L’acquisto di cravatte, effettuato in occasione di un convegno, recanti, oltre al logo di detto convegno, anche la firma e la qualifica del convenuto, quale organizzatore, non porta automaticamente a ricondurre l’acquisto di tali gadgets al mero interesse personale di quest’ultimo, in contrasto con la finalità di rappresentanza dell’amministrazione; quest’ultima, infatti, risulta comunque soddisfatta dall’apposizione del logo.
CORTE DEI CONTI – Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte – Sentenza 25 febbraio 2013, n. 27 – Pres. Sfrecola, Rel. Valero.
Commento – Il Collegio piemontese ha deciso per l’assoluzione in quanto la Procura non avrebbe fornito la prova del danno, ed in particolare che l’apposizione della firma del convenuto sui gadget abbia precluso il realizzarsi della finalità di rappresentanza dell’amministrazione.
La sentenza non scioglie tutti i dubbi. Ricordiamo brevemente che lo scopo delle spese di rappresentanza è di promuovere l’immagine o l’azione dell’ente pubblico, mediante attività rivolte verso l’esterno. Principali requisiti di legittimità di dette spese sono: lo scopo di promozione dell’ente, l’inerenza della spesa ai fini istituzionali, la congruità rispetto ai valori di mercato e la sobrietà (sia rispetto all’evento, che alle dimensioni ed ai vincoli di bilancio dell’ente che le sostiene), l’effettuazione da parte degli organi di vertice e in occasione di manifestazioni ufficiali, ed il previo stanziamento in bilancio. Per completezza si sottolinea altresì che le spese di rappresentanza hanno carattere eccezionale rispetto all’ordinaria attività amministrativa e, per tale ragione, postulano una particolare cura degli aspetti formali e sostanziali dei connessi adempimenti gestionali.
Tornando alla sentenza in commento, ricordiamo come la magistratura contabile abbia, con precedenti pronunce, evidenziato come le spese di rappresentanza non si debbano “risolvere in un beneficio personale dei dipendenti e degli amministratori dello stesso ente (Sez. controllo Stato, deliberazione 1 agosto 1995, n. 109)”, infatti lo scopo dev’essere quello di promozione dell’ente pubblico.
Forse sarebbe stata, a parere dello scrivente, più convincente una pronuncia di condanna del convenuto ad un danno pari ad una quota della spesa sostenuta per gli acquisti, in tal modo riconoscendo solo parzialmente la riconducibilità di tale spesa alla promozione dell’immagine dell’amministrazione, e contestandola (almeno parzialmente) per l’apposizione della firma e della qualifica dell’organizzatore del convegno, il quale sembrerebbe, in tal modo, aver perseguito anche (o principalmente?) lo scopo di promuovere la sua immagine personale.
Inserimento a cura di Riccardo Patumi, magistrato della Corte dei conti.