IN POCHE PAROLE …
Il venir meno del controllo pubblico determina la decadenza del titolo giuridico legittimante il permanere delle erogazioni verso una società partecipata soltanto in via minoritaria
Corte dei conti, Sez. Reg. di Controllo per il Veneto, deliberazione n. 18 del 29 gennaio 2021 – Presidente Pilato, relatore Dalla Pria
A margine
Il quesito
La Corte è richiesta di esprimere parere sulla possibilità, per un Comune, di continuare a concedere un contributo ad una società, nei cui confronti sarebbe venuto meno il controllo pubblico presente al momento dell’originaria assegnazione.
La deliberazione
I giudici contabili osservano che, a mente dell’art. 12 della L. n. 241/1990, la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinati alla predeterminazione, da parte delle amministrazioni procedenti, dei criteri e delle modalità cui le stesse amministrazioni debbono attenersi.
L’effettiva osservanza di tali criteri e modalità deve risultare dai singoli provvedimenti di assegnazione.
Ove, però, la provvidenza sia caratterizzata dalla compresenza di una controprestazione, si esula dalla previsione normativa della L. n. 241/1990, che invece si connota dall’assenza di obblighi di restituzione o di pagamento (Corte dei conti, Sez. contr. Veneto, parere n. 260-2016).
In presenza di altri tipi di finanziamenti vale quanto previsto dal Tuel in tema di corresponsione di risorse da parte dell’ente pubblico a proprie strutture funzionali.
In particolare, l’art. 194, co. 1, d.lgs. n. 267/2000 stabilisce che gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:
- copertura di disavanzi di consorzi, aziende speciali e di istituzioni “nei limiti delle obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purchè sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’articolo 114 e il disavanzo derivi da fatti di gestione” (lett. b)
- ricapitalizzazione della società di capitali costituite per l’esercizio dei servizi pubblici locali “nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali” (lett. e).
A queste previsioni va ad aggiungersi la disposizione di cui all’art. 14, co. 5, primo periodo, del Tusp, che sancisce il cd “divieto di soccorso finanziario”, quale particolare forma di ripiano degli squilibri e conseguente integrazione delle perdite della società in mano pubblica da parte dell’ente partecipante.
Scopo della norma è quello dell’abbandono della logica di salvataggio obbligatorio degli organismi in condizione di irrimediabile dissesto, anche nell’ottica delle regole europee che vietano ai soggetti che operano nel mercato di fruire dei diritti speciali o esclusivi.
In queste situazioni, infatti, la giurisprudenza contabile raccomanda di valutare attentamente, nel caso di riduzione del capitale al sotto del minimo legale, l’opportunità di assumere oneri per la ricapitalizzazione della società, piuttosto che prendere atto dell’avvenuto scioglimento della medesima, a norma dell’art. 2484, co. 1, n. 4, c.c., ipotesi, questa, che si verifica automaticamente in assenza di iniziative da parte dell’assemblea dei soci.
Pertanto, costituendo la ricapitalizzazione una mera facoltà (e non di un obbligo), la scelta dell’Ente deve tener conto della capacità della società di tornare in utile, nonché dell’economicità e dell’efficacia della gestione del servizio tramite l’organismo partecipato.
Chiarito ciò, la Corte sottolinea che, “non può essere disconosciuta, in via generale, la possibilità per gli enti locali di utilizzare lo strumento dell’indebitamento nell’ambito della propria attività amministrativa, purché esso sia finalizzato a coprire spese da cui derivi un aumento di valore del loro patrimonio immobiliare e mobiliare (cfr. SS. Rr. 28 aprile 2011, n. 25) e, quindi, anche per il finanziamento, nei limiti normativa previsti, di società di cui sono azionisti e, come nella specie, a partecipazione pubblica totalitaria, nonché affidatarie in house di servizi pubblici dal quale derivi un aumento di valore delle medesime” (Corte dei conti, Sez. contr. Piemonte, 29 settembre 2011, n. 119/PAR)
L’operazione deve rispettare i principi di cui agli artt. 201-204, d.lgs. n. 267/2000 con riferimento agli equilibri di bilancio e ai vincoli di indebitamento.
Più in generale, la scelta di ricapitalizzazione della società strumentale dev’essere motivata in merito alla inerenza con le finalità istituzionali dell’ente (Corte dei conti, Sez. contr. Lombardia 5 marzo 2014, n. 96/2014/PAR).
E pertanto, “a fini prudenziali e indipendentemente dalla fonte della provvista, il Comune dovrebbe essere astenersi da finalità di finanziamento nei confronti della società partecipata se non abbia in concreto adottato tutti gli strumenti idonei ad un controllo approfondito della gestione operativa e finanziaria della società partecipata, al fine di appurare se la stessa necessiti, diversamente, di interventi di ricapitalizzazione, non solo ai fini del rispetto del principio di trasparenza dell’azione amministrativa ma anche alla fine di prevenire una minaccia agli equilibri finanziari dell’ente locale” (Corte dei conti, sez. contr. Veneto, 22 agosto 2012 , n. 515/2012/PAR).
Andrà inoltre osservata la compatibilità dell’operazione col diritto comunitario al fine di scongiurare la realizzazione di “aiuti di stato”, atteso il rinvio formale al diritto comunitario di cui all’art. 117 Cost. (Cfr., ex multis, Corte dei conti, sez. Liguria, delibera n. 64/2020/PARI).
In ogni caso, giova ricordare che lo stesso Tusp ammette, al medesimo art. 14, co. 5. eventuali trasferimenti straordinari alla società (in grado di superare il predetto divieto di soccorso finanziario), a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall’Autorità di regolazione del settore (ove esistente) e comunicato alla Corte dei conti, che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni.
In siffatte circostanze, l’ente pubblico dovrà evidenziare nei propri atti la straordinarietà dell’intervento e fornirne adeguata motivazione con riferimento alle ragioni fattuali e giuridiche che ne sono alle base e che devono risultare logicamente differenti da quelle legittimanti la deroga espressa al divieto di soccorso finanziario, contemplare dal richiamato art. 14, co. 5, terzo periodo (gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità).
Più in particolare, l’Ente dovrà indicare espressamente lo “specifico interesse pubblico perseguito in relazione ai propri scopi istituzionali” evidenziando le ragioni economico-giuridiche dell’operazione, tra le quali si possono annoverare:
- una previa e adeguata verifica delle criticità che hanno generano le perdite;
- i necessari accertamenti volti ad individuare eventuali responsabilità gestionali imputabili agli amministratori societari;
- la valutazione circa l’opportunità di conservazione in vita dell’organismo e circa la convenienza economico-finanziaria della modalità prescelta di gestione del servizio rispetto alle alternative possibili (Corte dei conti, Sez. contr. Liguria, delibera n. 24/2017);
- la compatibilità dell’intervento finanziario previsto con le norme dei trattati europei.
Per quel che concerne, poi l’ammissibilità del trasferimento, ove si tratti di società meramente partecipata e non più controllata, i giudici rammentando che il Tusp preclude alle amministrazioni pubbliche di acquisire o mantenere partecipazioni “anche di minoranza“, in società aventi ad oggetto produzione di beni o servizi non strettamente necessari alle finalità istituzionali.
Entro tale limite, le amministrazioni possono acquisire o mantenere, tra l’altro, partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento di specifiche attività, tra cui quella di “produzione di un servizio di interesse generale” ex art. 4, co. 2, lett. a) e art. 2, virgola 1, lett. h), d.lgs. n. 175/2016.
In presenza, però, di una partecipazione minoritaria, ed in assenza di altri soci pubblici che consentano il controllo della società, il servizio espletato non può essere ritenuto un “servizio d’interesse generale” posto che, a prescindere da ogni altra considerazione relativa alle finalità istituzionali dell’ente, l’intervento pubblico – stante la partecipazione minoritaria – non può garantire l’accesso al servizio così come declinato nell’art. 4 del Tusp.
Questo perché una partecipazione poco significativa non appare in grado di determinare le condizioni di accesso al servizio che potrebbero legittimare il mantenimento della quota (Corte dei conti, sez. contr. Lombardia, delib. 398/2016/PAR; in tal senso TAR Veneto sent. n. 363/2018; Cons. Stato, sent. n. 578/2019). Occorrerà quindi verificare se la partecipazione pubblica, anche plurima, consenta all’Ente di governare la società partecipata e la relativa attività in conformità alle proprie finalità istituzionali.
In caso affermativo, si dovrà peraltro dare applicazione al principio generale enunciato all’art. 21, co.3 bis, d.lgs. n. 175/2016, secondo cui “Le pubbliche amministrazioni locali partecipanti possono procedere a ripiano delle perdite subite dalla società partecipata (…) nei limiti della loro quota di partecipazione (…)” considerato che, secondo le norme di diritto comune, nelle società di capitali, per le obbligazioni risponde solo la società con il suo patrimonio, concetto questo che può essere esteso per analogia alla fattispecie degli “interventi straordinari“.
Conclusioni – Nel caso di specie, il giudice ritiene che il venir meno del controllo da parte dell’amministrazione comunale (e del conseguente servizio d’interesse generale) determini la decadenza del titolo legittimante il permanere dell’erogazione verso la società.
Analoghe considerazioni valgono anche in presenza di società pluripartecipata, nella quale le amministrazioni socie non siano in grado di esercitare un’effettiva influenza/un controllo congiunto in ordine all’assunzione delle «decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale» in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, che richiedano il loro consenso unanime.
Stefania Fabris