Non c’è tregua alle riforme della disciplina della dirigenza pubblica assunta a tempo determinato o, come si suol definire, “a contratto”. Il legislatore continua ad oscillare tra l’enunciazione della volontà di porre in essere una disciplina maggiormente rispettosa della Costituzione tendendo a porre un freno agli incarichi dirigenziali esterni e l’opposta volontà di assicurare, comunque, alla politica la possibilità di inserire nei ruoli dirigenziali persone “di fiducia”.
Ne è un esempio palmare l’articolo 1, comma 39, della Legge n. 190/2012 (anticorruzione), che contiene questa altalena di volontà addirittura al suo interno: “Al fine di garantire l’esercizio imparziale delle funzioni amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché le aziende e le società partecipate dallo Stato e dagli altri enti pubblici, in occasione del monitoraggio posto in essere ai fini dell’articolo 36, comma 3, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni, comunicano al Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite degli organismi indipendenti di valutazione, tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuate discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione. I dati forniti confluiscono nella relazione annuale al Parlamento di cui al citato articolo 36, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e vengono trasmessi alla Commissione per le finalità di cui ai commi da 1 a 14 del presente articolo”.
Come si nota, la disposizione ha una costruzione piuttosto strana. La prima parte esordisce con l’enunciazione di due volontà:
a) garantire l’esercizio imparziale delle funzioni dirigenziali;
b) rafforzare il principio di separazione tra politica e gestione.
Identico fine è presente nell’articolo 6, comma 1, della Legge n. 15/2009: “…rafforzare il principio di distinzione tra le funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza, nel rispetto della giurisprudenza costituzionale in materia…”. Detto principio, nella legge delega dalla quale è scaturita la riforma-Brunetta è confluito nel seguente criterio di delega contenuto nel medesimo comma 6: “ridefinire i criteri di conferimento, mutamento o revoca degli incarichi dirigenziali, adeguando la relativa disciplina ai principi di trasparenza e pubblicità ed ai principi desumibili anche dalla giurisprudenza costituzionale e delle giurisdizioni superiori, escludendo la conferma dell’incarico dirigenziale ricoperto in caso di mancato raggiungimento dei risultati valutati sulla base dei criteri e degli obiettivi indicati al momento del conferimento dell’incarico, secondo i sistemi di valutazione adottati dall’amministrazione, e ridefinire, altresì, la disciplina relativa al conferimento degli incarichi ai soggetti estranei alla pubblica amministrazione e ai dirigenti non appartenenti ai ruoli, prevedendo comunque la riduzione, rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, delle quote percentuali di dotazione organica entro cui è possibile il conferimento degli incarichi medesimi”.
Il legislatore del 2009 è molto chiaro. Intende limitare quanto più possibile il ricorso agli incarichi dirigenziali per cooptazione, anche allo scopo di attuare le statuizioni che la Corte costituzionale ha disposto, a partire dalla sentenza n. 103/2007, che ha accertato l’illegittimità costituzionale dello spoil system, in particolare per la violazione del principio di continuità dell’azione amministrativa e, soprattutto, perché non può ammettersi una dirigenza pubblica “fiduciaria” della politica.
Il D.Lgs. n. 150/2009 ha, poi, attuato solo in parte la delega legislativa, introducendo, comunque forti limitazioni percentuali all’assunzione di dirigenti a contratto, ridotte al 10% per i dirigenti di prima fascia e all’8% per i dirigenti di seconda fascia.
E’ facile notare che la premessa dell’articolo 1, comma 39, della legge non abbia alcuna coerenza col prosieguo della disposizione, che riconnette l’assunta necessità di garantire l’esercizio imparziale delle funzioni dirigenziali ed il rafforzamento del principio di separazione a conseguenze del tutto incompatibili con la premessa stessa. Ci si sarebbe, infatti, aspettato che per ottenere questi obiettivi, il legislatore sarebbe intervenuto proprio sul sistema di conferimento e revoca degli incarichi e sulle percentuali, allo scopo di rendere ancora più rigorosa una disciplina che, negli enti locali, era stata notevolmente allentata con l’introduzione del nuovo comma 6 quater dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 165/2001 da parte dell’articolo 4 ter, comma 13 del D.L. n. 16/2012, convertito in lette 44/2012.
Invece, il legislatore ritiene possibile rafforzare l’autonomia della dirigenza ed in particolare di quella a contratto, estendendo anche agli incarichi dirigenziali a tempo determinato la trasmissione annuale alla Funzione Pubblica dell’analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate previsto dall’articolo 36, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001.
Oggettivamente, appare piuttosto difficile comprendere come questo adempimento possa determinare il conseguimento dei fini enunciati nell’attacco dell’articolo 1, comma 39. Quello previsto dall’articolo 36, comma 3, del testo unico sul lavoro pubblico è un monitoraggio finalizzato ad accertare eventuali abusi al lavoro flessibile; ma, gli incarichi dirigenziali a contratto, per loro stessa natura, nulla hanno a che vedere con le tutele nei confronti del lavoro flessibile. Si tratta, infatti, di contratti sì a tempo determinato, ma totalmente esclusi sia dalle tutele del D.Lgs. n. 368/2001 che esclude la dirigenza dalle norme riguardanti il tempo determinato; sia dalle disposizioni dell’articolo 36 dello stesso D.Lgs. n. 165/2001, riferito solo alle qualifiche non dirigenziali. Per l’assunzione di dirigenti a tempo determinato non occorrono le causali previste dall’articolo 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001 (ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), né il limite temporale dei 36 mesi. Infatti, gli incarichi possono anche andare a coprire esigenze lavorative continuative (visto che è ammesso coprire posti vacanti di ruolo) e la durata è quella del mandato elettorale dell’organo di governo.
Pertanto, gli incarichi dirigenziali a contratto potrebbero e dovrebbero stare totalmente fuori dal monitoraggio da rivolgere alla Funzione Pubblica.
Si potrebbe osservare che la diffusione dei dati sui dirigenti a contratti è utile per un controllo sul possesso effettivo della professionalità richiesta.
E’ un’argomentazione che non convince. Il controllo andrebbe effettuato, semmai, in maniera molto profonda e preventiva sulle motivazioni alla base del conferimento, considerando che l’articolo 19, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001 ne consente il conferimento solo “fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione”.
La verifica, dunque, andrebbe effettuata sia sul presupposto dell’assenza di professionalità nei ruoli, sia sulla sostenibilità della motivazione alla base dell’esigenza del conferimento.
Risulta evidente che con il monitoraggio alla Funzione Pubblica non si ottiene nessuna garanzia in più sull’effettiva sussistenza dei presupposti di legittimità per il conferimento degli incarichi a contratto.
A ben vedere, comunque, non è tanto l’inutilità dell’adempimento del monitoraggio che colpisce, quanto la totale contraddizione con l’intento iniziale del comma, rappresentato dal riconoscimento, per legge, della possibilità che l’organo politico di governo assuma dirigenti a contratto in via “discrezionale”, cioè senza concorso. Che è, anche, l’esatto opposto di quanto prevede la Costituzione e la giurisprudenza consolidata della Consulta.
Incarichi “discrezionali” e senza selezione significano solo ed esclusivamente cooptazione fiduciaria, quell’intuitu personae che la Corte costituzionale nega essere conforme all’ordinamento.
E’, insomma, il piuttosto manifesto, di legificare la prassi diffusissima, per effetto della quale gli organi di governo chiamano i dirigenti a contratto per via diretta. Un sistema selettivo chiaramente contrario alla Costituzione, che non prevede spazi alla discrezionalità che, invece, in questo modo si introduce in modo espresso per la prima volta nell’ordinamento.
Risulta evidente che la copertura legislativa che il comma 39 intende dare alla prassi delle assunzioni dei dirigenti a tempo determinato senza concorso sortisce un effetto totalmente opposto ai fini enunciati dal comma 39. Al contrario di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra politica e dirigenza, l’assunzione per cooptazione comporta inevitabilmente scelte dovute a valutazione di appartenenza, se non di militanza politica, a tutto detrimento dell’enunciata volontà di garantire l’esercizio “imparziale” delle funzioni amministrative.
L’articolo 1, comma 39, della Legge n. 190/2012 si presenta, dunque, come una disposizione fortemente ipocrita, che coglie il risultato esattamente opposto al fine espressamente enunciato. Ed appare quanto meno illogico che una disposizione negli effetti volta a legittimare gli incarichi su scelta discrezionale e, dunque, forieri di rapporti patologici tra politica e gestione, sia inserita proprio in una legge “anticorruzione”, volta ad evitare non tanto e non solo la commissione dei reati contro la pubblica amministrazione, quanto soprattutto a regolare comportamenti ispirati a buona amministrazione e correttezza, in primo luogo derivanti dall’attuazione dei principi costituzionali di imparzialità ed autonomia dei dipendenti pubblici per prima dalla politica.
Manca, ancora, nella legislazione una disposizione che limiti la possibilità di incarichi fiduciari alle sole ipotesi conciliabili con il principio di separazione: uffici di diretta collaborazione, che escludano qualsiasi potere di gestione e, comunque, di indirizzo e coordinamento. Nulla da eccepire su incarichi a contratto per portavoce e addetto stampa, consigliere giuridico e legislativo, capo della segreteria tecnica ed amministrativa.
La legge anticorruzione, che vorrebbe accentuare la trasparenza e l’imparzialità, incredibilmente opera un vulnus a tali principi, proprio nella norma che prevede il fine radicalmente opposto.
Ma, le conseguenze potrebbero non fermarsi qui. Non deve sfuggire la riforma operata dalla legge di stabilità per il 2013. L’articolo 1, comma 401, della legge di stabilità, aggiunge all’articolo 35 del D.Lgs. n. 165/2001 una nuova disciplina per concorsi con riserva o con punteggio speciale per coloro che abbiano svolto almeno 3 anni di lavoro con contratti a tempo determinato presso la medesima amministrazione che indice i concorsi.
Si mettono sostanzialmente a regime le previsioni a suo tempo disposte dall’articolo 17, commi 10 e seguenti, del D.L. n. 78/2009, convertito in Legge n. 102/2009, che però aveva limitato la possibilità di creare percorsi agevolati nei concorsi per i precari al solo triennio 2010-2012.
Si deve ricordare che la disposizione del 2009 faceva riferimento espresso al personale non in possesso della qualifica dirigenziale, proprio perché era una disposizione tendente a chiudere l’esperienza delle stabilizzazioni, riservate, appunto, al personale non dirigente.
Invece, la previsione inserita a regime nell’articolo 35 del D.Lgs. n. 165/2001 e, dunque, operante come criterio generale per la disciplina dei concorsi, non limita le procedure selettive “agevolate” per i “precari” alle sole qualifiche non dirigenziali. La norma non riporta, in effetti, alcun riferimento ad alcun tipo di qualifica.
In astratto, quindi, i concorsi con percorsi agevolati potrebbero considerarsi estesi anche all’assunzione di qualifiche dirigenziali.
La possibilità che le disposizioni dell’articolo 35 novellato del D.Lgs. n. 165/2001 induca ad estendere le procedure concorsuali agevolate ai dirigenti a termine assunti per via fiduciaria, è molto concreta; la combinazione delle norme consente un vero e proprio percorso di graduale stabilizzazione di “uomini di fiducia” nei gangli degli enti, mediante concorsi mirati.
L’unico freno a questo possibile meccanismo perverso (che, a ben vedere vale anche per le qualifiche non dirigenziali) è il limite percentuale – comunque piuttosto elevato – della soglia di riserva, definito nel massimo del 40% dei posti messi a concorso.
Luigi Oliveri