Le assunzioni di personale presso una società in house in violazione del divieto assoluto di reclutamento disposto dall’ente pubblico partecipante e dei vincoli imposti dallo statuto societario in materia di controllo analogo determinano un danno erariale imputabile agli amministratori.
Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, sentenza 1 settembre 2015, n. 778, Pres. Savagnone, Est. Gargiulo
A margine
La vicenda risale al 2008 e riguarda l’assunzione, a tempo pieno e indeterminato, di quattro persone presso una società partecipata dalla Regione siciliana quali prossimi congiunti di altrettanti ex dipendenti deceduti appartenenti alla medesima società, pur in vigenza di precisi divieti di assunzione da parte della Regione.
La procura contabile cita i componenti del consiglio di amministrazione per vederli condannare, a favore della stessa s.p.a., al pagamento del danno erariale arrecato e quantificato prendendo a riferimento gli stipendi erogati al suddetto personale, poi licenziato a seguito della messa in liquidazione dell’ente (nel 2012).
Alla censura in merito al difetto di giurisdizione richiamata dalla difesa degli imputati alla luce della partecipazione di soggetti privati al capitale societario tale da non ritenere la predetta società “in house”, la Corte obietta affermando la sussistenza di un modello di “in house indiretto”, caratterizzato cioè, dalla partecipazione, oltre che della Regione, di società che, seppur private, hanno, a loro volta, totale partecipazione pubblica.
Per quanto riguarda poi l’eccezione di prescrizione sollevata da tutti i convenuti in relazione al tempo risalente dei fatti (anno 2008), la Corte invoca l’articolo 1, c. 2 della legge n. 20-1994, secondo cui “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta” e la consolidata giurisprudenza contabile per cui “quando l’asserito danno è costituito dalla somma di pagamenti che si protraggono nel tempo, tutti riconducibili a un unico atto deliberativo o, comunque, a un’unica manifestazione di volontà, il termine iniziale della prescrizione non va identificato nel momento in cui è sorto l’obbligo giuridico di pagare, ma nella data di ciascun pagamento”.
La Corte applica alla fattispecie i principi fissati dalla giurisprudenza, seppur elaborati per vicende diverse (fra le altre: Corte dei conti, Sez. giur. Sicilia, sent. n. 244 del 13 marzo 2015; Sez. App. Sicilia, sent. n. 389 del 19 settembre 2014; Sez. giur. Sicilia, sent. n. 2681 dell’11 luglio 2013; Sez. giur. Piemonte, sent. n. 6 del 16 gennaio 2013), quando una norma [anche regolamentare (Sez. App. Sicilia, sent. n. 430 del 28 ottobre 2014)] vieti determinate spese, ritenendole implicitamente non utili, è sufficiente, affinché si realizzi il danno erariale, la circostanza che le medesime spese siano state eseguite in violazione di tali divieti, non essendo possibile tener conto dei vantaggi conseguiti dall’amministrazione riguardo all’attività vietata.Ciò considerato, la domanda giudiziale proposta dal PM risulta correttamente formulata in quanto tiene conto “degli importi esterni al quinquennio prescrizionale” valutando esclusivamente il monte stipendi di ciascuno dei lavoratori in questione relativamente ai CUD 2013, 2012 e 2011 e alla metà del CUD 2010.
Il giudice contabile, nello specifico, richiama, oltre l’atto di indirizzo dell’allora presidente della Regione siciliana sulla sospensione della possibilità di assumere, anche il verbale con cui il Comitato di controllo societario, quale organismo tramite cui la Regione effettua il controllo analogo verificando “la rispondenza degli atti del consiglio di amministrazione alle direttive ed agli indirizzi dell’amministrazione regionale”, non ha approvato le assunzioni in parola invitando invece il CDA a rimettere la questione all’assemblea dei soci dove la stessa Regione avrebbe potuto, nell’eventualità, disporre una deroga ai predetti vincoli.
Il consiglio di amministrazione, disattendendo tali indicazioni, ha invece dato seguito alle assunzioni ponendo in essere un’attività vietata e determinando un danno erariale a carico della società che non permette di tener conto dei vantaggi eventualmente conseguiti (in tal senso Corte dei conti, sez. giur. Sicilia, sent. n. 244 del 13 marzo 2015; sez. app. Sicilia, sent. n. 389 del 19 settembre 2014; sez. giur. Sicilia, sent. n. 2681 dell’11 luglio 2013).
Da ultimo, pur ritendo la questione assorbita dagli altri aspetti in esame, la Corte ricorda l’obbligo “di evidenza pubblica previsto dall’art. 18 del D.l. n. 112-2008” per la selezione di personale non rispettato dalla società, che ha invece utilizzato la chiamata diretta.
La Corte dei conti dichiara, quindi, la responsabilità amministrativa dei componenti del CDA, condannandoli a rifondere le somme illegittimamente erogate a titolo di stipendio ai soggetti illegittimamente assunti
Simonetta Fabris