La condotta del pubblico funzionario è sempre sanzionabile in caso di utilizzo di somme di natura pubblica in macroscopica violazione del procedimento amministrativo ovvero senza alcun riferimento alle finalità istituzionali dell’amministrazione

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 49922 del 4 luglio 2018Presidente Fidelbo, relatore Scalia

A margine

Un funzionario comunale, condannato anche in 2° grado per avere disposto la liquidazione di compensi incentivanti, non dovuti, per attività finalizzate al recupero dell’I.C.I., propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza d’appello.

Secondo la sentenza impugnata:

  • l’erogazione dei compensi non avrebbe dovuto aver luogo stante l’intervenuto affidamento a società esterne del servizio di accertamento e riscossione;

  • gli importi comunque liquidati erano stati determinati con modalità di calcolo difformi da quelle previste nel regolamento locale ed in difetto delle autorizzazioni e dei relativi pareri di conformità;

  • il pagamento sarebbe avvenuto con dolo «fuori busta paga» senza inserimento delle somme erogate nei CUD del personale interessato.

Il funzionario aveva, in particolare, disposto i pagamenti facendo riferimento alle somme soltanto accertate e non alle quelle effettivamente incassate dal Comune a titolo di imposta evasa, con conseguente liquidazione degli incentivi per importi virtuali e con utilizzo dei residui degli esercizi precedenti; non aveva costituito il fondo finalizzato a potenziare l’ufficio tributi ed aveva liquidato a sé stesso i compensi incentivanti in posizione di conflitto di interesse

Alle sentenze di primo e secondo grado, di condanna per peculato, erano quindi seguite l’estinzione del rapporto di lavoro, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la condanna al risarcimento dei danni in favore del Comune.

In sede di ricorso per Cassazione, il funzionario sostiene di avere costituito il fondo con l’inserimento in bilancio della previsione di entrata a titolo di I.C.I. evasa, verificabile in sede di rendiconto, e con l’adozione di una serie di determinazioni con cui disponeva il pagamento dei compensi maturati sul conto residui passivi dell’esercizio precedente.

Le percentuali di compensi liquidate potevano, inoltre, essere effettivamente controllate dagli organi politici, considerato che il bilancio veniva approvato dalla giunta e dal consiglio comunale e che era stato corredato della relazione dei revisori, senza alcun rilievo di illegittimità sul modus operandi adottato.

Erronea sarebbe anche la tesi del conflitto di interessi nell’autoliquidazione degli incentivi, trattandosi di adempimento cui nessun funzionario comunale altro avrebbe potuto provvedere.

Per la difesa dell’imputato, il funzionario non poteva essere ritenuto penalmente responsabile, in quanto soggetto incaricato di «posizione organizzativa» comprensiva della direzione e del coordinamento di un ufficio, ma privo di responsabilità dirigenziali; solo alcuni dei pagamenti sarebbero intervenuti con mandati distinti dalle «buste paga», e, in ogni caso con le ritenute di legge operate sui compensi lordi; all’epoca dei fatti, il regolamento comunale non avrebbe escluso la spettanza degli incentivi nonostante l’esternalizzazione del servizio considerato, tra l’altro, che le società affidatarie non operavano per il recupero dell’I.C.I. evasa, mancando delle autorizzazioni necessarie e della competenza professionale; la mancata predeterminazione dei dipendenti coinvolti in un apposito «progetto» di recupero dell’evasione integrerebbe solo una mera irregolarità nell’erogazione dell’incentivo.

La sentenza 

I giudizi di Piazza Cavour osservano che la cornice penale del caso si intreccia con quella delle norme di natura amministrativo-contabile che determinano la destinazione del pubblico danaro.

La condotta del pubblico funzionario è infatti sempre sanzionabile in caso di utilizzo di somme di natura pubblica in macroscopica violazione del procedimento amministrativo ovvero senza alcun riferimento alle finalità istituzionali dell’amministrazione.

Nel caso di specie,  il Comune aveva scelto di destinare una percentuale del gettito al fine di potenziare l’ufficio tributario addetto al recupero dell’I.C.I. evasa, stabilendo l’attribuzione di compensi incentivanti al personale addetto. Sulla scorta di quanto previsto dal CCNL, il comune avrebbe dovuto anche istituire l’apposito fondo approvando un programma o un progetto in cui determinare, insieme all’ammontare dell’incentivo stabilito in misura percentuale dell’I.C.I. accertata, anche gli obiettivi e gli indicatori di produttività del personale coinvolto.

In questo modo i dipendenti si sarebbero potuti valutare in collegamento con i loro incrementi di produttività e col miglioramento dei livelli di efficienza e di qualità dei servizi, e avrebbero potuto ricevere i compensi, sulla base di quanto deciso in sede di contrattazione decentrata, in modo correlato al merito ed ai risultati conseguiti, senza alcun automatismo .

Mancando un apposito progetto, il funzionario comunale ha, di fatto, erogato in modo incontrollato o «a pioggia» degli emolumenti economici in favore dei dipendenti del comune.

Il sistema da questi adottato per la liquidazione degli incentivi in acconto, sugli avvisi di imposta inviati ai contribuenti e non contestati, e con utilizzo dei residui degli anni precedenti è indice, tra l’altro, della mancanza di un realizzo in termini di cassa delle somme da destinarsi all’incentivo..

L’erogazione dei compensi avrebbe dovuto infatti conseguire al consolidamento dell’imposta per relativo accertamento.

Anche l’obiezione circa la mancata titolarità di funzioni dirigenziali è ritenuta superata dalla constatata mancanza del fondo incentivante quale presupposto per l’erogazione di emolumenti aggiuntivi in favore del personale.

L’assenza del progetto rileva anche per confermare il dolo nella condotta tenuta dall’imputato, per avere questi provveduto alla liquidazione senza la predeterminazione di obiettivi con commisurazione dei risultati raggiunti agli incentivi erogati, all’interno di un procedimento in cui si sarebbe dovuto coinvolgere anche l’organo politico dell’ente locale.

In ultima analisi, a parere della Cassazione, la complessità delle norme amministrativo-contabili, chiamata in causa dal funzionario a propria difesa, non ne scusa la condotta: da qui la conferma della sua condanna per peculato.

Stefania Fabris


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