In tema di pubblico impiego e monetizzazione delle ferie non fruite, sussiste il diritto del ricorrente al pagamento delle ferie e dei riposi non goduti quando lo stesso abbia provato di essere lavoratore in malattia.
L’art. 5, comma 8, d.l. 95/2012 deve essere interpretato nel senso che il divieto di monetizzazione delle ferie residue non si applica nel caso in cui il dipendente non sia stato nella possibilità di fruire delle stesse a causa di malattia.
Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, sentenza 8 marzo 2019, n. 211, Presidente Scano, Estensore Rovelli
A margine
Il fatto
Un addetto della polizia penitenziaria dopo un periodo di malattia viene dichiarato permanentemente non idoneo al servizio e collocato a riposo. Chiede pertanto la monetizzazione del periodo di ferie non goduto, causa malattia, per 147 giorni, ma l’amministrazione gliene riconosce solo la metà.
Il soggetto ricorre quindi al Tar affermando che l’interpretazione data dall’amministrazione delle disposizioni di cui all’art. 14 d.P.R. 31 luglio 1995, n. 395, all’art. 18 d.P.R. 16 marzo 1999 n. 254 e all’art. 11 d.P.R. 11 settembre 2007, n. 170, alla base della liquidazione contestata, collide, in assenza di una lettura costituzionalmente orientata, con il principio della indisponibilità del diritto alle ferie sancito nell’art. 36, ultimo comma, della Costituzione.
Secondo il ricorrente, il precetto costituzionale deve essere inteso nel senso che ove il lavoratore abbia prestato ininterrottamente la propria opera nel periodo di riferimento delle ferie, il compenso sostitutivo delle stesse spetta in ogni caso, a nulla rilevando l’esistenza di disposizioni che concedano, limitino o escludano il diritto all’equivalente pecuniario.
La sentenza
Il Tar ritiene il ricorso fondato richiamando il Consiglio di Stato secondo cui “il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute dal pubblico dipendente, anche in mancanza di una norma espressa che preveda la relativa indennità, discende direttamente dallo stesso mancato godimento delle ferie, in armonia con l’art. 36 Cost., quando sia certo che tale vicenda non sia stata determinata dalla volontà del lavoratore e non sia a lui comunque imputabile, e dunque anche in caso di cessazione dal servizio per infermità; ciò in quanto il carattere indisponibile del diritto alle ferie non esclude l’obbligo della stessa Amministrazione di corrispondere il predetto compenso per le prestazioni effettivamente rese, non essendo logico far discendere da una violazione imputabile all’Amministrazione il venir meno del diritto all’equivalente pecuniario della prestazione effettuata; analoga conclusione deve trarsi ove le ferie non siano state fruite per cessazione dal servizio per infermità” (Consiglio di Stato sez. IV, 13 marzo 2018, n. 1580).
Pertanto, il mancato godimento delle ferie, non imputabile all’interessato, non preclude l’insorgenza del diritto alla percezione del compenso sostitutivo. Si tratta, infatti, di un diritto che per sua natura prescinde dal sinallagma prestazione lavorativa-retribuzione che governa il rapporto di lavoro subordinato e non riceve, quindi, compressione in presenza di altra causa esonerativa dall’effettività del servizio.
Da tale carattere di indisponibilità e irrinunciabilità discende il diritto al compenso sostitutivo, ogni qual volta la fruibilità del congedo stesso sia oggettivamente esclusa per causa indipendente dalla volontà del lavoratore o per fatto specifico della P.A. datrice di lavoro (in materia, T.a.r. Calabria, Catanzaro, sez. I, 25 giugno 2015, Tar Sardegna 13 febbraio 2013 n. 116).
La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di pronunciarsi anche sulla portata del divieto di monetizzazione delle ferie di cui all’art. 5, comma 8, d.l. 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 7 agosto 2012 n. 135 nel senso che tale disciplina non pregiudica il diritto alle ferie ove prevede che non si possano corrispondere in nessun caso trattamenti economici sostitutivi, giacché correla il contestato divieto a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentono di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito ai periodi di riposo.
Conseguentemente, la norma in parola va interpretata come diretta a reprimere il ricorso incontrollato alla monetizzazione delle ferie non godute, contrastandone gli abusi, e a riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle ferie, per incentivare una razionale programmazione del periodo feriale e favorire comportamenti virtuosi delle parti nel rapporto di lavoro, senza arrecare pregiudizio al lavoratore incolpevole (T.a.r. Emilia-Romagna, Parma sez. I, 17 gennaio 2017, n.14).
Peraltro, la giurisprudenza del giudice del lavoro è costante nell’affermare che in tema di pubblico impiego e monetizzazione delle ferie non fruite, sussiste il diritto del ricorrente al pagamento delle ferie e dei riposi non goduti quando lo stesso abbia provato di essere lavoratore in malattia. Difatti, l’art. 5, comma 8, d.l. 95/2012 deve essere interpretato nel senso che il divieto di monetizzazione delle ferie residue non si applica nel caso in cui il dipendente non sia stato nella possibilità di fruire delle stesse a causa di malattia (ex multis, Tribunale Torino sezione lavoro, 22 dicembre 2016, n. 1861).
Pertanto il ricorso è essere accolto con condanna dell’Amministrazione al pagamento del compenso sostitutivo richiesto dal ricorrente nella sua totalità.