IN POCHE PAROLE…
Mansioni superiori solamente nel caso in cui le stesse siano svolte, di fatto, in modo prevalente ed abituale. Spetta ai dirigenti il compito di assumere le necessarie iniziative per garantire che le condizioni di svolgimento delle prestazioni lavorative siano pienamente conformi ai requisiti previsti dalla normativa e, in tale ambito, viene compresa anche la necessità di assumere iniziative per evitare il maturare di condizioni negative derivanti dallo «stress da lavoro correlato».
Corte di Cassazione, sentenza della sezione lavoro 26 novembre 2024, n. 25772 – Pres. Di Paolantonio A., Rel. Bellè R.
Per la Corte di Cassazione si hanno le mansioni superiori solamente nel caso in cui le stesse siano svolte in modo prevalente ed abituale. Ed ancora, la impossibilità di svolgimento, a seguito dei comportamenti dell’ente, delle mansioni assegnate può determinare una condizione di stress senza che il dipendente in sede di contenzioso debba necessariamente provare il nesso diretto ed immediato. Si deve evidenziare che ambedue tali sentenze evidenziano il ruolo essenziale ed il coinvolgimento diretto dei dirigenti, cui ricordiamo che il d.lgs. n. 165/2001 assegna il ruolo e le capacità dei privati datori di lavoro.
Siamo in presenza di importanti e, per molti aspetti, innovativi principi dei quali le amministrazioni devono tenere adeguatamente conto e che devono, in particolare, essere assunte come indicazioni, a cui devono dare necessariamente attuazione i dirigenti.
Le mansioni superiori
Per potere considerare le mansioni svolte come superiori occorre che si possa parlare di prevalenza e di abitualità delle stesse. E’ quanto si legge nella sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 25772/2024.
Leggiamo, in particolare, che “il giudizio trifasico, da esprimere in relazione all’intero arco temporale di preteso svolgimento delle mansioni superiori, deve essere effettuato avuto riguardo alla contrattazione collettiva, nazionale ed integrativa, ratione temporis vigente, e deve essere condotto nel rispetto dei principi tutti che differenziano l’impiego pubblico contrattualizzato rispetto al lavoro alle dipendenze dei datori di lavoro privati; in particolare, è stato precisato che: a) il giudizio trifasico, che si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (cfr. fra le tante Cass. n. 25644/2023 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione), nell’impiego pubblico contrattualizzato deve tener conto del principio dell’equivalenza formale delle mansioni, che può essere definita dai contratti collettivi anche attraverso la previsione di aree omogenee nelle quali rientrino attività tutte parimenti esigibili”.
Il punto centrale della pronuncia è il seguente: “al fine di verificare se vi sia stato o meno, in concreto, lo svolgimento di mansioni superiori, l’operazione di sussunzione nell’inquadramento di riferimento o superiore, dovrà essere effettuata dal giudice, previo accertamento in fatto di quali siano state le mansioni in concreto svolte, in termini di abitualità e prevalenza, con un giudizio non solo quantitativo, ma anche qualitativo e temporale e che tenga altresì conto della pienezza o meno dei poteri e delle correlate responsabilità”.
Come si vede, non assume un rilievo centrale il dato formale, cioè l’effettiva assegnazione di mansioni superiori da parte del dirigente competente: acquista un rilievo predominante il dato sostanziale il dato di fatto, cioè le mansioni effettivamente svolte. Si deve ricordare che l’articolo 52 del d.lgs. n. 165/2001, che ricordiamo essere la norma essenziale di riferimento, responsabilizza direttamente i dirigenti. Dallo svolgimento in modo illegittimo di mansioni superiori può scaturire infatti una loro responsabilità in termini amministrativo contabili, quindi dinanzi alla Corte dei Conti. Ed inoltre vi è un collegamento diretto con la possibile maturazione di responsabilità dirigenziale, di cui quindi tenere conto necessariamente in sede di valutazione delle performance.
Le mansioni
Costituisce una legittima fonte per la richiesta del risarcimento la condizione di stress determinata dalla mancata assegnazione di mansioni ad un dipendente. E’ quanto ci dice la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 22161/2024.
In premessa leggiamo che “il comportamento del datore di lavoro che lasci in condizione di forzata inattività il dipendente, pur se non caratterizzato da uno specifico intento persecutorio ed anche in mancanza di conseguenze sulla retribuzione, può determinare un pregiudizio sulla vita professionale e personale dell’interessato, suscettibile di risarcimento e di valutazione anche in via equitativa”. Dal che ne deriva che “l’articolo 2807 del codice civile è generale fonte di un obbligo in base al quale è compito del datore di lavoro la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato .. In questa prospettiva di progressiva rilevanza della dimensione organizzativa quale fattore di rischio per la salute dei lavoratori si alimenta l’obbligazione di sicurezza gravante sul datore di lavoro”.
Il Giudice di legittimità aggiunge che “il giudice, allorquando non abbia le cognizioni tecnico-scientifiche necessarie ed idonee a ricostruire e comprendere la fattispecie concreta in esame nella sua meccanicistica determinazione ed evoluzione, pur essendo peritus peritorum deve fare invero ricorso a una consulenza tecnica di tipo percipiente, quale fonte oggettiva di prova, sulla base delle cui risultanze è tenuto a dare atto dei risultati conseguiti e di quelli viceversa non conseguiti o non conseguibili, in ogni caso argomentando su basi tecnico-scientifiche e logiche. il giudice può anche disattendere le risultanze della disposta c.t.u. percipiente, ma solo motivando in ordine agli elementi di valutazione adottati e agli elementi probatori utilizzati per addivenire all’assunta decisione, specificando le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni dell’ausiliare”.
Anche nella concreta assegnazione delle mansioni acquista, quindi, un ruolo particolarmente rilevante il dirigente, che ricordiamo essere il soggetto che è preposto alla loro concreta individuazione ed alle necessarie verifiche. Il che determina, in primo luogo, la necessità della valutazione della congruenza tra le mansioni assegnate ed il profilo di inquadramento. Ricordiamo che nel pubblico impiego il conferimento di mansioni superiori è legittimo solo nelle fattispecie previste dal d.lgs. n. 165/2001, cioè per coprire un posto vacante in dotazione organica, con la necessità che l’ente indica le relative procedure, e/o per la sostituzione di personale assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro (art. 52, comma 2). E che, fuori da queste ipotesi, il principio è che “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive”
La sentenza è non meno importante perché responsabilizza le amministrazioni e, quindi, i dirigenti ad assumere tutte le necessarie iniziative per garantire che le condizioni di svolgimento delle prestazioni lavorative siano pienamente conformi ai requisiti previsti dalla normativa e, in tale ambito, viene compresa anche la necessità di assumere iniziative per evitare il maturare di condizioni negative derivanti dallo stressa da lavoro correlato.
dott. Arturo Bianco