Il principio di non discriminazione di cui agli artt. 1 e 2 della direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 27 novembre 2000, n. 78, osta alla disposizione di cui all’art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 e s.m.i., che prevede il divieto per le pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza?
Tar Sardegna, Cagliari, sez. I, ordinanza 19 ottobre 2018, n. 881, Presidente Monticelli, Estensore Manca
Il fatto
Un medico in pensione chiede al Tar l’annullamento di un avviso di manifestazione d’interesse per lo svolgimento di uno “Studio e Consulenza Eco Centro Comunale” emanato da un Comune, nella parte in cui prevede, tra i requisiti di partecipazione, che i soggetti interessati non siano dipendenti pubblici collocati in quiescenza.
Avverso la predetta clausola escludente, il ricorrente deduce la illegittimità dell’art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 e s.m.i., che prevede il divieto per le pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza, per il contrasto con l’art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e con la Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 27 novembre 2000, n. 78, in specie con l’art. 1, l’art. 2, comma 2, lett. b), l’art. 3, comma 1, lett. a), l’art. 4, comma 1, e l’art. 6, comma 1° lett. c).
Secondo il ricorrente, la norma statale crea una forma indiretta di discriminazione, correlata all’età dei destinatari, sussumibile nella tipologia descritta dall’art. 2, comma 2, lett. b), della suddetta direttiva, ed è quindi contraria all’obiettivo di combattere le discriminazioni (tra cui quelle collegate all’età) fissato dall’art. 1 della medesima direttiva. Tale discriminazione non appare sorretta da una “finalità legittima” (come richiesto dall’art. 6, comma 1, della Direttiva n. 78/2000), considerato che il fine dichiarato della norma sarebbe di evitare che “soggetti in quiescenza assumano rilevanti responsabilità nelle amministrazioni” e “assicurare il fisiologico ricambio di personale”.
Il ricorrente lamenta, altresì, l’incompatibilità delle norme statali con l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sopra richiamata.
L’ordinanza
Il collegio ritiene che per la soluzione del caso di specie assumono rilevanza le disposizioni della direttiva n. 78/2000, tra cui:
– l’art. 1, secondo cui «La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.»;
– l’art. 2, paragrafi 1, 2 secondo i quali:
«2. Ai fini del paragrafo 1:
b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che: i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; […]
– l’art. 3, paragrafo 1, secondo cui «Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva, si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
a) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione; […]
c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione.
Rileva, inoltre, l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, paragrafo 1, secondo cui è vietata «qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale».
Nell’ambito del diritto nazionale, è rilevante la disposizione di cui all’art. 5, comma 9, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 e s.m.i., ai sensi del quale «E’ fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonche’ alle autorita’ indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti gia’ lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni e’, altresi’, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e societa’ da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’ articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 , convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 . Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuita’, la durata non puo’ essere superiore a un anno, non prorogabile ne’ rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall’organo competente dell’amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell’ambito della propria autonomia»
Conclusioni
Alla luce delle norme richiamate il collegio ritiene di dover sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’U.E., la questione inerente la compatibilità con il diritto dell’Unione Europea della disposizione di cui all’art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 e s.m.i., che prevede il divieto per le pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.
Il dubbio che giustifica la rimessione si fonda sul contrasto della norma statale con gli artt. 1 e 2 della direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 27 novembre 2000, n. 78, che pongono l’obiettivo di combattere ogni forma di discriminazione sia diretta che indiretta (tra cui quella basata sull’età), in quanto esclude una categoria di persone dalla possibilità di assumere incarichi nell’amministrazione per ragioni essenzialmente correlate all’età (essendo il collocamento in quiescenza determinato dal raggiungimento di una certa anzianità “contributiva” e quindi necessariamente da una proporzionale età anagrafica).
Né peraltro tale discriminazione può trovare una adeguata giustificazione ai sensi dell’art. 6, della medesima direttiva (rubricato «Giustificazione delle disparità di trattamento collegate all’età»), secondo cui «gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari».
Infatti, non può affermarsi che la norma possa “assicurare il fisiologico ricambio di personale” in quanto appare improbabile che un incarico, specialmente se delicato e complesso che può ben essere espletato da chi ha per lungo tempo operato nel settore, possa essere conferito ad un soggetto privo della necessaria esperienza.
Piuttosto la misura appare inappropriata rispetto alla scopo e quindi inidonea a giustificare la discriminazione.
di Simonetta Fabris