Ampliamento dell’ambito di applicazione delle autodichiarazioni sostitutive di atti e documenti amministrativi in relazione alle istanze di benefici e agevolazioni Covid-19. Limitazione del potere di autotutela della PA sugli atti adottati, sempre in relazione all’emergenza epidemiologica. Disposizioni a regime per rafforzare il divieto per le pubbliche amministrazioni di chiedere documenti e informazioni in loro possesso, per irrobustire il sistema dei controlli sulle autodichiarazioni e aggravare il sistema sanzionatorio di quelle mendaci.

Sono queste, in sintesi, le novità contenute nell’art. 264 del  decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, battezzato “Decreto Rilancio”.

Prima di entrare nel dettaglio delle nuove disposizioni, è opportuna una breve premessa.

Premessa –  Le diposizioni sulle autodichiarazioni fanno parte del nostro ordinamento ormai da diversi anni, ma per il legislatore non sono sufficienti a semplificare e accelerare i procedimenti e, quindi, sente di continuo la necessità, di ritoccarle, senza curarsi però nè di rafforzare, sotto l’aspetto operativo, il sistema dei controlli, che non ha funzionato e non funziona, e neppure di formare i dipendenti pubblici che dovrebbe applicare le norme e controllare le autodichiarazioni.

Eppure, l’art. 18 della L. 241 del 1990 è chiaro e di facile lettura: “ 2. I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L’amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. 3. Parimenti sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare”.

Altrettanto chiaro è l’art.  43 del DPR  n. 445 del 2000, secondo cui “Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché’ tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell’interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato”.

Lo stesso dicasi per le altre disposizioni dello stesso DPR  n. 445 del 2000 in questo ambito: (i)  gli articoli dal 46 al 49, sulle dichiarazioni sostitutive; (ii) l’articolo 73 sull’assenza di responsabilità per le pubbliche amministrazioni e i suoi dipendenti per avere proceduto sulla base delle autodichiarazione (salvo dolo o colpa grave); (iii) gli articoli dal 73 al 76 sul sistema sanzionatorio per i dipendenti pubblici che richiedano o accettino certificati o atti di notorietà, oppure rifiutino le  autodichiarazioni.

Risale addirittura al 2012 la novella dell’art. 40 dello stesso DPR n. 445 del 2000 (in vigore dal 30 giugno dello stesso anno per effetto di proroga), secondo cui  agli uffici pubblici è  vietato rilasciare certificati da esibire ad altre pubbliche amministrazioni ed ai gestori di pubblici servizi e che sanziona con la nullità i certificati privi della  la dicitura: “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi” (art. 40 del DPR n. 445, come modificato dall’art. 15, co 1, lett. a) della L. 183/2011).

Nonostante queste disposizioni, chiare e di facile lettura, da tempo presenti nel nostro ordinamento, ancora oggi alcuni uffici, anche di rilevanza nazionale, richiedono i certificati di cui sono in possesso le pubbliche amministrazioni e, all’obiezione degli interessati, rispondono che hanno ragione, ma se producono i documenti, il procedimento si velocizzza.

Cosa non funziona? La risposta alla domanda è semplice, la soluzione al problema è difficile, ma possibile. Non funziona la collaborazione fra le pubbliche amministrazioni interessate e il sistema dei controlli sulle autodichiarazioni, sui quali lo stesso art. 264 del D.L. “Rilancio” interviene, ma in modo debole e criticabile nella parte cui aggrava di molto la responsabilità dei privati. La soluzione sarebbe di non perdere tempo a modificare di continuo le norme, ma preoccuparsi di fare funzionare quelle in vigore, richiamando al loro dovere le pubbliche amministrazioni che non collaborano nello scambio delle informazione e gli uffici pubblici che non eseguono i controlli, due comportamenti deteminanti per il successo delle semplificazioni in materia di dichiarazioni sosttutive di certificati e attestati di notorietà.

 Le disposizioni transitorie – L’art. 264 del D.L. “Rilancio”, rubricato “Liberalizzazione e semplificazione dei  procedimenti  amministrativi in relazione all’emergenza COVID-19”, contiene alcune disposizioni valide fino al 31 dicembre 2020, altre a regime proprio sulle autodichiarazioni sostitutive di certificati e di atti di notorietà, e altre ancora transitorie ma con possibili efftti permanenti, relativi agli interventi edilizi necessari per le opere di sicurezza imposte dall’emergenza Covid-19.

In particolare, il comma 1 dell’art. 264 amplia fino al 31 dicembre 2020 l’ambito delle autodichiarazioni sostitutive di atti e documenti amministrativi in relazione alle istanze di benefici e agevolazioni legate all’emergenza Covid-19.

Riduzione del potere di autotutela – Non solo. Il comma 1 riduce da diciotto a tre mesi il tempo a disposizione dell’Amministrazione per annullare, in sede di autotutela, gli atti adottati e i vantaggi economici concessi  se sussistono ragioni di pubblico interesse, ai sensi degli artt. 19 e 21-nonies della n. 241 del 1990. Tale limite temporale per rimuovere l’atto illegittimo con effetti ex tunc, non si applica solo se gli atti e i benefici sono stati decisi  in base a “false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenze di condanna passate in giudicato”. come già dispone l’art. 21- nonies della legge n. 241.

La disposizione in esame, sempre fino a tutto il 2020, limita anche il potere di revoca: le pubbliche amministrazioni possono rimuovere i benefici e le agevolazioni concesse per il Covid- 19, con effetto stavolta ex nunc, solo per ragioni sopravvenute  eccezionali di interesse pubblico.

Disposizioni transitorie ma con possibili effetti permanenti –  L’art. 264 introduce al comma 1, lett. f) alcune misure di liberalizzazione per gli interventi edilizi, contingenti  e temporanei, necessari ad assicurare l’osservanza delle misure di sicurezza prescritte per fronteggiare l’emergenza epidemiologica,di regola destinate ad essere rimosse con la  fine  dello  stato  di emergenza ma che il privato può richiedere di mantenere, se  conformi sotto l’aspetto urbanistico.

Per tali interventi, non sono richiesti titoli edilizi o altri atti di assenso, salvo quelli, eventualmente richiesti dalla Parte II del  Codice dei beni culturali e paesaggistici n. 42 del 2004. Il privato, tuttavia, può chiedere il rilascio dei prescritti permessi, autorizzazioni o atti di assenso.

Per la realizzazione delle opere contingenti e necessarie,diverse da quelle rientranti nell’ambito dell’articolo 6 del  DPR. n.  380 del 2001, sulle attività edilizie libere, occorre la previa comunicazione all’amministrazione comunale di avvio dei lavori, asseverata da un tecnico abilitato e corredata da  una  dichiarazione del soggetto interessato che, ai sensi dell’art. 47 del  D.P.R. n. 445 del 2000, attesta  che  si tratta di opere necessarie per ottemperare alle misure di  sicurezza prescritte per fronteggiare l’emergenza sanitaria da  COVID-19.

In realtà, l’art. 6 del TU edilizia prevede già fra le attività libere “le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all’amministrazione comunale” (lett. e-bis, aggiunta dal D.L. 133/20014). Rispetto alle tipologie di interventi della lett. e-bis) dell’art. 6, quelli provvisori di ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per il COVID non sono soggette neppure alla previa comunicazione all’amministrazione comunale. Se però sono diversi da quelli di manutenzione ordinaria o comunque rientranti fra le attività libere, richiedono non solo la comunicazione all’amministrazione comunale, ma anche l’asseverazione da parte di un tecnico abilitato e un’autodichiarazione dell’interessato circa la loro necessità per assicurare l’osservanza delle misure di sicurezza Covid-19.

Gli effetti permanenti –  Come anticipato, l’interessato può chiedere il mantenimento delle opere edilizie realizzate, se conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, con istanza da presentare entro il 31 dicembre 2020. La richiesta di mantenimento delle opere è assentita, previo accertamento della loro conformità, entro sessanta giorni dalla presentazione con provvedimento espresso, con esonero dal contributo di costruzione eventualmente previsto.

 Le disposizioni a regime – L’art. 264 prevede anche una serie di disposizioni dirette a valere senza limiti temporali e in via generale, finalizzate sempre a semplificare i procedimenti diretti all’attuazione delle misure di “sostegno” a cittadini e imprese e di “rilancio” dell’economia.

La tecnica legislativa  è quella della novella del DPR n. 445/2000, nella parte in cui tratta dei controlli sulle autodichiarazioni e delle conseguenze delle conseguenze anche penali per le dichiarazioni mendaci.

Sanzioni L’art. 264, comma 2, lett. a) prevede, infatti, oltre alla “decadenza” dal beneficio prevista dall’art. 75, l’espressa previsione:

  • della“revoca degli eventuali benefici già erogati senza limiti temporali:
  • il divieto di accesso a contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo di due anni decorrenti da quando l’amministrazione ha adottato l’atto di decadenza”.,
  • l’inasprimento delle sanzioni penali da un terzo alla metà.

Interessante l’introduzione della possibilità da parte del privato di richiedere conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con  le  risultanze dei dati detenuti dalle le pubbliche amministrazioni. Meno comprensibile è l’avere subordinato tale chance del privato ad un accordo fra le pubbliche amministrazioni, ossia fra quella che procede e quella che detiene i dati.

 Livelli essenziali – L’art. 264 chiude con la disposizione del comma 4 che include le disposizioni nell’ambito dei  livelli essenziali delle  prestazioni, che, trattandosi di materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato di  cui  all’articolo  117,  comma  2, lettera  m),  della  Costituzione,   prevalgono  su   ogni diversa disciplina regionale.

 Conclusioni – L’intento di semplificazione e accelerazione dei tempi dei procedimenti perseguito dall’art. 264 del D.L. “Rilancio” è senz’altro condivisibile specie in questo periodo, ma si scontra  ancora una volta con l’incapacità (spesso con l’impossibilità oggettiva) dei dirigenti e responsabili degli uffici preposti di attivare  un efficace sistema di controlli.

In altri termini, semplificare ed accelerare affidandosi alla responsabilità dei privati e delle imprese è la strada giusta, ma solo a condizione che il sistema dei controlli amministrativi sulla veridicità delle autodichiarazione rilasciate funzioni e sia efficace. Diversamente i “furbetti” avranno la possibilità di farla franca, garantiti dall’inefficienza della pubblica amministrazione.

Come è successo e succede di continuo, il pericolo è ancora una volta che la violazione delle regole assuma forme patologiche proprio a causa della mancanza di un sistema effettivo di verifiche e controlli da parte della P.A., e l’aggravamento delle sanzioni somigli sempre più alle famose ed inutili “grida manzoniane”.

Questa “cattiva amministrazione” radica la convinzione di impunità in chi per conseguire benefici e vantaggi che non gli competerebbero è propenso ad accettare il basso rischio di essere scoperto, sapendo che ha un’alta probabilità di farla franca, proprio grazie alla mancanza di controlli, sistematici, seri ed estesi.

Giuseppe Panassidi, avvocato in Verona

 


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