Non è passato assolutamente inosservato e sotto silenzio fra gli addetti ai lavori e fra gli operatori del diritto che con un recentissimo decreto monocratico del Presidente del TAR per la Sicilia del 16 gennaio 2013, adottato a seguito di ricorso da parte di un Comune siciliano per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, della nota del Prefetto di Palermo con la quale si diffidava il Consiglio comunale a deliberare lo stato di dissesto, e della deliberazione della Sezione di controllo siciliana della Corte dei conti, con la quale si ordinava la comunicazione al Prefetto di Palermo per gli adempimenti richiesti dall’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, in accoglimento dell’istanza cautelare, sono stati sospesi i provvedimenti impugnati.

La vicenda, che a prima vista potrebbe apparire come un normale ricorso al TAR da parte di un Comune avverso il provvedimento del Prefetto con il quale si diffida il Consiglio comunale a deliberare lo stato di dissesto, investe, invero, la questione della giustiziabilità e della sindacabilità, da parte del giudice amministrativo, delle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, e cioè, dei provvedimenti di un’altra autorità magistratuale, seppure in veste di organo di controllo.

Nelle motivazioni del decreto del giudice amministrativo si legge che “l’attività dispiegata dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, ancorché qualificata sotto generali profili dalla insindacabilità delle pronunce o determinazioni di controllo in ragione della natura dello stesso quale funzione imparziale estranea all’apparato amministrativo, si inserisce comunque nel contesto della funzione amministrativa preordinata alla eventuale dichiarazione di dissesto ex art.244 del d.lgs. n. 267/2000”, e che “il completamento e l’effettiva determinazione procedimentale affidati ad autorità amministrativa impediscono, invero, di qualificare come giurisdizionale e come assolutamente insindacabile l’attività resa nella specifica vicenda dalla predetta Sezione regionale di controllo (..) tanto più se si considera che l’attività in questione assume valenza endoprocedimentale (..), non potendosi concepire la relativa funzione come idonea per forza propria e di per sé all’innovazione dell’universo giuridico disposta da organo in posizione terza ed imparziale”.

In sostanza, il TAR avrebbe affermato: a) che sono sindacabili da parte del giudice amministrativo le deliberazioni della sezione regionale di controllo della Corte dei conti di cui all’art. 6, co. 2, del D.Lgs. n. 149/2011 (dissesto guidato); b) che tali deliberazioni hanno una funzione praticamente servente, ed endoprocedimentale, rispetto al procedimento all’esito del quale vengono emanati i provvedimenti di competenza del Prefetto.

Invero la questione appare di notevole importanza, perché, se non correttamente inquadrata, potrebbe anche configurarsi come lesiva delle funzioni delle Sezioni regionali di controllo (e quindi di tutta la Corte dei conti) e meritevole di un incisivo e immediato intervento legislativo.

La questione dell’impugnabilità delle delibere di controllo presso il giudice amministrativo non è nuova, ed è stata fin qui risolta dal TAR secondo i principi dettati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione indicate nella stessa motivazione del decreto del TAR di Palermo (per completezza, le sentenze che riguardano l’argomento, tutte negative, sono le seguenti:  Corte Cost., 9 febbraio 2011, n. 37; id., 30 dicembre 1997, n. 470; Cass., Sez. Un., 10 giugno 1998, n. 5762; id., Sez. 1^, 14 ottobre 2011, n. 21226).

Anche recentemente il Consiglio di Stato (Sez. V, sent. 22 marzo 2012, n. 2012), ha affermato che “gli atti di controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti non rivestono natura amministrativa e non sono suscettibili di autonoma impugnativa in ragione del fatto che essi sono imputabili ad un organo estraneo all’apparato della pubblica amministrazione, che gode nell’ordinamento costituzionale di una posizione di indipendenza e agisce in funzione neutrale a tutela della legalità e nell’interesse dell’ordinamento giuridico. Ciononostante, essi sono conoscibili dal giudice amministrativo chiamato a valutare la legittimità dell’atto sottoposto a controllo, al fine di apprezzare indirettamente la fondatezza dei rilievi espressi dalla Corte nel medesimo atto di controllo in conseguenza del quale è stato adottato l’atto impugnato” (Cons. Stato, Sez. V, 22 marzo 2012, n. 1618).

Invero, la procedura del dissesto guidato degli enti locali è stata affrontata funditus nella delibera DELLA Sezione Autonomie della Corte dei conti n. 2/SEZAUT/2012, che ha molto analiticamente ed in maniera assai chiara scandito la struttura e la sequenza del procedimento (dalle verifiche sulla sana gestione ex art. 1, co. 166, della Legge n. 266/2005, sino all’accertamento definitivo dello stato di dissesto da parte della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti), acclarando altresì come il provvedimento del Prefetto è un atto dovuto all’esito della procedura di cui all’art. 6, D.Lgs. n. 149/2011, che è interamente nella responsabilità della Corte. Ne consegue, alla luce della ricostruzione operata dalla Sezione Autonomie della Corte dei conti nella predetta delibera, che il margine per l’impugnativa davanti al TAR e il sindacato dello stesso giudice amministrativo non può che essere circoscritto all’esame dei vizi meramente formali dell’atto amministrativo e giammai può rimettere in discussione quegli aspetti che hanno formato oggetto di accertamento definitivo  da parte della Corte dei conti. Al riguardo neppure rileva la natura giurisdizionale o meno della delibera Corte e questo dovrebbe essere ben noto alla giurisdizione amministrativa. D’altra parte, l’ente in dissesto ha altri rimedi per evitare la soggezione alla dichiarazione di dissesto (v. art. 243 bis, TUEL, aggiunto dall’art. 3, D.L. n. 174/2012).

Tuttavia, una volta riconosciuta una sfera di sindacabilità giurisdizionale delle delibere di controllo, occorre valutare le possibili soluzioni per ovviare a contrasti fra giurisdizioni che, oltre a creare non poca incertezza nell’ordinamento, potrebbero rivelarsi lesive delle prerogative costituzionali della Corte dei conti.

Ed allora io credo che la scelta debba essere operata, nell’immediato, tra due alternative: o deve ritenersi che questa giurisprudenza sia lesiva delle attribuzioni costituzionalmente garantite alla Corte dei conti, ed allora si dovrebbe sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato; o deve ritenersi che la questione appartenga alla materia della contabilità pubblica, e quindi che sia una questione di riparto della giurisdizione, da eccepire nel giudizio di merito, e chiedendo di sollevare un regolamento preventivo di giurisdizione presso le Sezioni unite civili della Cassazione.

La prima soluzione consentirebbe una corretta affermazione della natura della delibera di controllo, che non può essere considerata di natura amministrativa. La seconda soluzione potrebbe essere utile per risolvere ugualmente il problema sostanziale, in quanto la funzione giurisdizionale interessata sarebbe comunque quella della Corte dei conti, e consentirebbe di mettere in luce il difetto di fondo delle sentenze sopra citate, che, premessa l’impugnabilità delle delibere di controllo della Corte dei conti, hanno valutato a chi spettasse la giurisdizione tra AGO e GA. A mio parere, ove si ritenga che la delibera coinvolga situazioni soggettive meritevoli di tutela giurisdizionale in senso stretto, l’alternativa non è la qualificazione dell’interesse abbisognevole di tutela quale diritto soggettivo da attribuire all’AGO o interesse legittimo da attribuire al GA, ma, prima di tutto, esaminare se la controversia rientri nella materia di contabilità pubblica, che è sicuramente di competenza della Corte dei conti (con il rito del giudizio ad istanza di parte), ovvero se sia estranea. Solo in quest’ultimo caso si pone l’alternativa di qualificare l’interesse azionato se di diritto soggettivo o di interesse legittimo. Se la Sezione regionale di controllo è stata convenuta in giudizio, allora la questione di giurisdizione potrebbe essere già posta; in alternativa, andrebbe valutata la percorribilità di una diversa soluzione: occorrerebbe, cioè, chiedersi se può la Procura regionale della Corte dei conti instaurare su quel dissesto un giudizio ad istanza di parte nei confronti del Prefetto e del Comune per fare accertare la sussistenza dei presupposti di dichiarazione del dissesto. Ove questo fosse possibile si formerebbe un giudicato implicito sulla giurisdizione e, ove contestata, la questione di giurisdizione sarebbe affrontata e risolta dalla sezione giurisdizionale prima e dalla Cassazione poi, ma – finalmente – con una corretta impostazione.

In ogni caso, l’adozione del decreto del Presidente del TAR della Regione siciliana a margine del quale vengono svolte tali considerazioni, offrono lo spunto per una riflessione di fondo. Al di là della natura dell’atto di dissesto e sul suo procedimento – che si configurerebbe comunque come un atto complesso difficilmente qualificabile – si evidenzia in ogni caso la necessità che le attribuzioni della Corte dovrebbero essere chiare superando l’ambiguità in termini generali di un “collaborazionismo” giuridicamente ambiguo e che non può che generare le incertezze con le quali oggi siamo alle prese.

Basterebbe, de jure condendo, prevedere, in via legislativa, l’attribuzione alla Corte della giurisdizione esclusiva in materia di dissesto degli enti locali, e il potere esclusivo, di dichiarare il dissesto, prevedendo altresì, a completamento delle garanzie, l’impugnazione della relativa deliberazione davanti alle sezioni giurisdizionali o alle sezioni riunite della stessa Corte. Del resto, appare indubbio che la materia del dissesto rientra sicuramente nella accezione delle “materie di contabilità pubblica” di cui all’art. 103, comma 2, della Costituzione. Tale soluzione, pertanto, non solo rispetterebbe sicuramente il parametro costituzionale, ma sarebbe oltremodo giustificata dalla tendenza emersa negli ultimi anni nella legislazione e nella giurisprudenza costituzionale di attribuire la giurisdizione per materia e sulla base della specializzazione del giudice. Ne guadagnerebbero sicuramente le garanzie dei soggetti interessati, la tutela degli interessi pubblici coinvolti, e, soprattutto, la certezza del diritto.

Tommaso Miele*

* Consigliere Corte dei conti


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