Il limite massimo per il ricorso alle anticipazioni di tesoreria dei tre dodicesimi rispetto alle entrate correnti del rendiconto dell’ultimo esercizio, ex art. 222 del testo unico degli enti locali n. 267, deve intendersi rapportato, in modo costante, al saldo tra anticipazioni e restituzioni medio tempore intervenute.

Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, deliberazione n 23 del 15 settembre 2014, Pres. Antonio De Salvo, Rel. Rinieri Ferone

La questione

La sezione di controllo per la Regione Campania ha chiesto alla Sezione delle Autonomie come debba essere interpretato l’art. 222, comma 1, del TUEL secondo cui il tesoriere concede anticipazioni di tesoreria, entro il limite massimo dei tre dodicesimi delle entrate accertate nel penultimo anno precedente, afferenti ai primi tre titoli di entrata del bilancio.

La questione, nello specifico, attiene alla computabilità a meno nel calcolo del tetto massimo delle somme medio termine restituite al tesoriere. In altri termini,il punto è se il limite deve essere verificato dal Tesoriere, nel momento in cui concede l’anticipazione, sul saldo fra anticipazioni erogate e quelle restituite nel corso dell’esercizio, oppure il plafond disponibile è quello definito annualmente a prescindere dalle quote già rimborsate.

Nel primo caso, il limite funzionerebbe come tetto al “fido” accordabile dal Tesoriere; nel secondo, opererebbe sul totale delle somme complessivamente anticipabili dallo stesso tesoriere, senza conteggiare le restituzioni.

La decisione

La Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, con la decisione che si annota, sposa la soluzione meno rigorosa secondo la quale il tetto fissato dall’art. 222 del TUEL deve essere conteggiato escludendo le quote di liquidità già rimborsate dall’ente nel corso dell’esercizio. E spiega il suo orientamento con la stessa natura del contratto di anticipazione di tesoreria, riconducibile alla causa del contratto di finanziamento a breve termine avente la funzione economica di assicurare, per l’intero esercizio, disponibilità liquide entro un tetto prestabilito a prescindere dal numero delle prestazioni oggetto del regolamento contrattuale.

La Corte, a sostegno della soluzione prospettata, ricorda che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 188/2014 ha individuato la specifica causa contrattuale come quella «nella quale si combinano la funzione di finanziamento con quella di razionalizzazione dello sfasamento temporale tra flussi di spesa e di entrata, attraverso un rapporto di finanziamento a breve termine tra ente pubblico e tesoriere».

Commento

La disciplina – E’ opportuno ricordare, in premessa, che l’anticipazione di tesoreria serve a fronteggiare «eccessi diacronici tra i flussi di entrata e quelli di spesa» (C. Cost. n. 188/2014, sulla compatibilità dell’anticipazione con il divieto di indebitamento per spese non di investimento ex art. 119, c. 6, Cost.). E’ una risorsa aggiuntiva solo in termini di cassa, con riflessi negativi sulla gestione corrente appesantita dagli interessi dovuti al tesoriere per il prestito a breve secondo le condizioni economiche previste nella convenzione di tesoreria.

L’istituto è regolato per gli enti locali dall’art. 222 del testo unico degli enti locali n. 267 del 2000, che stabilisce presupposto e  limite per la sua concessione.

Presupposto giuridico per la concessione è l’adozione da parte della giunta di un’apposita deliberazione con la determinazione dell’importo dell’anticipazione, l’impegno a rimborsare il prestito e la sua durata. Per le province e le città metropolitane, dove, dopo la riforma Delrio, L. n. 56/2014, non è più previsto l’organo esecutivo, la competenza è, rispettivamente, del presidente e del sindaco metropolitano.

L’importo massimo concedibile è quantificato nella misura dei 3/12 delle entrate accertate nel penultimo anno precedente relative ai primi tre titoli di entrata per province, comuni, unioni di Comuni e città Metropolitane ed ai primi due titoli di entrata per le Comunità Montane (dall’esercizio finanziario 2010, il limite dei 3/12 deve essere maggiorato dell’importo equivalente al credito dell’imposta comunale sugli immobili che le singole amministrazioni comunali possono vantare nei confronti dello Stato per effetto dell’art. 1 della L.  n.126/2008 (il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla L.  n. 214/2011, come modificato dall’art. 4, comma 5, lettera m) del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito dalla L. n. 44/2012, ha disposto (con l’art. 13, comma 14, lettera a)) cl’abrogazione dell’art. 1 del decreto-legge “ad eccezione del comma 4 che continua ad applicarsi per i soli comuni ricadenti nei territori delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano”).

L’anticipazione è utilizzata all’atto dell’emissione di mandati di pagamento di importo superiore alla disponibilità di cassa o per la esecuzione, sempre per importi eccedenti alla giacenza di cassa, di pagamenti obbligatori. L’ente deve restituire l’anticipazione entro la fine dell’esercizio finanziario  in cui è stata contratta.

L’anticipazione deve essere contabilizzata in bilancio, in perfetto parallelismo, tra accensione e utilizzo, obbligo di restituzione, accertamento e impegno. L’impegno, in particolare deve essere assunto in misura corrispondente all’ammontare massimo dell’anticipazione utilizzata nell’esercizio finanziario di riferimento (principio contabile n. 2/2009, punto 60), o in misura corrispondente all’ammontare dell’anticipazione utilizzata di volta in volta (principio contabile n. 2, punto 57, versione 2004). Gli stanziamenti di spesa per i rimborsi di tesoreria non assumono carattere autorizzatorio (all. 4/2 al d.lgs n. 118 del 2011, come modificato dal d.lgs n. 126/2014, secondo cui “Il bilancio di previsione, almeno triennale di competenza, e di cassa nel primo esercizio, ha carattere autorizzatorio, costituendo limite agli impegni di spesa ed ai pagamenti, fatta eccezione per i servizi per conto di terzi e per i rimborsi delle anticipazioni di tesoreria”).

Dubbi interpretativi – La disciplina dell’istituto è chiara, tranne per quanto attiene alle modalità di calcolo del tetto massimo, come ha evidenziato la Sezione regionale della Campania, che, nel rimettere la questione alla Sezione delle Autonomie, ha evidenziato che sono ipotizzabili due soluzioni: l’una più rigorosa e più aderente al testo normativo, secondo la quale il tesoriere è tenuto a vigilare sull’osservanza del limite computando il totale delle richieste di anticipazione accordate, senza tenere conto delle eventuali intermedie restituzioni; l’altra, meno restrittiva, secondo cui  il limite è nel fido concedibile e non nella somma delle anticipazioni complessivamente corrisposte.

La Sezione delle Autonomie accoglie la soluzione “meno rigorosa”, ritenendo che una volta assicurato il rispetto del limite, non c’è motivo di limitare l’utilizzabilità dell’anticipazione se l’ente attraverso il rientro dal finanziamento già utilizzato, ricostituisce il plafond disponibile.

Al centro della questione, il tema della tempestività dei pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, già posto all’attenzione dall’art. 9 comma 1, lettera a) del decreto – legge n. 78/2009, recentemente ribadito dal decreto legge n. 66 del 2014, e indicato anche nell’agenda dell’attuale  Governo fra le priorità per fronteggiare la crisi in cui versano le imprese. Queste, infatti,  fra l’altro, non riescono a riscuotere i propri crediti nei confronti degli enti locali anche a causa di momentanei “vuoti di liquidità” in ragione delle continue modifiche al sistema di finanziamento degli enti stessi.

Resta il problema dell’incidenza negativa sulla gestione corrente degli interessi passivi da pagare per utilizzare il “fido”, la cui misura è definita nelle convenzioni di tesoreria. Non può sfuggire, infatti, come evidenziato dalla stessa Sezione che “Il frequente ricorso alle anticipazioni di tesoreria possa essere, .., sintomo di una precarietà degli equilibri strutturali di bilancio, soprattutto quando il ricorso all’istituto prescinde dai momenti topici della gestione ordinaria nei quali sono maggiori i rischi di illiquidità”.

Giuseppe Panassidi

 


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