Per stabilire la natura di ente pubblico o privato di una società in house non va considerata la disciplina legislativa di affidamento e gestione dei servizi pubblici relativa al modello  “in house providing”, ma si deve aver riguardo al regime giuridico che conforma l’attività degli organi societari, gli atti adottati e il rapporto di impiego con i dipendenti.

Consiglio di Stato, sede giurisdizionale, sezione V, sentenza 28 settembre 2015 n. 4510, Presidente Caringella, Estensore Caputo


A margine

La vicenda riguarda un concorso pubblico, per soli titoli, per un posto di dirigente presso un’Autorità di bacino in cui il ricorrente impugna la graduatoria finale lamentando l’erronea valutazione dei titoli di servizio da lui prestato presso una società “in house”.

In particolare la commissione avrebbe erroneamente qualificato la società in parola quale “società privata” attribuendo così all’interessato il minor punteggio previsto dal bando per questo tipo di esperienza professionale anziché riconoscere il punteggio maggiore previsto per le attività svolte presso enti pubblici, sì da collocare il candidato in posizione utile nella graduatoria finale di merito.

Con il ricorso di primo grado il ricorrente rileva che la società è nata dalla trasformazione di un consorzio di comuni in S.p.A., è sottoposta ai controlli della Ragioneria Generale dello Stato ed alla giurisdizione contabile sostanziandosi, da ultimo, quale articolazione della Pubblica Amministrazione (i cui dirigenti sarebbero legati alla P.A. da un rapporto di servizio), e avrebbe pertanto natura di ente pubblico. In proposito viene richiamata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di Cassazione secondo cui: “le società in house hanno delle società solo la forma esteriore, in quanto in realtà costituiscono delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi”.

Il Tar Campania, sez. III, con sentenza n. 2569-2015, respinge il ricorso sulla base della considerazione che la società, sebbene esercente un servizio pubblico in house, è comunque sottoposta al regime di diritto privato poiché le “richiamate nozioni di organismo di diritto pubblico e di impresa pubblica, rinvenibili nel D.lgs. n. 163-2006, si limitano ad ampliare ovvero circoscrivere l’ambito di applicazione delle direttive comunitarie nn. 2004-172004-18 in tema di appalti pubblici a soggetti fondamentalmente privati, in considerazione dell’influenza proprietaria e del controllo su di essi esercitato da uno o più soggetti pubblici”.

L’interessato propone quindi appello al Consiglio di Stato.

Il giudice di secondo grado ricorda che, nell’ordinamento comunitario l’in house, opera indipendentemente (e indifferentemente) dalla natura pubblica o privata del soggetto affidatario e che, per stabilire la natura pubblica o privata di una società affidataria in house, si deve aver riguardo al regime giuridico che conforma l’attività degli organi societari, gli atti adottati e il rapporto di impiego con i dipendenti.

Alla luce di tali indici, ad avviso del collegio, la società in esame rientra nel genus delle società di diritto privato, come del resto dimostrato dal fatto che il rapporto d’impiego intrattenuto col ricorrente non è soggetto alle regole di cui al D.lgs. n. 165 del 2001 contenente “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, bensì interamente sottoposto al diritto del lavoro privato.

Pertanto il ricorso va respinto avendo la commissione di concorso esattamente ascritto la società in esame tra le strutture private.

di Simonetta Fabris


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