E’ illegittimo, in riferimento agli artt. 3, 97, secondo comma, e 117, quarto comma, della Costituzione, l’art.41, comma 2 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, sul divieto di assunzione di personale per le PA, esclusi gli enti del SSN, con tempi medi nei pagamenti dei creditori superiori a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015.
Corte costituzionale, sentenza 1- 22 dicembre 2015, n. 272, Pres. Criscuolo, Red. de Pretis
A margine
Il divieto, cancellato dalla Consulta, cui si era rivolta la Regione Veneto, riguardava le assunzioni di personale da effettuare nell’anno successivo a quello di di sforamento dei termini di pagamento dei creditori, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E si estendeva ai contratti di servizio con soggetti privati elusivi del divieto.
Chiara la motivazione del Giudice delle leggi: «L’art. 41, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014, là dove prevede che qualsiasi violazione dei tempi medi di pagamento da parte di un’amministrazione debitrice, a prescindere dall’entità dell’inadempimento e dalle sue cause, sia sanzionata con una misura a sua volta rigida e senza eccezioni come il blocco totale delle assunzioni per l’amministrazione inadempiente (con l’unica esclusione degli enti del Servizio sanitario nazionale e dei casi di cui all’art. 4, comma 1, e all’art. 6, comma 7, del già citato d.l. n. 78 del 2015), non supera il test di proporzionalità, il quale «richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi» (sentenza n. 1 del 2014).»
Per la Corte, invece, la previsione impugnata, avendo lo scopo di incentivare una più corretta gestione della spesa pubblica, nell’interesse delle imprese ma anche del sistema complessivo pubblico-privato, può essere considerata un principio di coordinamento della finanza pubblica, sia nella parte in cui fissa i termini, sia nella parte in cui stabilisce la sanzione.
Interessante la distinzione precisata nella sentenza fra le finalità dell’apparato sanzionatorio civilistico a presidio dei termini di pagamento delle transazioni commerciali, introdotto dal d.lgs. 231 del 2002, e l’art. 41 del d.l 66/2014. Il decreto del 2002, che prevede la decorrenza automatica degli interessi moratori alla scadenza del termine, senza necessità di costituzione in mora (art. 4, comma 1), il risarcimento del danno per le spese di recupero del credito (art. 6) e la nullità delle clausole gravemente inique per il creditore (art. 7), ha la funzione di regolare il singolo rapporto civilistico tra debitore e creditore (sia esso anche una pubblica amministrazione). Mentre l’art. 41, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014 introduce specifiche modalità pubblicistiche attinenti ai tempi di adempimento delle obbligazioni privatistiche da parte delle pubbliche amministrazioni con termini aggiuntivi rispetto a quelli specifici previsti dallo stesso d.lgs. n. 231 del 2002 – «riferiti non al singolo rapporto ma al complesso dei debiti commerciali dell’ente pubblico, e predispone, a garanzia del loro rispetto, la sanzione del blocco delle assunzioni nell’anno successivo a quello della violazione.»
Giuseppe Panassidi