QUESITO
“Un dipendente pubblico chiede se può svolgere attività retribuite di collaborazione per una associazione sportiva dilettantistica. In caso affermativo, chiede quali siano gli adempimenti cui è tenuto nei confronti dell’amministrazione pubblica di appartenenza”.
RISPOSTA
Fino al prossimo 30 giugno 2023, la disciplina di riferimento è contenuta nella legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003). La legge n. 289, al comma 23 dell’articolo 90, “Disposizioni per l’attività sportiva dilettantistica”, prevede che i dipendenti pubblici possano prestare la propria attività, nell’ambito delle società e associazioni sportive dilettantistiche, fuori dall’orario di lavoro, purché a titolo gratuito. Per tali prestazioni sportive possono essere rimborsate esclusivamente le spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale di residenza. Tali rimborsi non concorrono a formare il reddito del percipiente.
Fatti salvi gli obblighi di servizio, il dipendente interessato è tenuto a comunicare, in via preventiva, all’amministrazione di appartenenza l’incarico che l’ente intende affidargli.
Il decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, contenente disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, e di lavoro sportivo, introduce importanti novità in materia. La riforma entrerà in vigore il 1° luglio 2023 , dopo l’ulteriore rinvio disposto dal c.d. Milleproroghe 2023 (v. art. 51 D.Lgs 36/20, come modificato, da ultimo, dall’art. 16, comma 1, del D.L.29 dicembre 2022, n. 198).
Ai sensi della su richiamata normativa del 2021, dal prossimo 1° luglio 2023, i pubblici dipendenti, in qualità di volontari, potranno continuare ad operare nello sport, previa semplice comunicazione all’amministrazione di appartenenza. Mentre, se intendono prestare la loro attività dietro compenso, dovranno munirsi di preventiva autorizzazione del loro datore di lavoro pubblico.
In tale caso, si applica il regime previsto per le prestazioni sportive di cui all’articolo 35, commi 2, 8-bis e 8-ter e all’articolo 36, comma 6. L’articolo 35, comma 2, prevede che nell’area del dilettantismo i lavoratori sportivi, titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa o che svolgono prestazioni autonome, hanno diritto all’assicurazione previdenziale e assistenziale e a tale fine essi sono iscritti alla Gestione separata INPS.
Il medesimo articolo 35 dispone, al comma 8-bis, che l’aliquota contributiva pensionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche, sono calcolate sulla parte di compenso eccedente i primi 5.000,00 euro annui e, al comma 8-ter, che, fino al 31 dicembre 2027, la contribuzione è dovuta nei limiti del 50 per cento dell’imponibile contributivo. L’imponibile pensionistico è ridotto in misura equivalente.
L’articolo 36, comma 6, come modificato dal decreto legislativo 5 ottobre 2022, n. 163, prevede poi che i compensi di lavoro sportivo nell’area del dilettantismo non costituiscono base imponibile ai fini fiscali fino all’importo complessivo annuo di euro 15.000,00. Qualora l’ammontare complessivo dei suddetti compensi superi il limite di euro 15.000,00, esso concorre a formare il reddito del percipiente solo per la parte eccedente tale importo.
L’articolo 25 del decreto legislativo n. 36/2021 prevede, inoltre, che i dipendenti pubblici possono anche ricevere i premi e le borse di studio erogate dal CONI, dal CIP e dagli altri soggetti ai quali forniscono le proprie prestazioni sportive.
Occorre ricordare che nel pubblico impiego vige il c.d. «regime di incompatibilità», in applicazione del principio costituzionale di «esclusività» della prestazione lavorativa pubblica previsto dall’art. 98 della Cost. secondo cui «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». E deroghe a tale principio possono essere consentite o autorizzate solo per attività marginali, non continue e non professionali, se compatibili con gli obblighi di servizio.
Quindi, la normativa sulla riforma dello sport deve essere coordinata con quella del cosiddetto “doppio lavoro” nel pubblico impiego, contenuta nell’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 sul lavoro pubblico contrattualizzato.
Nella fattispecie oggetto del quesito, le disposizioni di riferimento sono previste dai commi da 7 a 13 del suddetto articolo 53, rubricato appunto “Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi”.
Tali disposizioni dettano regole puntuali per lo svolgimento da parte dei dipendenti pubblici (non a tempo parziale inferiore al 50%) di incarichi retribuiti extra-istituzionali c.d. “autorizzabili”.
Il procedimento è abbastanza semplice. Il privato (in questo caso la società o associazione sportiva), destinatario della prestazione, oppure direttamente il dipendente interessato, ai sensi del su richiamato art. 53, deve chiedere l’autorizzazione all’amministrazione prima del conferimento dell’incarico. L’amministrazione deve valutare la richiesta secondo criteri oggettivi che ha l’obbligo di predeterminare, con l’avvertenza che in mancanza l’autorizzazione non può essere concessa. I criteri, che devono tenere conto della specifica professionalità del dipendente interessato, servono ad escludere casi di incompatibilità, di fatto e di diritto, o situazioni in conflitto di interesse, anche potenziale con la specifica funzione svolta e con il ruolo ricoperto che possano compromettere l’esercizio imparziale delle funzioni (si pensi ad esempio al responsabile della struttura organizzativa competente per il servizio sport).
L’amministrazione deve esprimersi entro trenta giorni dalla ricezione dell’istanza di autorizzazione, trascorsi i quali la richiesta del privato s’intende definitivamente negata, in base all’istituto del silenzio – rigetto (invece, trascorso il termine di 30 gg, l’autorizzazione s’intende concessa nel caso che l’attività debba essere prestata ad altra amministrazione pubblica).
Nel caso di violazione del divieto di svolgere incarichi extra-istituzionali senza autorizzazione, e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti (art. 53, comma 7).
L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti (art. 53, comma 7-bis).
Le associazioni o le società sportive dilettantistiche (così come qualsiasi altro soggetto privato), entro quindici giorni dal pagamento del compenso, sono tenute a darne comunicazione all’amministrazione di appartenenza. Sul punto, è da ricordare che la Corte costituzionale, con sentenza 29 aprile – 5 giugno 2015, n. 98 (in G.U. 1ª s.s. 10/6/2015, n. 23), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 15, del D.Lgs. 165/2001, nella parte in cui prevede che «I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9». Ne consegue che l’obbligo di comunicazione all’amministrazione dei compensi corrisposti al dipendente autorizzato è sprovvista di qualsiasi sanzione.
a cura di Marina Ferrara
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