IN POCHE PAROLE …
Gli atti ed i comportamenti del Comune quale socio, pur nel libero esercizio dei diritti derivanti dal contratto e dalla legge, devono essere, oltre che leciti, improntati a correttezza e buona fede, gravando sull’Ente locale l’obbligo di una gestione del patrimonio volta ad assicurare comunque la massima redditività possibile dell’investimento a suo tempo operato, laddove sia venuta meno la continuità e l’effettività della sua destinazione alle finalità istituzionali.
Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 264 del 31 dicembre 2024 – Presidente Buccarelli, relatore Carta
Il quesito
Il parere richiesto alla Corte riguarda la liquidazione di quote di partecipazioni comunali dismesse ai sensi del d.lgs. n. 175/2016, a fronte dell’esperimento di una gara andata deserta.
Il Sindaco domanda alla Sezione se possano profilarsi eventuali profili di responsabilità nell’ipotesi in cui il liquidatore effettui la vendita della Società ad un valore inferiore rispetto al valore di perizia.
Il parere
La Corte premette che, in base all’art. 12 del d.lgs. n. 175/2016, sono attribuite:
a) al giudice civile, le azioni civili di responsabilità del diritto societario nei confronti dei componenti degli organi di amministrazione e controllo
b) alla stessa Corte dei conti, l’azione per danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house e quella nei confronti “dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione”.
La Corte ricostruisce quindi il quadro normativo che regola la gestione e la valorizzazione del patrimonio mobiliare a fronte dell’esigenza di dismettere una partecipazione azionaria ritenuta non più necessaria, e di liquidare asset non più strategici per l’Ente locale.
La sequenza procedimentale è definita dall’10 del TUSP “nel rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione”.
Detta norma prevede che, fatti salvi i diritti di prelazione previsti da legge o statuto, “in casi eccezionali, a seguito di deliberazione motivata dell’organo competente … che dà analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita, l’alienazione può essere effettuata mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente”.
Sebbene la norma non faccia esplicito riferimento alle procedure ad evidenza pubblica, ma ai principi cardine in materia, il ricorso in via ordinaria a dette procedure costituisce un principio immanente dell’ordinamento giuridico, tenuto anche conto della cornice europea di riferimento (così SRC Lombardia n. 8/2019/PAR).
Solo in casi eccezionali (tra i quali potrebbe rientrare l’ipotesi di gara deserta), potrebbe essere ammessa un’eventuale negoziazione diretta, la quale però dovrà essere necessariamente motivata ai fini del legittimo esercizio del potere amministrativo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 5 marzo 2024, n. 2155), tenendo in debito conto anche del “contesto economico, sociale e territoriale in cui opera la società di cui si tratta e, di conseguenza, anche della situazione di mercato attinente al relativo settore merceologico” (SRC Piemonte n. 118/2022/PAR).
Ove non si desse applicazione all’art. 10 del TUSP, si rischierebbe di incorrere nella sanzione prevista al comma 3, consistente nell’inefficacia dell’atto di alienazione della partecipazione, con possibile responsabilità erariale a carico di chi avesse omesso di porre in essere l’atto deliberativo presupposto, ovvero se quest’ultimo risultasse affetto da invalidità.
Rispetto invece ai criteri per la determinazione del valore delle azioni, l’art. 24 del TUSP, rinvia ai criteri stabiliti dall’art. 2437-ter, comma 2, c.c., e, quindi, “tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni” e seguendo il procedimento di cui all’articolo 2437-quater del Codice civile.
Conclusioni
In base a quanto riferito dal Comune, le procedure previste dal c.c. (che, dopo la mancata alienazione ai sensi dell’art. 10, anche con negoziazione diretta, prevedono offerta di opzione ad altri soci, collocamento presso terzi e, in caso di mancato acquisto, rimborso da parte della stessa società attraverso l’utilizzo delle riserve disponibili) sembrano essere state esperite nei termini del modello societario a suo tempo adottato, tant’è che la società risulta essere stata posta in liquidazione (comma 6 dell’art. 2347 quater C.C.).
Il Comune riferisce di una ipotesi di vendita della partecipazione in pendenza della liquidazione ad un prezzo ribassato rispetto al valore della società definito con una prima perizia.
Ad avviso della Corte, spetta all’Ente valutare se procedere con l’alienazione ad un prezzo ribassato o se, attraverso la liquidazione, procedere alla vendita dei beni aziendali singolarmente o nel loro complesso, conseguendone l’eventuale distribuzione dell’attivo convertito in denaro ai soci, proporzionalmente al capitale a suo tempo conferito da ciascuno, dopo il realizzo delle attività ed il pagamento delle passività.
In ogni caso l’ipotesi di vendita prospettata, pur percorribile, implica un ribasso rispetto al valore di perizia che, in realtà, avrebbe potuto già trovare riscontro in una negoziazione diretta ai sensi dell’art. 10 citato.
Secondo il giudice, trattandosi di una procedura nuova rispetto a quella di alienazione delle partecipazioni ex art. 10, occorre ripetere l’iter di una selezione aperta prima di intraprendere una attività di negoziazione diretta con un solo potenziale acquirente.
La scelta del contraente dovrà comunque essere preceduta da una nuova perizia di stima del reale valore dell’azienda, operazione che richiede particolari cautele che si sostanziano nell’adeguatezza dei criteri di determinazione del valore, nell’attendibilità e accuratezza della documentazione trasfusa nella perizia e nell’autonomia della valutazione.
Anche al fine di valutare se più conveniente procedere con la vendita della partecipazione, piuttosto che con la cessione, singola o in compendio, dei beni aziendali, la perizia dovrà contenere le specifiche dei beni trasferiti e altri elementi utili (Cass., SS.UU., 5 marzo 2014, n. 5087; Cass., Sez. V, 11 maggio 2016, n. 9575) avendo riguardo che, alla luce dell’oggetto sociale teleologicamente vincolato in base alle norme del d.lgs. n. 175/2016, con la cessione verrebbero trasferiti anche i rapporti contrattuali e convenzionali attivi e passivi intercorrenti (pure) con l’Ente locale, e già facenti capo alla società liquidata (ad esempio, gestione di farmacia, del patrimonio immobiliare, realizzazione di impianti, dotazioni patrimoniali, reti, di interesse del Comune, manutenzione del verde pubblico, dell’illuminazione pubblica, della manutenzione delle strade pubbliche e degli edifici comunali, progettazione e realizzazione dei lavori pubblici comunali).
In ultima analisi, ai fini della definitiva dismissione della quota societaria, gli atti e i comportamenti del Comune, quale socio, nel libero esercizio dei diritti derivanti dal contratto e dalla legge, dovranno essere, oltre che leciti, improntati sempre a correttezza e buona fede, e dovranno tenere sempre in considerazione che grava sull’Ente locale l’obbligo di una gestione del patrimonio volta ad assicurare la massima redditività possibile dell’investimento a suo tempo operato, laddove sia venuta meno la continuità e l’effettività della sua destinazione alle finalità istituzionali.
La redazione