Lo schema di decreto “Modifiche al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione dell’articolo 17 comma 1, lettera r), della legge 7 agosto2015, n. 124” riprova a valorizzare la produttività nel lavoro pubblico con una serie di modifiche al sistema disegnato dalla riforma Brunetta del 2009 e mai applicato (L. 15 e d.lgs. 150 del 2009).
Sul decreto si è pronunciato il Consiglio di Stato con il parere n. 00421/2017 dell’11 aprile 2017, spedito il 21 aprile al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ragione per cui il traguardo dovrebbe essere vicino.
Il decreto Madia, però, modifica in modo assai timido, e forse inutile, il ciclo di misurazione e della valutazione della performance. Restano i nnodi che hanno impedito finora di collegare i premi ad un effettivo incremento della produttività e al merito, che peraltro non possono essere risolti con lo strumento legislativo. Il rischio è che la retribuzione di risultato, anche dopo la riforma, continui ad essere una sorta di «quattordicesima mensilità», diversamente denominata, sempre più ridotta a causa delle scarse risorse a disposizione delle pubbliche amministrazioni e dei vincoli normativi, ma garantita da ciascuna organizzazione a tutti i suoi dipendenti indistintamente e, sovente, in misura non differenziata in modo significativo.
Le applicazioni virtuose dell’istituto non mancano, ma sono poche, “non sono stormi” ma piuttosto isolate rondini e, quindi, insufficienti, a segnare l’inizio della primavera. Si sa che una giornata di sole, un breve spazio di tempo non fa felice nessuno (Aristotile, ‘Etica Nicomachea).
Finalità – La finalità è sempre quella più volte comunicataci dai diversi ministri sin dalle riforme legislative dello scorso secolo: valutare, in una misura non trascurabile, la retribuzione dei pubblici dipendenti e, in particolare, dei dirigenti in base ai risultati raggiunti in termini di efficienza e in rapporto alla qualità dei servizi resi alla collettività o a determinati utenti.
E’ opportuno ricordarlo: il primo tentativo risale al d.lgs. n. 29 del 1993 e, in modo più organico, al d.lgs. n. 286/1999; l’ultimo al d.lgs. n. 150 del 1999. Per non parlare della spinta alla valutazione della prestazione lavorativa in termini di risultati e obiettivi determinati contenuta nei contratti di lavoro di settore per il personale dipendente non dirigente e per quello dirigente (per una ricognizione delle fonti, normative e contrattuali, su questo istituto, è utile, fra l’altro, leggere il parere della Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Basilicata n. 22/2011) .
La finalità, di certo nobile e condivisibile, non si è mai concretizzata nonostante siano trascorsi oltre 25 anni dal debutto di questo sistema (per una ampia disamina delle criticità, “La valutazione della dirigenza pubblica dopo la riforma Brunetta”. Attuali assetti e criticità emergenti nelle Agenzie fiscali. Il caso dell’Agenzia del Territorio” di Salvatore Lazzara, in Amministrazione In cammino, rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione).
Le pubbliche amministrazioni non hanno provveduto neppure ad integrare i loro sistemi di valutazione con le numerose e frastagliate previsioni normative che, nell’imporre determinati adempimenti, hanno previsto che il loro mancato rispetto deve essere oggetto di apprezzamento in sede valutativa e debba incidere, in alternativa o cumulativamente, direttamente sulla retribuzione di risultato (attuazione del codice dell’amministrazione digitale, rispetto dei termini del procedimento amministrativo, partecipazione alla conferenza di servizi, obblighi di trasparenza, ecc., D. Gaglioti, Performance, obblighi di legge, prime condanne e perplessità, in Azienda Italia, Il personale, n. 12/2015, p. 946 ss).
Nuova cultura dell’amministrazione – Anche i due ultimi Governi ostinatamente sono incorsi nel solito “vizietto”: puntare sulla riforma di astratte previsioni normative, anziché affrontare gli ostacoli che si frappongono all’applicazione effettiva, e non solo formale, di questo istituto. Come rileva il Consiglio di Stato nel richiamato parere n. 421 del 2017, formalmente positivo ma sostanzialmente molto critico, il decreto da solo non basta; servirebbero per introdurre le astratte previsioni normative nel difficile e peculiare contesto organizzativo pubblico “misure accompagnatorie“, finalizzate ad aiutare il cambiamento culturale, quali “ampie e generalizzate iniziative di formazione, rispettivamente, del personale, dei dirigenti e degli appartenenti alle strutture” di valutazione.
Sistema sanzionatorio – Occorrerebbe prevedere un sistema sanzionatorio, come suggerisce lo stesso Consiglio di Stato, per gli enti che non approvano il piano delle performance o la relazione che ne verifica i risultati tecnici degli OIV. Aggiungiamo che le sanzioni andrebbero previste anche per gli enti che non adottino sistemi di valutazione effettivamente premianti con evidenza dei risultati ottenuti affidata a pochi indicatori di efficacia e di efficienza, chiari e leggibili, preventivamente fissati nello stesso piano della performance.
Guarentigie per gli OIV – Il decreto cerca di rafforzare l’indipedenza, la professionalità e il ruolo degli organismi di valutazione con due accorgimenti. Primo. Introduce l’obbligo per le amministrazioni di nominare i componenti solo tra gli iscritti al relativo elenco tenuto dal Dipartimento della funzione pubblica, con esclusione degli interni. Secondo. Rende vincolante il loro parere da rendere nel processo di riconoscimento del merito e di primalità affidando, in concreto, a questo organismo il compito di valutare le prestazioni.
Questi accorgimenti sono utili ma insufficienti. Per assicurare l’effettiva indipendenza e professionalità dell’OIV, o di altro organismo analogo, sarebbe necessario sottrarre la scelta dei suoi componenti o del componente unico all’amministrazione interessata con una riforma radicale del sistema di nomina. Si potrebbe, ad esempio, prevedere che la scelta avvenga, in analogia con quanto previsto per l’organismo di revisione degli enti locali, mediante sorteggio fra gli iscritti all’elenco nazionale o, meglio, fra coloro che, iscritti all’elenco nazionale, presentano richiesta di partecipare alla selezione per la nomina. Il ruolo dell’amministrazione dovrebbe essere limitato soltanto alla verifica dei requisiti auto dichiarati dai valutatori al momento dell’iscrizione nel registro. Il compenso andrebbe adeguato ai compiti e alle responsabilità assegnate e fissato con apposito decreto in relazione alla dimensione e complessità delle organizzazioni da valutare.
Piano e relazione della performance – È da valutare positivamente la scelta di subordinare l’erogazione dei premi di risultato alla preventiva approvazione del programma degli obiettivi. Da tempo l’ARAN (note prot. 1318 del 20 febbraio 2013, 2518 del 18 marzo 2013), la Corte di conti e gli stessi servizi ispettivi del MEF hanno sostenuto che l’esistenza di un piano della performance con i risultati da conseguire da parte dei dirigenti e dei dipendenti sia un requisito di legittimità per l’assegnazione dei premi.
Il fatto che l’approvazione del piano della performance sia nella disponibilità dell’organo politico e non dei dirigenti non sposta i termini del problema. In mancanza del piano, ai dirigenti e ai lavoratori non vengono richiesti risultanti sfidanti e significativi, ma solo di assicurare la gestione di competenza già remunerata con lo stipendio fissato, nel rispetto del contratto collettivo nazionale, dal contratto individuale di lavoro.
Nella performance, a preventivo (piano) e a consuntivo (relazione), spesso mancano o sono irrilevanti gli indicatori, le misure sintetiche, espresse in forma quantitativa o qualitativa in grado di riassumere l’andamento del fenomeno con il giudizio di valutazione preventivamente dichiarato (target predefinito, serie storiche, confronto di buone pratiche, ecc.). A tale fine, non sono sufficienti meri indicatori di prodotto o di risultato (output), ma ne occorrono anche altri, quali ad esempio, indicatori di impatto o di autcome, comprensibili, controllabili e utili per misurare risultati della politica indagata (i risultati delle attività programmate devono potere essere letti con indicatori di impatto: il tasso di incidentalità stradale si è ridotto e di quale percentuale rispetto al periodo considerato; la percezione da parte dei cittadini della sicurezza urbana è aumentata e di quanto; la gestione di un certo servizio, a parità di standard qualitativi e quantitativi, è più economica rispetto al triennio precedente e in che percentuale rispetto al target predefinito; in che misura sono sati ridotti i tempi di risposta nei più rilevanti procedimenti amministrativi rispetto ai limiti massimi fissati dalla legge e dal regolamento, ecc.).
Il sospetto è che non ci sia la capacità e la volontà di organizzare la gestione amministrativa secondo sistemi di programmazione e controllo, ossia di realizzare la condicio sine qua non per avvaire un serio sistema di misurazione e valutazione del merito. Se si esaminano alcuni piani di performance anche di organizzazioni complesse ed importanti, la rispota è negativa. I piani della performance, di sovente, qualificano come obiettivi sfidanti e significativi meri adempimenti amministrativi: redigere un regolamento; effettuare riunioni in previsione di progetti o innovazioni vaghi; aggiornare un certo albo; effettuare i controlli di legge nel territorio di competenza o altre attività del genere. Ordinarie attività, spesso anche modificate nel corso dell’anno con generico riferimento a sopravvenute ulteriori incombenze, e spacciate come obiettivi significativi .
Abolizione delle fasce di merito – E’ corretta l’abolizione dell’obbligo normativo, mai attuato in mancanza del rinnovo dei contratti del pubblico impiego, delle fasce di merito previste nel 2009 dalla legge Brunetta. La loro abrogazione responsabilizza però maggiormente ciascuna amministrazione a dotarsi autonomamente di un sistema premiante selettivo che premi effettivamente chi produce di più e non indistintamente tutti.
I cittadini e gli utenti interni – Lo schema di decreto prevede la partecipazione dei cittadini e degli utenti interni al processo valutativo. In particolare, i cittadini, anche in forma associata, potranno partecipare al processo di misurazione delle performance organizzativa, eventualmente comunicando direttamente all’organismo di valutazione il proprio grado di soddisfazione per le attività e i servizi erogati. Ciascuna amministrazione è chiamata ad adottare sistemi di rilevazione del grado di soddisfazione degli utenti e dei cittadini, favorendo la partecipazione e collaborazione dei destinatati dei servizi. Questo partecipazione è opportuno ma richiede risorse per l’attuazione, senza le quali rischia di restare nel limbo dei buoni propositi (M. Rossi, Con la riforma Pa utenti interni ed esterni chiamati alla misurazione della performance, in Enti Locali & PA, 30 marzo 2017).
Conclusioni – Riassumendo, non sembra, nonostante il tempo trascorso, che la retribuzione di risultato per i dirigenti, o, in generale, la c.d. produttività per i dipendenti, assolva la sua finalità, che, si ribadisce, non è di dare un generico premio ai dipendenti o una forma atipica di aumento retributivo, ma di “compensare il raggiungimento di finalità migliorative nello svolgimento dei compiti … in relazione a specifici programmi rivolti in tal senso” (Corte conti, Sez. giur. Lombardia, 8 luglio 2008, n. 457).
Il sistema di valutazione, anche con questa ennesima riforma, fondamentalmente non cambierà e, come osserva il Consiglio di Stato nel richiamato parere, resterà fondato sulle «autodichiarazioni delle strutture interessate». E di certo non basta qualche verifica formale degli organismi di valutazione sulla corrispondenza di quanto dichiarato a quello realizzato, spesso effettuata soltanto a manleva da responsabilità. Per acquisire la prova che il sistema non funziona, sarebbe sufficiente sfogliare le tabelle con la distribuzione dei premi corrisposti ai dirigenti dai vari ministeri e enti e verificare come la composizione delle loro retribuzioni sia ricca di indennità fisse o collegate alla presenza in servizio.
La proposta è, quindi, di abbandonare lo strumento della riforma normativa o limitarlo al solo sistema di noimna degli organismi di valutazioen e inserire il tema della misurazione e valutazione del merito in un serio programma operativo di promozione del miglioramento dell’organizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, investendo risorse nella formazione continua del personale e non solo e nella riorganizzazione del lavoro e delle procedure.
Nel frattempo, sarebbe opportuno sospendere questi inutili e dispendiosi sistemi premianti, affollati di troppi onerosi adempimenti formali e di qualche garanzia per i beneficiari, ma poveri di effettivo valore per la pubblica amministrazione e per i cittadini cui sempre più vengono restituiti, anche per inefficienze e ritardi, servizi e opere scadenti, a costi elevati e in tempi biblici. E magari dirottare i risparmi per più nobili finalità.