La partecipazione alla procedura di stabilizzazione non è consentita ai dipendenti già in servizio a tempo indeterminato presso altra pubblica amministrazione, in quanto una tale evenienza entra in contraddizione con la “ratio” della norma di cui all’art. 20, c. 2 del d.lgs. 75/2017, alterandone il carattere speciale di reclutamento ristretto alla platea dei dipendenti in servizio “precari”, in quanto titolari di contratti a tempo determinato.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 3 febbraio 2020, n. 872, Presidente Garofoli, Estensore Pescatore
A margine
Un ente pubblico avvia una procedura concorsuale riservata, per titoli e colloquio, per la stabilizzazione di n. 35 dipendenti ai sensi dell’articolo 20, comma 2, del D. Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, prevedendo, tra i requisiti di ammissione, che “i candidati non debbano essere titolari di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso una Pubblica Amministrazione sia alla data di scadenza della presentazione delle domande che alla data dell’eventuale assunzione. A tal fine, il candidato deve comunicare tempestivamente qualsiasi variazione intervenuta in tal senso”.
Una ex dipendente, in possesso dei titoli per la stabilizzazione, ricorre nella condizione ostativa testé richiamata, in quanto alla data di indizione della stabilizzazione risulta già assunta con contratto a tempo indeterminato nei ruoli della Polizia Municipale di un Comune, sebbene con inquadramento in posizione e livello (Profilo professionale di Istruttore di Polizia Locale, Cat. C, posizione economica C1) inferiori a quelli oggetto della procedura selettiva.
Pertanto ricorre al Tar deducendo l’illegittimità e l’irragionevolezza del bando di stabilizzazione, nella parte in cui esso non limita l’effetto escludente ai soli dipendenti a tempo indeterminato inquadrati in un profilo professionale equivalente o superiore a quella oggetto stabilizzazione.
Il Tar Lazio, con sentenza n. 10153/2018, accoglie il ricorso consentendo alla ricorrente di sostenere la prova per colloquio che le permette di acquisire l’idoneità all’assunzione nel profilo professionale di “Funzionario amministrativo”, V livello professionale, presso l’ente pubblico stabilizzante.
Pertanto l’amministrazione si appella al Consiglio di Stato affermando che l’obiettivo perseguito dal legislatore con l’articolo 20, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017, consiste nel superamento del precariato e che, rispetto a tale obiettivo prioritario, gli ulteriori obiettivi pure espressamente richiamati dalla medesima disposizione di legge, e tra questi “la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato”, assumono “valore di passi successivi e presupponenti il primo”.
La sentenza
Il Consiglio di Stato ricorda che l’art. 20 del d.lgs. n. 75/17 (rubricato “Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”) prevede:
al comma 1, che “Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione;
b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”.
Al comma 2 prevede poi che, “Nello stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni, possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e ferma restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;
b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso”.
Ciò premesso, la Sezione evidenzia che, sebbene la persistenza del rapporto “precario” all’atto della partecipazione alla procedura riservata non costituisca una condizione di ammissione alla selezione, tuttavia la legge è chiara nell’individuare la platea degli aspiranti alla stabilizzazione tra i soggetti “precari”, così intesi in quanto titolari, ad oggi o in passato, di soli rapporti non stabili.
La stabilizzazione non può essere intesa, viceversa, come una forma di riconoscimento degli anni di lavoro a tempo determinato già espletati e, dunque, come uno strumento di mera valorizzazione dell’esperienza acquisita quale titolo per l’inquadramento. Al contrario, essa si delinea come un meccanismo di passaggio da una condizione di lavoro temporaneo (pregressa o ancora in essere) ad una condizione di lavoro a tempo indeterminato, sicché, cessata la prima posizione (come nel caso di specie, in cui il lavoratore abbia conseguito un contratto a tempo indeterminato e abbia abbandonato il precedente contratto a tempo determinato), non vi è più margine per poter accedere alla procedura riservata.
Pertanto il Consiglio di Stato accoglie l’appello.