Una prima pronuncia della Corte dei conti dopo la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 53, c. 11, del d.lgs. n. 165-2001.

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 216 del 23 dicembre 2015, Presidente Relatore Motolese

A margine

La vicenda riguarda l’azione per l’accertamento negativo di responsabilità amministrativa per danno erariale attivata da un soggetto, già direttore generale di una società in house, contro la richiesta della stessa soietà di restituire l’importo pagato, quale sanzione, per non aver comunicato all’amministrazione di appartenenza, per 4 anni consecutivi, i compensi percepiti da un componente del collegio sindacale, dipendente pubblico.

Tra i motivi addotti, il ricorrente segnala la sentenza n. 98-2015, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, c. 11, del d.lgs. n. 165-2001 nella parte in cui impone a soggetti pubblici e privati di comunicare all’amministrazione di appartenenza i compensi erogati nell’anno precedente a dipendenti pubblici titolari di incarichi prevendendo, per il responsabile dell’omessa dichiarazione, l’applicazione di una sanzione pari al doppio dell’importo percepito dal dipendente pubblico ex art. 6, c. 1, d.l. n. 79-1997.

Secondo il difensore del direttore, la pendenza di un ulteriore giudizio in Cassazione contro le ordinanze d’ingiunzione al pagamento, fa sì che la Corte dei conti non possa che rilevare l’incostituzionalità della norma con conseguente annullamento delle stesse ordinanze e quindi l’infondatezza della pretesa della società ad ottenere il ristoro della somma già pagata.

Nel merito, la Corte dei conti ricorda che le sentenze della Corte Costituzionale statuiscono per il futuro e non per il passato, facendo salvi solo i diritti acquisiti.

Peraltro, alla luce di consolidati orientamenti giurisprudenziali, l’efficacia retroattiva della dichiarazione d’illegittimità costituzionale è ammessa e giustificata dalla stessa eliminazione della norma che non può più regolare alcun rapporto giuridico salvo che si siano determinate situazioni giuridiche esaurite (per es. passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, compimento di altri fatti od atti rilevanti sul piano sostanziale o procedurale).

Nella fattispecie all’esame, la sentenza di condanna di primo grado è stata impugnata dal ricorrente in Cassazione dove è stata riproposta l’eccezione di incostituzionalità della norma.

Pertanto la Corte ritiene che la pendenza di un giudizio – che contribuisce a definire i rapporti non ancora esauriti e quindi l’applicabilità della decisione costituzionale – imponga di rilevare l’incostituzionalità della norma la quale non può trovare applicazione.

L’efficacia retroattiva della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 53, c. 11, conduce dunque il collegio a dichiarare il ricorrente esente da responsabilità amministrativa ed a disporre l’annullamento delle ordinanze–ingiunzioni.

di Simonetta Fabris

 


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