L’istituto della mobilità del personale delle società partecipate rientra nella materia dell’ordinamento civile, di esclusiva competenza legislativa statale
Corte costituzionale, sentenza n. 159 del 23 luglio 2020 – Presidente Cartabia, relatore Antonini
A margine
Il caso – Con propria legge, una Regione stabilisce una specifica disciplina per la mobilità del personale delle proprie società partecipate prevedendo, in particolare, che «nell’ambito dei processi di acquisizione di nuove professionalità con rapporto di lavoro subordinato, le società partecipate in modo totalitario (…) e le società a partecipazione regionale, con esclusione di quelle quotate (…) effettuano preventivamente la ricerca tra il personale dipendente delle altre società di cui al presente comma. A tal fine, la società interessata invia apposita comunicazione scritta alle altre società che sono tenute a pubblicare sulla propria rete intranet la posizione vacante per favorire l’attivazione di eventuali mobilità volontarie. In caso di candidature con esito positivo, il trasferimento del personale avviene nel rispetto delle disposizioni statali e dei contratti collettivi».
La disposizione viene impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per violazione del riparto di competenze sancito dalla Costituzione, che attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato la disciplina dell’«ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.).
La materia, come noto, trova oggi la propria regolamentazione all’interno del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, il quale, all’art. 19, da un lato, abroga la precedente disciplina sulla mobilità nelle società partecipate, contenuta all’art. 1, commi 563 e ss, della L. n. 147/2013, dall’altro, prevede che, ai rapporti di lavoro del relativo personale, si applichino le disposizioni del codice civile, ivi compreso l’art. 2112 cod. civ. (salvo che nell’ipotesi della re-internalizzazione regolata dal comma 8 del medesimo articolo).
La sentenza – La Consulta non condivide l’assunto della Regione secondo cui la disposizione censurata si limiterebbe a disciplinare, nell’esercizio della competenza residuale in materia di organizzazione amministrativa, una «mera modalità di ricognizione preventiva» in ordine alle risorse umane presenti nelle società regionali.
Nel prevedere che, prima di effettuare assunzioni, le società debbano ricercare le nuove professionalità tra il personale di altre partecipate, la Regione ha infatti introdotto una disciplina ad hoc per la mobilità dei relativi dipendenti.
L’istituto della “mobilità” può però essere disciplinato esclusivamente dallo Stato, senza che venga in considerazione l’ambito dell’organizzazione amministrativa regionale.
La mobilità volontaria, infatti, «altro non è che una fattispecie di cessione del contratto» che, a sua volta, è un negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt. 1406-1410) rientrante nei rapporti di diritto privato e nella materia dell’ordinamento civile (sentenza n. 324/2010).
Tali conclusioni sono state ribadite più volte dalla Corte seppur con riferimento a fattispecie inerenti all’impiego pubblico privatizzato e valgono, a maggior ragione, con riguardo ai rapporti di lavoro privato intercorrenti con le società a partecipazione pubblica, così come confermato dagli artt. 1, co. 3, e 19, co. 1, del d.lgs. n. 175/2016.
Occorre poi considerare che la norma regionale si pone altresì in contrasto con l’attuale disciplina statale sulla gestione di eventuali eccedenze del personale delle società a controllo pubblico, disponendo:
- da un lato, la reintroduzione, sine die, dell’obbligo di procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato se non attingendo dagli elenchi dei lavoratori eccedentari di altre controllate (analogamente a quanto previsto, fino al 30 giugno 2018, dall’art. 25, co. 4, del d.lgs. n. 175 del 2016);
- dall’altro, introducendo una disciplina incompatibile con quella dello stesso art. 25 del Tusp, nella versione novellata, per gli anni 2020, 2021 e 2022, dall’art. 1, co. 10-novies, del dl n. 162/2019 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 8/2020 (1).
La Regione, peraltro, non può invocare a propria difesa la previsione, contenuta nella norma censurata, secondo cui, in caso di candidature con esito positivo, il trasferimento «avviene nel rispetto delle disposizioni statali e dei contratti collettivi».
Tale previsione attiene infatti soltanto al momento conclusivo della mobilità, la quale resta disciplinata, nei presupposti e nelle modalità di attuazione, dalla disposizione regionale impugnata, la quale impone la preventiva attivazione della mobilità alle società che vogliano acquisire nuove professionalità e predetermina ex lege il procedimento attraverso il quale essa deve realizzarsi.
Parimenti, non appare condivisile l’argomentazione secondo cui la legge regionale sarebbe attuativa del disposto di cui all’art. 19, co. 5, del Tusp, che fa obbligo alle Amministrazioni socie di fissare, con propri provvedimenti, obiettivi specifici sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate (anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale, tenuto conto di eventuali disposizioni che stabiliscono, a loro carico, divieti o limitazioni alle assunzioni, nonché del settore in cui ciascun soggetto opera).
Questo perché, nel caso di specie, la Regione non si è limitata a porre degli obiettivi alle proprie società, ma ha stabilito per le stesse il preciso obbligo (non temporalmente circoscritto né collegato alle peculiarità del settore in cui ogni società opera), di ricorrere alla mobilità, senza lasciare loro alcun margine di scelta in ordine a come concretamente perseguire i target prefissati.
La questione di illegittimità costituzionale è pertanto ritenuta fondata e la norma regionale dichiarata illegittima.
Stefania Fabris
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(1) L’art. 1, co. 10-novies del del dl n. 162/2019, ha sostituito come segue l’art. 25 del d.lgs. n. 175/2016:
“Art. 25 (Disposizioni in materia di personale).
1. Entro il 30 settembre di ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022, le società a controllo pubblico effettuano una ricognizione del personale in servizio, per individuare eventuali eccedenze, anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 24. L’elenco del personale eccedente, con la puntuale indicazione dei profili posseduti, è trasmesso alla regione nel cui territorio la società ha sede legale secondo modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131.
2. Le regioni formano e gestiscono l’elenco dei lavoratori dichiarati eccedenti ai sensi del comma 1 e agevolano processi di mobilità in ambito regionale, con le modalità stabilite dal decreto previsto dal medesimo comma 1 e previo accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, tramite riallocazione totale o parziale del personale in eccedenza presso altre società controllate dal medesimo ente o da altri enti della stessa regione, sulla base di un accordo tra le società interessate.
3. Decorsi dodici mesi dalla scadenza dei termini di cui al comma 1, le regioni trasmettono gli elenchi dei lavoratori dichiarati eccedenti e non ricollocati all’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, che gestisce, d’intesa con ciascuna regione territorialmente competente, l’elenco dei lavoratori dichiarati eccedenti e non ricollocati”.