Tra gli obblighi del revisore dei conti vi è quello di fornire consulenza agli uffici per risolvere i problemi contabili e sottoporre all’approvazione del consiglio comunale uno schema di bilancio veritiero e affidabile.
Non può tuttavia essere chiesto al revisore dei conti di concorrere, con un parere favorevole o condizionato, a procrastinare una situazione di squilibrio finanziario che richiede le misure straordinarie ex art. 243-bis del Dlgs. 267/2000.
Tar Lombardia, Brescia, sez. I, sentenza 30 luglio 2019 n. 716 – Presidente Estensore Pedron
A margine
A fronte della non rigorosa valutazione degli ingenti crediti del Comune nei confronti di una società partecipata fallita, il revisore dei conti rilascia parere negativo sulla proposta di bilancio 2017-2019 dell’ente.
Tale parere consegue alla sua richiesta di cancellare i residui attivi corrispondenti ai crediti nei confronti della società dal rendiconto 2016 e all’avviso contrario del sindaco per cui la cancellazione deve ricadere necessariamente nel rendiconto 2017, perché il fallimento era stato dichiarato nel 2017.
Il revisore è quindi revocato dall’incarico per cessazione del rapporto di fiducia con l’amministrazione per non aver collaborato con gli uffici alle modifiche necessarie per sottoporre al consiglio comunale uno schema di deliberazione con parere favorevole, o almeno condizionato.
Il revisore ricorre dunque al Tar chiedendo l’annullamento della revoca nonché il risarcimento del danno, anche d’immagine, subito.
La sentenza
Il collegio evidenzia che il revisore, basandosi sulla relazione del predecessore per il rendiconto 2015, ha intuito tempestivamente che gli ingenti crediti del Comune nei confronti della società si stavano deteriorando rapidamente in parallelo con il peggioramento dei conti della società partecipata. Di qui l’avvertimento circa la necessità di classificare i suddetti crediti tra quelli di dubbia esigibilità, cancellando i corrispondenti residui attivi dal bilancio comunale.
L’analisi era corretta e parimenti corretta era la proposta di far emergere il disavanzo di amministrazione già nel rendiconto 2016.
Infatti, quando è chiaro che il bilancio comunale è su una traiettoria di dissesto, l’opera di risanamento e di rigore finanziario deve essere avviata immediatamente, per impedire che la situazione si aggravi. Le ipotesi di spesa inserite nella proposta di bilancio di previsione 2017-2019 erano evidentemente disancorate dalla sottostante realtà finanziaria del Comune.
Non era affatto necessario aspettare il fallimento per avere maggiori elementi di valutazione.
Nell’atteggiamento del ricorrente non è ravvisabile alcun inadempimento ai propri doveri, ma solo l’espressione di un parere, professionalmente corretto, non in linea con le aspettative dell’amministrazione.
Ad avviso del Tar manca dunque il presupposto che possa giustificare la revoca dell’incarico per cessazione del rapporto di fiducia.
Peraltro, in ambito amministrativo, con l’eccezione di alcuni incarichi pubblici espressamente individuati dalla legge, non rileva la fiducia soggettiva tra le persone.
La fiducia è invece intesa in senso oggettivo, come coerenza tra la funzione rivestita e le azioni poste in essere sulla base della funzione. Di conseguenza, l’amministrazione può dichiarare di non avere più fiducia nel revisore dei conti solo se quest’ultimo non adempie gli obblighi della propria funzione, perché è evidentemente impossibile continuare una collaborazione se una delle parti non interpreta lealmente il proprio ruolo. In questi termini deve essere letto il riferimento all’inadempienza contenuto nell’art. 235 comma 2 del Dlgs. 267/2000.
È vero che tra gli obblighi del revisore dei conti vi è anche quello di fornire consulenza agli uffici per risolvere i problemi contabili e sottoporre all’approvazione del consiglio comunale uno schema di bilancio veritiero e affidabile. Non può tuttavia essere chiesto al revisore dei conti di concorrere, con un parere favorevole o condizionato, a procrastinare una situazione di squilibrio finanziario che richiede le misure straordinarie ex art. 243-bis del Dlgs. 267/2000.
Il provvedimento di revoca è quindi annullato.
Tale annullamento costituisce anche risarcimento in forma specifica del danno di immagine, in quanto reintegra l’onorabilità professionale del revisore.
Sotto il profilo economico deriva poi il diritto del revisore al compenso in proporzione all’attività svolta, quantificabile per il 2017 in 6 mesi, ma non a un risarcimento monetario.
Sotto quest’ultimo profilo, infatti, sembra necessario tenere conto della complessità del quadro fattuale e delle difficoltà interpretative che si pongono in concreto nella risoluzione dei conflitti tra gli organi dell’amministrazione.
di Simonetta Fabris