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Sulla nozione di fatturato ai fini della razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche5 min read

Il termine “fatturato” di cui all’art. 20 del t.u. n. 175/2016 coincide con l’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio.

Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo per l’Emilia-Romagna, deliberazione n 54-2017-PAR [1] del 28 marzo 2017, Presidente Greco, Relatore Romano

A margine

Nella vicenda, un Comune chiede alla Corte dei conti un parere in ordine all’esatto significato da attribuire alla parola “fatturato” riportata nell’art. 20, comma 2, lett. d), del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica di cui al decreto legislativo n. 175/2016 [2], che prevede l’adozione di misure di razionalizzazione per le “partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro”.

Più specificamente, il Comune mette in evidenza il diverso valore al quale si perviene attribuendo al termine “fatturato” il significato di “volume d’affari” desumibile dalla dichiarazione annuale IVA, di “ricavo da vendite” (voce A.1 del conto economico), ovvero assumendolo quale sinonimo del “valore della produzione” di cui al punto A) dell’art. 2425 del codice civile [3].

La Corte, richiamando l’art. 12 disp. prel. c.c. [3], ricorda che nell’applicazione della legge “non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.

Ciò posto, il termine “fatturato” non è esente da elementi di ambiguità. Sotto un profilo più propriamente ragionieristico è sinonimo dell’espressione “volume d’affari” con ciò intendendo la somma degli importi riportati nelle fatture registrate nell’esercizio, non coincidenti necessariamente con l’ammontare complessivo delle operazioni attive poste in essere nello stesso esercizio.

Peraltro, il legislatore ha utilizzato tale termine in vari settori dell’ordinamento, tra cui, quello degli appalti pubblici, della regolazione del mercato, delle concessioni radio televisive, della regolazione dell’intermediazione finanziaria.

Una precisa definizione della nozione di fatturato si rinviene nell’art. 1, comma 1, lett. f), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 maggio 2001, n. 359 [4], in forza del quale, ai fini della corresponsione del diritto annuale camerale (art. 17 della legge n. 488/1999 [5]), il termine “fatturato” indica: “1) per gli enti creditizi e finanziari tenuti alla redazione del conto economico, a norma dell’articolo 6 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87 [6], la somma degli interessi attivi e assimilati e delle commissioni attive, come dichiarati ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive; 2) per i soggetti esercenti imprese di assicurazione tenuti alla redazione del conto economico, a norma dell’articolo 9 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 173 [7], la somma dei premi e degli altri proventi tecnici, come dichiarati ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive; 3) per le società e gli enti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in enti diversi da quelli creditizi e finanziari, la somma dei ricavi delle vendite e delle prestazioni, degli altri ricavi e proventi ordinari e degli interessi attivi e proventi assimilati, come dichiarati ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive; 4) per gli altri soggetti, la somma dei ricavi delle vendite e delle prestazioni e degli altri ricavi e proventi ordinari, come dichiarati ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive e, in mancanza, come rappresentati nelle scritture contabili previste dagli articoli 2214 e seguenti del codice civile [3]”.

Alla luce del delineato quadro normativo, la Corte ritiene che il termine “fatturato” utilizzato dal legislatore nell’art. 20 del t.u. n. 175/2016 [2]debba essere inteso quale ammontare complessivo dei ricavi da vendite e da prestazioni di servizio realizzati nell’esercizio, integrati degli altri ricavi e proventi conseguiti e al netto delle relative rettifiche. Si tratta, in sostanza, della grandezza risultante dai dati considerati nei nn. 1 e 5 della lettera A) dell’art. 2425 cod. civ. [3]che, in contrapposizione ai costi dell’attività tipica (costi di produzione, spese commerciali, amministrative e generali), consente di determinare il risultato della “gestione caratteristica” dell’impresa.

La nozione, pertanto, non coincide pienamente con il “valore della produzione” di cui all’art. 2425, lett. A), del codice civile [3] che, come è noto, include anche le variazioni intervenute nelle rimanenze di merci, prodotti, semilavorati e prodotti finiti, nonché le variazioni di lavori in corso su ordinazione e gli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni.

Né, d’altra parte, l’entità del “fatturato” necessariamente coincide con il “volume d’affari ai fini dell’IVA”, come definito nell’art. 20 del DPR n. 633/1972 [8], atteso il diverso criterio utilizzato per la determinazione dei due valori: competenza economica nel concetto di fatturato-ricavo; ammontare delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi registrate o soggette a registrazione in un anno solare a norma degli artt. 23 e 24 nella nozione di volume d’affari IVA.

Ad ulteriore conferma della diversità dei due concetti va tenuto presente che: a) nella nozione di “volume d’affari IVA” devono essere compresi, in quanto soggetti all’obbligo di emissione della fattura (art. 6 del citato DPR n. 633 [8]), gli acconti ricevuti a fronte di ricavi non ancora maturati; b) in passato, fino alla modifica apportata con l’art. 1, comma 325, lett. c), della legge n. 228/2012 [9], non concorrevano, per espressa previsione normativa, alla formazione dello stesso “volume d’affari IVA” le prestazioni di servizi a soggetti stabiliti in un altro stato membro dell’Unione Europea, prestazioni che viceversa pacificamente avrebbero dovuto rientrare nel concetto di fatturato.

Pertanto la Corte dei conti ritiene che il termine “fatturato” utilizzato nell’art. 20 del t.u. n. 175/2016 [2]coincida con l’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio come sopra meglio definiti.

Tale nozione, peraltro, è quella che meglio corrisponde alle finalità perseguite dal legislatore con la norma in esame, il cui evidente obiettivo è quello di indurre le pubbliche amministrazioni a dismettere o, comunque, a superare, attraverso la predisposizione di appositi piani di razionalizzazione, le partecipazioni in società di ridotte dimensioni economiche.