Un nostro lettore chiede se il divieto di assunzioni per regioni e comuni introdotto dal comma 424 della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) per consentire la ricollocazione del personale provinciale in soprannumero concerna anche le procedure di mobilità volontaria tra enti effettuate ai sensi dell’art. 30 del D.lgs n. 165/2001.
RISPOSTA
La legge di stabilità per il 2015 (L. n. 190/2014), ai commi 420 e seguenti, al fine di risolvere il problema del personale provinciale in esubero, ha dettato una serie di disposizioni, invero di difficile lettura, finalizzate al riassorbimento dei dipendenti che saranno destinati alle procedure di mobilità, in quanto soprannumerari.
Il comma 424 della legge, in particolare, prescrive che le regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, devono destinare le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nella percentuale stabilita dalla normativa vigente, all’immissione nei ruoli dei vincitori di concorso per graduatorie approvate alla data del 1° gennaio 2015 e alla ricollocazione nei propri ruoli del personale delle province soprannumerario destinatario dei processi di mobilità.
La stessa disposizione stabilisce che le assunzioni effettuate in violazione di tali prescrizioni sono nulle. E’ consigliabile, quindi, attendere un chiarimento dalla Funzione Pubblica.
Ciò premesso, si ritiene che diverse argomentazioni potrebbero far preferire l’interpretazione secondo cui la mobilità volontaria tra enti, ai sensi dell’art. 30 del testo unico sul pubblico impiego, non rientri nell’ambito oggettivo di applicazione della disposizione contenuta nel comma 424 citato.
Giova innanzitutto ricordare che la natura giuridica della mobilità volontaria ha dato luogo nel passato a un dibattito dottrinario e giurisprudenziale da tempo ampiamente sopito e superato.
Risulta, ormai da tempo assodato, sia in giurisprudenza, sia in dottrina, nella prassi, sia nel diritto positivo, per espressa formulazione dell’art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001, che la mobilità dà luogo a una cessione del rapporto di lavoro, ossia a una mera modifica soggettiva del rapporto di lavoro.
Tale assunto è suffragato innanzitutto a livello di diritto positivo dalla formulazione dell’art. 30 del D.Lgs n. 165/2001, secondo il quale: “1. Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altra amministrazione, che facciano domanda di trasferimento.”
Ed è confermato poi:
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dal consolidamento di un orientamento giurisprudenziale maturato nel tempo. Dopo pronunce in tal senso della Corte di Cassazione, la quale ha affermato testualmente che la mobilità ha natura di cessione del contratto e di modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, nonché che essa non è equiparabile a un concorso pubblico, né istituto comunque equiparabile (Cass., Sezioni Unite, 12 dicembre 2006, n. 26420, Cass., Sezioni Unite, 6 marzo 2009, n. 5458), più recentemente anche il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5085/2011 ha chiarito che l’istituto della mobilità non comporta la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro e quindi assunzione, ma solo la cessione di un contratto già in essere con la pubblica amministrazione di appartenenza;
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dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 18 aprile 2008, n. 4, la quale testualmente recita: “In proposito appare opportuno ricordare che la mobilità di personale non può essere considerata cessazione: a seguito del trasferimento infatti, il rapporto di lavoro prosegue con un altro datore di lavoro….. Pertanto, la cessazione per mobilità non può essere considerata utile ai fini delle assunzioni vincolate alle cessazioni verificatesi nell’anno precedente”;
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dall’orientamento assunto dalla Corte dei Conti in materia di rapporti tra l’istituto della mobilità e le spese di personale. Con delibera n. 46/2011 le Sezioni riunite hanno affermato che la mobilità non può essere considerata né tra le cessazioni, né tra le assunzioni quando avviene tra autonomie locali. Inoltre, come chiarito anche dalla più recente e specializzata dottrina, occorre considerare che attualmente tutti gli enti locali hanno limiti alle assunzioni e, pertanto, viene meno la distinzione tra enti che hanno limiti e quelli che non ne hanno ai fini delle mobilità in entrata e in uscita (cfr. Gianluca Bertagna, in Il Sole 24 Ore n. 277 del 10/10/2011, pag. 15);
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dalla dottrina più recente, secondo la quale gli oneri per la mobilità in uscita non vanno ricompresi tra quelli del personale cessato ai fini della determinazione del tetto alla spesa per le nuove assunzioni, mentre quelli per la mobilità in entrata non rientrano nel tetto del budget a disposizione di ogni amministrazione per le assunzioni a tempo indeterminato (Arturo Bianco).
Quanto finora sostenuto è coerente con le disposizioni contenute nel comma 424 della L. n. 190/2014.
Orbene, è utile ribadire che per determinare le risorse da destinare alle assunzioni a tempo indeterminato non si tiene conto né delle mobilità in uscita, né di quelle in entrata proprio perché queste, come ampiamente dimostrato, non costituiscono cessazioni. Le cessazioni, infatti, sono presupposto indispensabile proprio per determinare le risorse da destinare a nuove assunzioni.
La conseguenza logica e giuridica che quando l’avvio della procedura di mobilità volontaria non prelude a una assunzione di personale non è dovuta la comunicazione prevista dall’art. 34-bis del D.Lgs n. 165/2001.
Tale ipotesi si verifica quando non si è determinata alcuna cessazione negli anni precedenti che possa legittimare una nuova assunzione, ma ricorrono solo i presupposti per avviare una procedura di mobilità volontaria.
L’opzione interpretativa descritta è suffragata dall’espressa formulazione dell’art. 34 bis del D.Lgs citato, il cui comma 1 dispone la comunicazione del livello e della destinazione per le quali si intende bandire il concorso, prima di avviare le procedure di assunzione.
Sull’argomento del blocco delle assunzioni, leggi anche in questa rivista l’articolo di Michele Toschi