Gli amministratori locali nell’ipotesi in cui il Comune, attraverso la struttura incaricata della gestione del servizio, non rispetti la normativa di legge (d.lgs. n. 22/1997 e d.lgs. n. 152/2006) in ordine al raggiungimento delle percentuali minime nella raccolta differenziata dei rifiuti rispondono del danno erariale conseguente al costo supplementare sostenuto dall’ente locale per la maggior quantità di rifiuti conferiti in discarica
Nella medesima ipotesi in cui il Comune, in violazione della legge, abbia effettuato una raccolta differenziata in misura inferiore a quella minima prevista e per l’effetto abbia conferito una maggiore quantità di rifiuti in discarica gli amministratori locali non rispondono del danno ambientale di cui all’art. dall’art. 300, comma 1, del d.Lgs. n. 152/2006, qualora non si sia verificato un incremento dell’inquinamento rispetto alla situazione originaria con deterioramento delle condizioni ambientali.
Corte dei conti, Sez. giur. Liguria, sentenza 27 maggio 2013, n. 83. Pres. Coccoli, Est. Maltese.
Nella fattispecie concreta oggetto di commento i giudici contabili si sono occupati di una peculiare vicenda in cui la Procura regionale ha citato a giudizio i sindaci e gli assessori all’ambiente succedutisi tra il 2006 ed il 2010 nel governo del Comune di Recco, nonché il Responsabile del Servizio ambiente comunale per il danno consistente nel maggior costo sostenuto dall’ente locale per il conferimento in discarica dei rifiuti che avrebbero dovuto essere oggetto di raccolta differenziata in base alla legge e per il danno ambientale, definito dall’art. 300, comma 1, del d.Lgs. n. 152/2006 [1] , che sarebbe stato arrecato allo Stato.
Il Collegio giudicante nell’occuparsi della questione ha ripercorso brevemente l’evoluzione normativa ricordando come innanzitutto il diritto comunitario abbia imposto agli Stati membri, attraverso le direttive del Consiglio n. 91/156/CEE del 18/3/1991 e 99/31/CE del 26 aprile 1999, l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie ad assicurare il recupero o lo smaltimento dei rifiuti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza l’uso di procedimenti o di metodi suscettibili di recare pregiudizio all’ambiente e il legislatore abbia emanato innanzitutto il decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 (cosiddetto decreto Ronchi [2]) costituente, fino al 2006, la normativa quadro sulla gestione dei rifiuti, con cui è stata prevista l’adozione di un sistema di raccolta differenziata idoneo a consentire la drastica diminuzione dei rifiuti avviati in discarica, con fissazione di percentuali minime di raccolta differenziata via via crescenti nel corso degli anni.
Con l’emanazione del D.Lgs. n. 152/2006 (che ha sostituito il d.lgs 22/1997) all’art. 205 [3], comma 3, inoltre, al fine di penalizzare il conferimento in discarica dei rifiuti e di rafforzare i previsti obblighi di raccolta differenziata, il legislatore ha introdotto, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi minimi fissati dalla legge, un’addizionale del 20% al tributo dovuto per il conferimento, da applicarsi nei confronti dell’ Ambito Territoriale Ottimale (A.T.O.) con successiva ripartizione dell’onere tra quei Comuni del territorio che non abbiano raggiunto le prescritte percentuali minime. Inoltre, con le medesime finalità, il conferimento dei rifiuti in discarica è stato altresì gravato, ex art. 40 della L.R. 21 giugno 1999, n. 18 [4], da un onere di 0,008 euro al Kg. e da un onere ulteriore, previsto dall’art. 7 del D.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 per il pretrattamento dei rifiuti, fissato dalla Giunta regionale della Liguria in 0,01 euro al Kg.
Dal suddetto quadro normativo, come rilevato dalla Sezione ligure, emerge quindi che secondo il disegno del legislatore la raccolta differenziata svolge un ruolo rilevante e prioritario nel sistema di gestione integrato dei rifiuti essendo tra l’altra indirizzata a consentire di ridurre il flusso dei rifiuti da avviare allo smaltimento in discarica.
Secondo i giudici contabili l’ordinamento ha dunque previsto l’obbligo ricadente sulle singole amministrazioni comunali di attuare le prescrizioni legislative in materia di raccolta differenziata dei rifiuti e di garantire, indipendentemente dal soggetto cui è materialmente affidato il servizio di raccolta dei rifiuti urbani, il rispetto delle percentuali minime previste dalla legge. Secondo il Collegio giudicante la fissazione di soglie minime della raccolta differenziata, risultando necessaria ai fini del raggiungimento degli obiettivi fissati dal legislatore, rende l’adempimento del dettato normativo un puntuale e inderogabile obbligo per le amministrazioni, la cui violazione viene, infatti, “sanzionata” con aggravi di costo per lo smaltimento a carico dei Comuni inadempienti.
Nella fattispecie il contratto stipulato nel 2003 tra il Comune di Recco e la s.p.a. incaricata della gestione del servizio prevedeva specifiche prescrizioni in materia, obbligando il gestore del servizio alla raccolta differenziata di frazioni di rifiuti nel rispetto del D.Lgs. 22 del 1997 e s.m.i, compresa quindi l’osservanza delle percentuali minime di raccolta differenziata, da realizzare secondo scaglioni progressivi annuali.
Secondo il collegio ligure il mancato rispetto delle predette disposizioni, con realizzazione della raccolta differenziata in misure significativamente inferiori a quelle previste dal citato art. 24 del decreto n. 22/97, ha comportato a carico del Comune il pagamento di oneri aggiuntivi per il conferimento in discarica del materiale che avrebbe dovuto essere destinato proficuamente alla raccolta differenziata ed ha, pertanto, arrecato al Comune di Recco un danno patrimoniale.
Detto danno, applicando alla quantità di rifiuti risultante dalla differenza tra la percentuale di raccolta differenziata realizzata e quella minima prevista dalla legge la “tariffa per lo smaltimento dei rifiuti”, il tributo speciale, l’addizionale del 20%, l’onere ex art. 40 L.R. n. 18/1999 e, dal 1 luglio 2009, l’onere di pretrattamento dei rifiuti conferiti, è stato quantificato in oltre un milione di Euro.
Il danno in questione è stato ritenuto dai giudici contabili ascrivibile agli amministratori comunali in carica nei diversi periodi considerati, nonché al responsabile del Settore ambiente e manutenzione del Comune.
La responsabilità degli amministratori è ravvisata per non aver verificato il corretto funzionamento degli uffici e dei servizi comunali ed in particolare per l’omessa vigilanza e per il mancato esercizio dei poteri di impulso e di direttiva sugli uffici operativi, essendosi di fatto comportati come se gli obblighi di legge di raggiungimento di determinate percentuali non fossero esistiti. I giudici contabili hanno ritenuto altresì che gli stessi amministratori abbiano contribuito attivamente alla violazione dell’obbligo di legge, fissando negli atti di verifica dell’andamento del servizio obiettivi di gran lunga inferiori a quelli previsti dalla legge stessa.
Viene ravvisata altresì una responsabilità in capo al responsabile del Settore Ambiente per aver omesso quella puntuale attività di verifica sulle modalità di esecuzione del servizio da parte dell’appaltatore e la richiesta di immediati interventi incisivi finalizzati al rispetto da parte della società incaricata delle prescrizioni di legge.
La Sezione ligure infine, ravvisando altresì una corresponsabilità nella determinazione del danno di assessori non citati in giudizio ed un rilievo apprezzabile nella condotta della società gestrice, ascrive ai convenuti un pregiudizio dell’ordine del 25% della somma complessiva domandata dalla Procura, ulteriormente temperato dall’esercizio del potere riduttivo.
Quanto alla richiesta di risarcimento del danno ambientale allo Stato di cui all’art. 300 , comma 1, del d.Lgs. n. 152/2006, i giudici contabili osservano che la norma di legge recepisce puntualmente la nozione comunitaria di danno ambientale, secondo cui tale pregiudizio consiste nel deterioramento, rispetto alle condizioni originarie, provocato alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria, alle acque interne, alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale, al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana
E’ ravvisabile oggettivamente un danno ambientale solo allorquando vi sia un incremento dell’inquinamento rispetto alle condizioni originarie, che secondo la Sezione ligure non risulta essersi verificata nella fattispecie dedotta in giudizio, posto che risultano essere stati versati in discarica rifiuti in quantità maggiore rispetto a quelli che si sarebbero prodotti con una raccolta differenziata effettuata nelle misure previste dalla legge, ma non maggiormente inquinanti rispetto a quelli che la stessa discarica, in base alle sue caratteristiche costruttive e operative, era destinata ad accogliere. Il prospettato pregiudizio all’ambiente è pertanto ritenuto insussistente nella vicenda in esame.
A cura di Adriano Gribaudo, magistrato della Corte dei conti
[1] “1. E’ danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilita’ assicurata da quest’ultima.
2. Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato: a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche’ della flora e della fauna selvatiche, nonche’ alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione; b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, ad eccezione degli effetti negativi cui si applica l’articolo 4, paragrafo 7, ditale direttiva; c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali; d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente.”
[2] Articolo 24: “1. In ogni ambito territoriale ottimale deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle seguenti percentuali minime di rifiuti prodotti: a) 15% entro due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; b) 25% entro quattro anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; c) 35% a partire dal sesto anno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.
2. Il coefficiente di correzione di cui all’articolo 3, comma 29, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e’ determinato anche in relazione al conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1.”
[3] Comma 3. “ Nel caso in cui a livello di ambito territoriale ottimale non siano conseguiti gli obiettivi minimi previsti dal presente articolo, e’ applicata un’addizionale del venti per cento al tributo di conferimento dei rifiuti in discarica a carico dell’Autorita’ d’ambito, istituito dall’articolo 3, comma 24, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, che ne ripartisce l’onere tra quei comuni del proprio territorio che non abbiano raggiunto le percentuali previste dal comma 1 sulla base delle quote di raccolta differenziata raggiunte nei singoli comuni.”
[4] Articolo 40: “1. La Giunta regionale individua: a) la tipologia degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti per i quali è dovuto un contributo annuale da parte dei gestori degli impianti al Comune ove tali impianti sono siti; b) i criteri per la determinazione del contributo da commisurarsi alla quantità e qualità dei rifiuti movimentati, nonché alla tipologia dell’impianto. Il contributo può essere aggiornato ogni tre anni. 2. I relativi introiti sono destinati in via preferenziale dal Comune per interventi in campo ambientale.”