E’ illegittimo il conferimento di un incarico dirigenziale senza pubblico concorso. Il reclutamento mediante concorso pubblico si rende nessario anche nel caso di assegnazione dell’incarico dirigenziale ad un funzionario in servizio presso la stessa amministrazione.
Corte costituzionale, sentenza 25 febbraio – 17 marzo 2015, n. 37 – Pres. Criscuolo, Red. Zanon
La questione di legittimità
Lo scrutinio di legittimità costituzionale è stato richiesto alla Corte costituzionale con ordinanza del 26 novembre 2013 del Consiglio di Stato, sezione IV, investito dell’impugnazione, fra l’altro, di una sentenza (1) di annullamento della deliberazione del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate, con la quale era stato prorogato il termine previsto dall’art. 24 del regolamento di amministrazione dello stesso Ente per la stipulazione di contratti a termine con i funzionari interni.
La questione di legittimità sollevata dal Consiglio di Stato, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, ha riguardato, nello specifico, l’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento“, nel quale, in buona sostanza, era stata trasfusa la suddetta disposizione regolamentare dell’Agenzia delle entrate annullata dal giudice di prime cure.
La disposizione censurata, in particolare, autorizzava l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio:
1. ad espletare procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, al fine di far fronte all’ esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione;
2. ad attribuire, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, incarichi dirigenziali, con apposita procedura selettiva, a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali e per il tempo necessario per la copertura dei posti vacanti.
La stessa disposizione precisava:
– ai funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti;
– a seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali, le suddette Agenzie non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 19, comma 6, del D.Lgs. n. 165 del 2001;
– la sanatoria degli incarichi dirigenziali già affidati dalle Agenzie in parola a propri funzionari.
Il termine per il completamento delle procedure concorsuali, originariamente fissato al 31 dicembre 2013, era stato prorogato, prima al 31 dicembre 2014, con l’art. 1, comma 14, del decreto legge n. 150 del 2013 e, poi al 30 giugno 2015, con l’art. 1, comma 8, del decreto legge n. 1902 del 2014. La Dirpubblica, Federazione del Pubblico Impiego, intervenuta nel giudizio innanzia alla Corte, ha chiesto l’estensione, per connessione, della questione di legittimità costituzionale anche alle suddette norme di proroga.
La sentenza
Il Giudice delle leggi, con la sentenza annotata, ha ritenuto fondata la questione. E ha riconfermato, in buona sostanza, la costante giurisprudenza costituzionale in materia: (1) la regola del pubblico concorso per il conferimento di incarichi dirigenziali non può essere elusa; (2) la necessità del concorso anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio
La Corte, con approfondite motivazioni, ha concluso in conseguenza per la dichiarazione di illegittimità costituzionale di tutte le norme censurate.
Con particolare riferimento al ricorso all’istituto dei contratti individuali con funzionari in servizio come metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti, la Corte ha obiettato, innanzitutto, che per il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente è possibile utilizzare solo i seguenti modelli due modelli:
a) attibuzione di funzioni superiori: ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs n. 165 del 2001, è possibile attribuire le funzioni superiori nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti ;
b) istituto della reggenza: come previsto in generale dall’art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, la reggenza consente l’assegnazione di posizioni dirigenziali per colmare vacanze determinate da situazioni imprevedibili, a condizione però che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura.
Per il Giudice delle leggi, nella fattispecie oggetto di scrutinio costituzionale, non sarebbe stato possibile il ricorso al primo modello, in quanto l’istituto dell’attribuzione delle funzioni superiori è applicabile solo nell’ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, e non può essere utilizzato per il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (Corte cost. n. 17 del 2014; ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 12 aprile 2006, n. 8529, e 26 marzo 2010, n. 7342). E il secondo modello sarebbe stato utilizzabile solo nel rispetto delle caratteristiche essenziali della “reggenza”, ossia della straordinarietà e temporaneità degli incarichi (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 22 febbraio 2010, n. 4063, 16 febbraio 2011, n. 3814, 14 maggio 2014, n. 10413), presupposti però non ricorrenti nella fattispecie in esame come provato dalle reiterate proroghe del termine iniziale (TAR Lazio, Roma, seconda sezione, sentenze 30 settembre 2011, n. 7636, e 1° agosto 2011, n. 6884).
Ha osservato, inoltre, la Corte che, in considerazione dell’organizzazione interna, la funzionalità delle Agenzie non sarebbe stata condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata, essendo stato possibile il ricorso “all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale come affermato dalla giurisprudenza tributaria di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’ufficio e sulla sua idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione tributaria civile, sentenze 9 gennaio 2014, n. 220; 10 luglio 2013, n. 17044; 10 agosto 2010, n. 18515; sezione sesta civile T, 11 ottobre 25012, n. 17400)”.
La Corte costituzionale ha concluso, quindi, che l’articolo 8, comma 24, del decreto – legge n. 16 del 2012, come convertito, nonostante la sua dichiarata ma non reale temporaneità, “ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Per questo, ne va dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost“. In via conseguenziale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche delle richiamate norme di proroga del termine iniziale, in quanto connesse alla norma principale censurata.
Commento
1.000 Uffici senza dirigenti, 800 incarichi dirigenziali revocati nella sola Agenzia delle entrate. E’ questo il quadro allarmante dopo la sentenza della Corte costituzionale n.37. Ma la colpa non è certo del Giudice delle leggi. La sentenza, infatti, non è innovativa e, se non fosse per il caos organizzativo che ha causato negli uffici finanziari, non meriterebbe particolare attenzione.
La Corte nella pronuncia, infatti, si è limitata a confermare la costante giurisprudenza costituzionale in materia: il pubblico concorso è la regola nell’ambito della pubblica amministrazione, che non può essere aggirata dal legislatore e non ammette eccezioni, se non limitate e temporanee per circostanze straordinarie. Come precisato nella stessa sentenza, numerose sono i precedenti in cui la Corte ha affermato questo principio e, seppure in modo non esaustivo, ma ex plurimis, li ricorda: sentenze n. 19 del 2002; n. 205 del 2004; n. 293 del 2009; n. 159 del 2010; n. 217 del 2012; n. 17 del 2014 ecc.
Sono legittime allora, alcune domande, se si vuole retoriche e provocatorie, ma indispensabili: quante sentenze della Corte costituzionale sono necessarie per convicere il legislatore nazionale e quello regionale che nel nostro ordinamento il concorso pubblico è la modalità ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego? Non sarebbe ora di cambiare “verso” anche su questo versante? Si ha o no la reale intenzione di riformare la Pubblica amministrazione? Si può prescindere nel farlo dal rivalutare, non solo formalmente, il merito?
Ci permettiamo, inoltre, di consigliare ai nostri parlamentari in sede di esame del disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione, la rilettura delle sentenze della Corte in materia. La riforma Madia, che di recente ha superato il vaglio della Commissione Affari costituzionale del Senato, contiene, infatti, disposizioni non certo in perfetta linea con la sostanza della regola del pubblico concorso. Basti pensare all’abolizione negli enti locali della figura del segretario comunale che, a regime, sarà sostituito con un soggetto scelto fiduciariamente dal sindaco fra i dirigenti locali, e che assumerà la responsabilità dirigenziale di vertice per investitura del “principe” senza un percorso formativo e selettivo; oppure, all’ampliamento della percentuale di dirigenti a contratto che possono essere assunti negli enti locali con una procedura solo formalmente selettiva, ma sostanzialmente aperta a nomine esclusivamente fiduciarie.
Si ritiene, infine, di dovere rimarcare che la Corte costituzionale nella sentenza n. 37 ha affermato, a chiare lettere, che la regola del pubblico concorso non può essere aggirata dal legislatore. E’ opportuno enfatizzare questo passaggio della pronuncia, perché corre voce che il Governo, per porre rimedio al caos determinato nelle organizzazioni delle Agenzie fiscali da questa censura costituzionale, stia pensando ad una disposizione che preveda l’attribuzione, non è chiaro con quali modalità, ai funzionari di incarichi “quasi” dirigenziali, prevedendo un trattamento economico vicino, anche se non uguale, a quello dei dirigenti. E’ auspicabile che la notizia sia priva di ogni fondamento. Diversamente, saremo al solito gattopardismo o gattopardite: si simula il cambiamento perché tutto resti quasi come prima della sentenza.
(1) L’appello al Consiglio di Stato era stato proposto dall’Agenzia delle Entrate per la riforma delle sentenze del Tar Lazio, Roma, sez II, nn.269/2011; 06884/2011 2011 e n. 07636/2011. Il CdS con sentenza 18 novembre 2013, n. 5451 ha riunito i suddetti ricorsi stante la loro connessione.