IN POCHE PAROLE…

Dal golden share” al conferimento allo Stato di alcuni veri e propri poteri pubblici (“golden power” ), che  prescindono dal possesso statuale di una determinata partecipazione azionaria nella società coinvolta nel caso di specie: presupposti, limiti,  finalità per l’esercizio del potere speciale  di veto nei chiarimenti del Giudice amministrativo. 

 


TAR Lazio, sez. I, sentenza 13 aprile 2022, n. 4488, Pres. Antonino Savo Amodio- Est. Lucia Maria Brancatelli.


L’esercizio dei poteri  speciali  ex d.l. n.21/2012 (“golden power”),  ponendo delle limitazioni ai principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali, deve trovare la sua giustificazione nel perseguimento del fine legislativo di consentire l’intervento statale qualora l’operazione societaria possa compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale.

L’esercizio dei suddetti poteri non può riguardare asset non  “strategici”, ma può incidere solo su beni considerati di rilevanza strategica.

Le valutazioni ampiamente discrezionali, sottese alla decisione di procedere al concreto esercizio dei poteri speciali costituiscono scelte di alta amministrazione, come tali sindacabili dal giudice amministrativo nei ristretti limiti della sussistenza di una manifesta illogicità delle decisioni assunte.


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L’intervento dello Stato in economia

I profili tipizzanti l’evoluzione economica di un Paese sono strettamente correlati con l’azione ed il ruolo in esso ricoperto dall’apparato statuale. L’intervento pubblico intreccia la vita economica della collettività di riferimento per mezzo di molteplici strumenti. Basti pensare alle politiche fiscale e monetaria, alla tutela del risparmio, alla promozione della concorrenza, nonché alla stessa partecipazione pubblica in imprese che offrono beni e servizi.

Sotto quest’ultimo profilo, la letteratura maturata in materia ha evidenziato come un tale fenomeno sia cresciuto fortemente a seguito della crisi del 1929. Pochi anni più tardi, nel 1933 è stato creato l’Iri per il salvataggio delle imprese in crisi. Successivamente, lo Stato ha anche iniziato ad investire direttamente in diversi settori, con particolare riguardo ai comparti chimico, petrolifero ed elettrico.

Con il tempo, vincoli di bilancio, scarsi incentivi alla massimizzazione del profitto ed una cattiva allocazione delle risorse hanno determinato una crisi dell’imprenditoria italiana di Stato ed un accumulo di perdite solitamente ripianata dal bilancio pubblico.

Seguendo spinte di fonte europea, per far fronte alle nuove sfide della globalizzazione, della tecnologia e, più avanti, della moneta unica, il Governo ha iniziato un programma di privatizzazioni. La posizione centrale ed il peso dello Stato tornano, però, ad assumere maggior rilevanza dopo il fallimento della Lehman Brothers. In Italia, così come in altri Paesi, gli interventi pubblici dell’epoca si sono concentrati in operazioni di salvataggio in molti settori, tra i quali quello bancario, del trasporto aereo ed automobilistico. Interventi attivi di politiche di welfare, in risposta ad un crescente sentimento di insoddisfazione collettiva. Non a caso, in dottrina alcuni autori hanno parlato di politica industriale, da un lato, come argine a derive populiste, e, dall’altro, come espressione di uno Stato innovatore e motore di sviluppo.

Negli anni più recenti, sullo scenario geo-politico globale si è affacciata una violenta crisi pandemica, che ha avuto modo di vedere e tuttora vede una forte risposta pubblica, oltre che privata, di cui in seguito saranno approfonditi i profili anche di carattere normativo.

L’intervento pubblico è fattore cruciale per garantire un ordinato coordinamento degli investimenti, superare le difficoltà del mercato del credito e fornire capitali necessari per uno sviluppo del Paese. Un intervento che richiede, però, di essere inquadrato entro, nei limiti del possibile, precisi confini di legalità.
A questo riguardo, tra gli interventi significativi del legislatore degli ultimi anni vi è la disciplina innovativa in materia di poteri di intervento dello Stato in caso di operazioni straordinarie riguardanti “imprese strategiche” attive, a seconda dei casi, nei settori della difesa e della sicurezza nazionale nonché delle comunicazioni, energia e trasporti  D.L. n. 21/2012, convertito dalla legge n. 56/2012, a riforma del precedente D.L. n. 332/94, convertito con L. 474/94 (già riformato peraltro anche nel 2003). Una normativa che è stata adottata mediante una procedura d’urgenza, al fine di razionalizzare e circoscrivere gli ambiti ed i criteri di esercizio dei poteri statali nonché di risolvere le problematiche derivanti dal proliferare del contenzioso comunitario per il precedente regime.

Le novità del Decreto Legge n. 21/2012

Con il D.L. n. 21/2012 si abbandona il precedente principio della “golden share”, passando al conferimento allo Stato di alcuni “golden powers” di carattere generale. Tali poteri consistono, sussistendo le condizioni previste, nella facoltà di opporsi e/o porre il veto e/o dettare condizioni alla realizzazione delle operazioni straordinarie.

Precedentemente, con l’espressione “golden share” si faceva riferimento a quell’apparato normativo diffusosi soprattutto a seguito del richiamato processo di privatizzazione di imprese pubbliche. Esso consisteva nell’attribuzione allo Stato di alcune partecipazioni azionarie munite di poteri speciali tali da consentire l’esercizio di prerogative in grado di influenzare le decisioni delle imprese interessate: opposizione all’acquisizione di partecipazioni rilevanti, diritto di nomina di membri degli organi amministrativi e veto su alcune delibere societarie. Prerogative che, per mezzo di interventi del legislatore sul punto, hanno poi anche potuto essere inserite direttamente negli statuti delle società operanti in alcuni settori, specialmente quelli attinenti la difesa, l’energia ed i servizi pubblici, prescindendo dal possesso azionario da parte dello Stato. Sotto questo profilo, interventi in sede giurisdizionale avevano evidenziato alcune incompatibilità tra la summenzionata disciplina interna ed i principi di libera circolazione dei capitali e di stabilimento sanciti nei Trattati euro-unitari. Ad opinione dei Giudici sovranazionali, si sarebbe infatti trattato di forme di dissuasione all’investimento da parte di operatori degli altri Stati membri nelle imprese caratterizzate dalla presenza della “golden share”. Non a caso, l’Italia è stata sanzionata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con richiesta di introduzione di regole maggiormente certe che consentissero una valutazione ex ante delle possibili limitazioni all’attività ed alle operazioni riguardanti le imprese operanti nei settori interessati. Facendo seguito alle pronunce della Corte di Giustizia ed ai pareri motivati della Commissione europea, le nuove disposizioni legislative introdotte a livello nazionale, di cui si è fatto cenno, hanno portato all’introduzione dei “golden powers”. Istituto con il quale si attribuisce all’ordinamento giuridico statale il potere di controllare le operazioni di investimento finalizzate all’acquisizione di imprese operanti in settori strategici, consentendo in tal modo all’autorità governativa di esercitare un potere di “opposizione” rispetto a talune operazioni societarie. Lo Stato ha il potere di opporsi all’ingresso, nella compagine societaria dell’ente, di soci che non risultano “non graditi”.

Il profilo maggiormente caratterizzante la riforma sui “golden powers” è dato dal fatto che il legislatore ha voluto conferire al Governo non tanto la facoltà di incidere sulla gestione ordinaria delle imprese privatizzate, quanto piuttosto sulle modificazioni dell’atto costitutivo o comunque su quelle operazioni societarie in grado di ledere o pregiudicare gli interessi vitali dello Stato, tramite variazioni della compagine societaria dell’ente di carattere straordinario, in determinati momenti storici “critici” e con riferimento non a tutte le materie, bensì unicamente a quelle che, in sede legislativa, sono state definite di carattere strategico. Nel D.L. n. 21/2012, i poteri speciali non hanno più un legame con operazioni di privatizzazione. Così come non si è più in presenza di una clausola statutaria o di un’azione d’oro che fonda i poteri speciali, bensì di una normativa di carattere generale ed a valenza pubblicistica, la cui fonte legittimante è rappresentata direttamente da una legge ordinaria dello Stato.

I poteri speciali risultano strettamente correlati con le attività di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza nazionale (art. 1, L. 56/2012) nonché in quelli dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni (art. 2, L. 56/2012). Nello specifico, mentre nel settore della difesa e della sicurezza nazionale la legge richiede l’esistenza di una “minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali”, con riguardo ai restanti settori citati, risulta altresì necessario che l’operazione presa a riferimento possa dare luogo ad una “situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore” di “minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza ed al funzionamento delle reti e degli impianti ed alla continuità degli approvvigionamenti”.

La natura e la consistenza di simili poteri può riassumersi in potestà di tipo prescrittivo, interdittivo ed oppositivo. In particolare, il Governo può imporre specifiche condizioni relative alla sicurezza degli approvvigionamenti, alla sicurezza delle informazioni ed ai trasferimenti tecnologici. Al tempo stesso, potrà anche porre il veto all’adozione di delibere dell’assemblea, nonché opporsi all’acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni.

Gli interventi normativi più recenti a livello nazionale e sovranazionale

Una piena comprensione del fenomeno, richiede, però, una sua disanima anche con riferimento a successivi interventi normativi approvati a completamento ed aggiornamento di questa disciplina.
Con la L. n. 172/2017 sono, infatti, state introdotte ulteriori novità. I poteri governativi sono stati estesi ai “settori ad alta tecnologia”, tra cui “le infrastrutture critiche o sensibili” e “le tecnologie critiche,” demandando peraltro ad uno specifico decreto una puntuale definizione degli ambiti più esposti a pericoli per la sicurezza e l’ordine pubblico. A questo si aggiunga che, tra i criteri di valutazione delle operazioni di soggetti extra-europei attivi nel campo delle reti, oltre alla “minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi pubblici”, è stato aggiunto il “pericolo per la sicurezza e per l’ordine pubblico”.

Da ultimo, al fine di provvedere ad un aggiornamento della normativa in materia di poteri speciali in conseguenza dell’evoluzione tecnologica intercorsa, con particolare riferimento alla tecnologia 5G ed ai connessi rischi di un uso improprio dei dati con implicazioni sulla sicurezza nazionale, il D.L. n. 22/2019, convertito dalla L. n. 41/2019, ha esteso l’ambito di applicazione dei poteri speciali del Governo, annoverando, tra le attività di rilevanza strategica per la difesa e per la sicurezza nazionale, anche i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati su tecnologia 5G.

In ogni caso, è previsto l’obbligo di motivazione dell’intervento pubblico nella forma di informativa completa sulla delibera o sull’atto da adottare in modo da consentire il tempestivo esercizio del potere, così come è altresì previsto un controllo giurisdizionale postumo e l’obbligo di emanazione di appositi decreti che vadano ad individuare, con cadenza triennale, le attività e gli assets strategici tutelati sia relativamente alla difesa ed alla sicurezza nazionale sia nei settori dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni.

Con lo scopo di garantire una congrua regolamentazione dei mercati e di ridimensionare in tal modo anche gli effetti pregiudizievoli dell’urgenza epidemiologica da Covid-19, il legislatore italiano è intervenuto con il D.L. n. 23/2020, il quale ha ampliato i poteri speciali del Governo, con il fine di tutelare i valori della sicurezza e dell’ordine pubblico. Tra le principali novità, si ricordano l’immediata e piena operatività degli obblighi di notifica, previsti nei procedimenti di c.d. screening, nei settori economici individuati dal Reg. UE n. 452/2019, così come l’introduzione di soglie percentuali al raggiungimento delle quali scatta l’obbligo di notifica, la parziale soggezione all’obbligo di notifica anche di investitori appartenenti all’Unione Europea e l’introduzione di nuovi poteri attivabili d’ufficio da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in caso di violazione dell’obbligo di notifica.

In tal modo, il Governo ha reagito all’attuale situazione dei mercati azionari, rafforzando ed ampliando in capo all’esecutivo i poteri speciali di controllo e contrasto delle operazioni straordinarie lesive di esigenze imperative di carattere generale, per salvaguardare gli attivi strategici delle società che operano in settori chiave dell’economia nazionale italiana.

La sentenza del TAR Lazio

Alla luce di un simile scenario storico-normativo di riferimento, con il recente incremento delle operazioni notificate ai fini della valutazione Golden Power, sia nella loro quantità che nella loro incisività, i Giudici Amministrativi hanno cominciato a fornire alcuni preliminari chiarimenti in materia, alzando in alcune occasioni la soglia della sindacabilità di tali decisioni in ragione della loro natura e ratio sottostante, quali atti, definiti, di “alta amministrazione” in cui il Governo gode di ampia discrezionalità.

È proprio quanto accaduto con la pronuncia di recente emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sent. n. 4488/2022) in conseguenza di un ricorso esperito da un privato per l’annullamento del decreto presidenziale con il quale era stato disposto l’esercizio del potere speciale (cd. Golden Power) di veto nei confronti di una particolare operazione di acquisizione societaria, ai sensi dell’art. 2, del D.L. n. 21/2012.

In particolare, la disciplina che era stata applicata riguardava il comma 1-ter della richiamata disposizione normativa, che consente l’esercizio di un simile potere oppositivo in relazione ad una pluralità di settori, tra i quali quello della sicurezza alimentare, nonché quello del trattamento di dati e dell’accesso alle informazioni sensibili, compresi i dati personali e delle tecnologie critiche, tra cui l’intelligenza artificiale e la robotica. Tramite il rimando operato dal comma 1-ter ai decreti presidenziali, il legislatore ha previsto fossero proprio questi atti del Presidente del Consiglio dei Ministri ad individuare, in tali settori, i beni ed i rapporti di rilevanza strategica, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza di un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico, compreso il possibile pregiudizio alla sicurezza ed al funzionamento delle reti e degli impanati e alla continuità degli approvvigionamenti.

A tal fine, veniva dunque adottato il DPCM n. 179/2020 che, rispettivamente, all’art. 11, lett. c), per il settore alimentare, qualifica come beni e rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale “le attività economiche di rilevanza strategica e l’approvvigionamento di fattori produttivi critici della filiera agroalimentare”; all’art. 6, per il settore del trattamento di informazioni sensibili compresi i dati personali, qualifica come beni e rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale una serie eterogenea di dati e dei relativi trattamenti; all’art. 9, per il settore delle tecnologie critiche, qualifica, tra l’altro, come beni e rapporti di rilevanza strategica “le tecnologie relative all’apprendimento automatico computerizzato (Machine Learning)”.

Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri impugnato aveva ritenuto che l’operazione in esame, avente effetti nel settore sementiero, rientrasse nelle fattispecie previste dai poc’anzi menzionati articoli 6, 9 e 11 del DPCM n. 179/2020 e che fosse di pregiudizio per la sicurezza nazionale in campo alimentare, concludendo per l’esercizio dei poteri speciali previsti dal D.L. n. 21/2012 attraverso l’esercizio del potere di opposizione nei confronti dell’operazione di acquisizione.

Instauratasi la controversia dinanzi al TAR, l’Organo giudicante ha avuto modo di fornire importanti precisazioni in materia.

Anzitutto, veniva dichiarata infondata la censura di carattere procedimentale, riguardante l’assenza della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/1990. Ad opinione dell’Autorità giudicante risultava inammissibile operare una equiparazione tra l’obbligo, per l’impresa interessata, di “notificare” alla Presidenza del Consiglio l’operazione prima che venga attuata e la presentazione di una istanza di parte che dà avvio a un procedimento amministrativo.

La notifica costituirebbe infatti per l’impresa un vero e proprio obbligo, funzionale all’esercizio dei poteri di controllo spettanti allo Stato, e non sarebbe invece volta ad ottenere il bene della vita. Per tale ragione, nella notifica non era presente alcuna “richiesta” da parte della società interessata.

Riprendendo le parole dei Giudici laziali, “la notifica, in sostanza, costituisce per l’impresa unicamente un atto (dovuto) a contenuto informativo, di ausilio all’esercizio dei poteri speciali di cui al d.l. n.21/2012 attraverso l’avvio di un procedimento speciale, azionabile dall’amministrazione anche d’ufficio”.
A questo punto, nella risoluzione della controversia in esame, si è passati all’analisi dei presupposti per l’applicazione della disciplina del “golden power”.

L’esercizio di questi poteri speciali, ponendo delle limitazioni ai principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali, deve trovare infatti la sua giustificazione nel perseguimento del fine legislativo di consentire l’intervento statale qualora l’operazione societaria possa compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale, avuto riguardo all’incidenza su beni considerati di rilevanza strategica. È quindi escluso che l’esercizio dei poteri possa riguardare operazioni diverse da quelle previste dalla legge ovvero asset non individuati tra quelli “strategici” (cfr. Tar Lazio, Sez. I, 24 luglio 2020, n. 8742).

Ferma restando la necessità di una rigorosa istruttoria ai fini della verifica della presenza di beni strategici e di operazioni riconducibili a quelle individuate dalla legge, la successiva decisione dello Stato di esercitare o meno i poteri speciali, attraverso l’imposizione di “prescrizioni”, “condizioni” ovvero opponendosi all’operazione, si connoterebbe per una amplissima discrezionalità, in ragione della natura degli interessi tutelati, attinenti alla sicurezza nazionale. In tal senso, le valutazioni sottese alla decisione di procedere al concreto esercizio dei poteri speciali costituirebbero allora scelte, cosiddette, di alta amministrazione, come tali sindacabili dal Giudice Amministrativo nei ristretti limiti della sussistenza di una manifesta illogicità delle decisioni assunte.

Nella specie, il DPCM impugnato, quanto alla verifica dell’esistenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina sul golden power, non risultava in contrasto con gli esiti dell’istruttoria svolta e ha diffusamente argomentato sulle ragioni per cui le società target possiedono beni di rilevanza strategica per l’interesse nazionale e svolgono attività che implicano l’utilizzo di tecnologie critiche ai sensi dell’articolo 9 del DPCM n. 179/2020 nonché la raccolta di dati, ai sensi dell’articolo 6, comma 1 del medesimo decreto, avvalendosi anche di macchine addestrate secondo i principi di “machine learning”.

Non venivano neppure accolte le censure relative alla carenza della motivazione e alla difformità della misura di veto adottata rispetto a quanto proposto in fase istruttoria.

I Giudici Amministrativi chiariscono che nella fase istruttoria il compito del gruppo di coordinamento, che si avvale del contributo partecipativo delle amministrazioni coinvolte, affiancate dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, oltre che dell’apporto partecipativo dei soggetti interessati dall’operazione di acquisizione, è quello di raccogliere gli elementi di valutazione tecnica da sottoporre al Consiglio dei Ministri in sede collegiale, che non è pertanto vincolato o comunque tenuto ad adottare una motivazione rafforzata nel caso vengano formulate in fase istruttoria proposte differenti rispetto all’esercizio del potere di veto. Il DPCM, inoltre, chiarisce in maniera esaustiva sotto il profilo tecnico, nei termini sopra esposti, le ragioni per cui sussistono i presupposti per l’esercizio dei poteri speciali.

Quanto alla imposizione del veto, il decreto contiene una giustificazione del tutto logica in ordine all’inutilità di imporre misure meno gravose del divieto dell’operazione, quali eventuali prescrizioni, in ragioni della circostanza, non controversa, che l’effettivo proprietario della società acquirente è il Governo cinese e della difficoltà di attuare misure di enforcement realmente efficaci in caso di inottemperanza alle prescrizioni imposte per il trasferimento dell’asset all’estero.

Conclusione

Da quanto esposto, emerge dunque come con il D.L. 21/2012 si sia abbandonato il precedente meccanismo fondato sulla golden share, transitando ad un sistema di poteri diversi, i golden powers, non aventi più natura privatistico-societaria. Si tratta, infatti, di veri e propri poteri pubblici, che peraltro prescindono dal possesso statuale di una determinata partecipazione azionaria nella società coinvolta nel caso di specie.

Registrandosi negli anni una profonda evoluzione, anche a livello euro-unitario, dell’intervento dello Stato in economia, oggi alcuni studiosi sono persino giunti a parlare di uno Stato stratega, oltre che regolatore.

Il modello introdotto nel 2012 è infatti profondamente innovativo e la valutazione governativa, come in parte già accennato nei precedenti paragrafi, è di tipo “altamente” discrezionale, al fin di perseguire e salvaguardare interessi generali in relazione ad attori, attività ed attivi aventi carattere strategico.

Una disciplina complessa ed in parte non ancora compiutamente definita, rispetto alla quale si stanno già osservando alcune profonde ricadute di stampo evolutivo anche in sede giurisdizionale, che solo i futuri interventi delle Corti interne e sovranazionali saranno capaci di meglio definire.

dott. Alessandro Sorpresa


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