella svolta nell’adempimento del proprio incarico esterno, pari dignità quanto alla maturazione del trattamento economico.

Un’altrettanto rilevante applicazione e rispetto del principio espresso dall’art. 3 della Costituzione si ha considerando nel dettaglio le categorie di soggetti che possono ricoprire la carica di consigliere laico del Consiglio Superiore della Magistratura. Infatti, attraverso l’introduzione del comma 458 si viene a creare un unico trattamento dei consiglieri eletti dal Parlamento alla cessazione dell’incarico, a fronte delle molteplici discipline prima esistenti e differenziate in ragione della categoria di provenienza al momento dell’elezione.

L’art. 1 della legge n. 312/1971 prevede che: “Ai componenti del Consiglio Superiore della Magistratura eletti dal Parlamento è corrisposta, all’atto della cessazione dalla carica per decorso del quadriennio un’indennità di importo complessivo pari all’ultimo assegno mensile corrisposto moltiplicato per dodici”.

A sua volta, l’art. 3, comma 2, del medesimo dettato normativo recita: “L’attribuzione dell’assegno personale di cui al comma precedente esclude la concessione dell’indennità di cui all’art. 1 della presente legge”.

Dal combinato disposto delle disposizioni richiamate derivava l’assunto per cui i professori universitari, essendo già depositari dell’assegno personale, venivano esclusi dal percepimento anche dell’indennità indicata nell’art. 1, che veniva invece riconosciuta agli avvocati eletti consiglieri del CSM, dal momento che questi ultimi non potevano godere dello stesso trattamento economico dei colleghi.

Una situazione ora superata, spettando ad entrambe le figure professionali la medesima indennità alla cessione dalla carica.

Infine, ripercorrendo l’ultimo dei tre profili precedentemente evidenziati, si può mettere in luce come la misura introdotta dal comma 458 appaia rispettosa del principe di proporzionalità. L’appellato, privato di un surplus di retribuzione riferita ad un incarico ormai passato, “non sopporta alcun onere individuale eccessivo”, di modo che può ben dirsi raggiunto il giusto bilanciamento tra interesse generale e diritti fondamentali della persona.

Conclusioni – Alla luce di quanto esposto, l’Adunanza Plenaria conclude dunque affermando che le nuove disposizioni si applicano ai ratei da corrispondersi a partire dal 1° febbraio 2014, “anche se il conferimento dell’incarico di componente c.d. laico del CSM sia avvenuto antecedentemente alla data di entrata in vigore della l. n. 147 del 2013 e senza che ciò comporti lesione del legittimo affidamento maturato dal consigliere”.

dott. Alessandro Sorpresa


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