I poteri “ispettivi e di accertamento” che l’ANAC è chiamata a svolgere in materia di pantouflage sono limitati, soggettivamente, alle amministrazioni pubbliche richiamate in senso lato dalla norma e, oggettivamente, al conferimento di un “incarico pubblico” e non possono estendersi, in via interpretativa, agli incarichi conferiti da soggetti privati destinatari dell’attività autoritativa svolta presso la P.A.

Tar Lazio, sez. I, sentenza 27 novembre 2018, n. 11494, Presidente Volpe, Estensore Correale

A margine

Il fatto

L’ANAC, in seguito a specifica segnalazione, delibera l’accertamento, da parte di un ex Presidente di Autorità Portuale, della violazione dell’art. 53, comma 16 ter, d.lgs. n. 165/2001, per assunzione di un incarico di Direttore dei rapporti istituzionali per l’Italia presso una società crocieristica con sede in Ginevra.

La delibera in questione, si sofferma sull’applicazione, al caso di specie, dell’istituto del c.d. “pantouflage” , secondo cui:

“I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti”.

Sia la società che il soggetto nominato chiedono dunque al Tar l’annullamento di tale delibera affermando, in relazione all’art. 1, commi 2 e 3, L. n. 190/12, che il potere di vigilanza e controllo riconosciuto all’ANAC è limitato alle misure adottate dalle PP.AA e che si riferisce a soli incarichi “pubblici” (in relazione ai quali operano le cause di incompatibilità e inconferibilità previste dal d.lgs. 39/2013) e non già ad incarichi conferiti da soggetti “privati”, eventualmente destinatari di poteri autoritativi o negoziali di ex dipendenti o ex titolari di incarichi pubblici.

La sentenza

Il Tar evidenzia che l’ANAC, nel provvedimento impugnato, afferma di avere uno “…specifico potere di controllo e di accertamento sulle ipotesi di inconferibilità ed incompatibilità disciplinate dal d.lgs. 39/2013 ed, in generale, sulla corretta applicazione della suddetta normativa” sostenendo la natura, non meramente accertativa, ma “costitutivo-provvedimentale” del proprio potere.

Ad avviso del collegio, tuttavia, le conclusioni dell’Autorità scontano un esame solo parziale dell’intero contesto normativo.

In particolare, in relazione all’art. 16, comma 1, del d.lgs. 39/2013, il collegio rileva che i soggetti destinatari del potere di vigilanza individuato in capo all’ANAC sul rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo in questione, sono unicamente: le amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, anche con l’esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi.

Inoltre, sebbene la sentenza n. 126/2018 del Consiglio di Stato abbia riconosciuto la natura “costitutiva-provvedimentale” del potere dell’ANAC, ai fini della relativa “impugnabilità” diretta avanti al G.A. della delibera con cui l’Autorità esercita tale potere, ciò non impinge sulla “latitudine” del potere stesso, anche perché, in quella fattispecie, si confermava che tra gli “enti pubblici” rientra(va)no gli enti pubblici economici e, tra questi, i consorzi costituiti da pubbliche amministrazioni.

Ebbene, così delimitato il potere dell’ANAC, il Collegio ritiene di escludere la sussistenza di un potere di vigilanza dell’ANAC esercitabile “erga omnes” ai sensi dell’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 39/13, in quanto, in realtà, tale norma orienta l’attività dell’Autorità nei soli confronti delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, tra cui non rientrano, all’evidenza, né la società conferente l’incarico né l’ex Presidente cui è stato conferito.

Più precisamente, i poteri “ispettivi e di accertamento” che l’ANAC è chiamata a svolgere, sia pure nell’accezione di “accertamento” specificata dal Consiglio di Stato, sono limitati, soggettivamente, alle amministrazioni pubbliche richiamate in senso lato dalla norma e, oggettivamente, al conferimento di un “incarico pubblico”.

Solo il terzo comma dell’art. 16 cit, prevede che: “L’Autorità nazionale anticorruzione esprime pareri obbligatori sulle direttive e le circolari ministeriali concernenti l’interpretazione delle disposizioni del presente decreto e la loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità degli incarichi e di incompatibilità”, introducendo un più generale potere di intervento in ambito non più limitato nel senso dei due commi precedenti; ma ciò solo al limitato fine di predisporre pareri su atti amministrativi riguardanti l’interpretazione del d.lgs. n. 39/13 che, peraltro, reca nuovamente un riferimento soggettivo ben preciso legato solo a disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi “presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”.

Per quanto riguarda il coinvolgimento di soggetti “esterni” alla p.a., opera quanto previsto dalla legge n. 190/12, art. 1, comma 2, lett. e), secondo cui l’Autorità “…esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni, di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all’applicazione del comma 16-ter…,”.

E’ dunque condivisibile la tesi dei ricorrenti secondo cui l’unico ambito che il legislatore ha riconosciuto all’ANAC per intervenire nell’applicazione dell’art. 53, comma 16 ter, in relazione a “soggetti non riconducibili alla p.a.” è quello circoscritto all’adozione di pareri “facoltativi” in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni nel senso ora riportato.

Pertanto, nel silenzio della legge, non è dato all’interprete creare in surroga la norma, commisurando l’efficacia delle disposizioni date rispetto alle finalità perseguite, fino ad innovare l’assetto normativo per realizzare obiettivi di massima.

Ciò perché, in base al principio di legalità, compete soltanto alla legge di porre nuove norme restrittive delle libertà o di modificazione delle competenze da essa stabilite e non vi è dubbio che le norme che l’ANAC ha inteso direttamente applicare sono ben restrittive della libertà economica del soggetto “privato”.

Così pure condivisibile è la ricostruzione secondo la quale l’art. 21 d.lgs. n. 39/13 si limita solo ad estendere ad altre categorie di personale “pubblico” – non strettamente “dipendente” – il divieto in questione, senza però ampliare i poteri dell’ANAC, che continuano ad essere limitati secondo quanto finora rappresentato.

Proprio perché non sussiste un potere di intervento diretto dell’ANAC, come effettuato con il provvedimento impugnato, non sussiste il “vuoto normativo” da quest’ultima ipotizzato, dato che il regime del “pantouflage” è soggetto a un regime di applicazione diretta che non coinvolge l’ANAC ma si rivolge all’attuazione di strumenti generali, quali il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), che infatti prende in considerazione ipotesi di inserimento di apposite clausole negli atti di assunzione di personale “pubblico”, e il Documento di Gara Unico Europeo (DGUE), in correlazione con quanto previsto dall’art. 85 d.lgs. n. 50/2016, sulle cause di esclusione da una procedura pubblica.

La violazione delle suddette clausole o della dichiarazione ai sensi del DGUE comportano la “nullità” del contratto con il singolo dipendente – da far valere nelle opportune sedi – o l’interdittiva a contrarre per l’imprese inadempienti, senza che per questo necessiti l’individuazione di un soggetto competente al compimento degli atti derivanti dall’accertamento della violazione del comma 16 ter cit., come invece invocato dall’ANAC.

Non sussiste, dunque, alcun potere, legislativamente individuato, dell’ANAC per intervenire direttamente, ex art. 21, d.lgs. 39/2013, nei confronti di uno o più soggetti “privati” che abbiano conferito un incarico in violazione dell’art. 53, comma 16 ter, d.lgs. n. 165/2001.

Pertanto il ricorso è accolto e il provvedimento impugnato annullato.

di Simonetta Fabris

 


Stampa articolo