Corte dei conti, sezione controllo per la regione Basilicata, deliberazione n.10 del 14 marzo 2018Presidente Scalia, relatore Gianfranceschi

A margine

Il quesito – La richiesta di parere concerne la possibilità di innalzare il compenso spettante all’Amministratore unico di una società “in house”, nell’ipotesi di ulteriori affidamenti, i quali comporteranno un incremento di oltre il 50% del relativo fatturato storico, con un oggettivo aggravio di compiti e responsabilità a carico dell’organo amministrativo.

Oggetto del quesito è dunque la possibilità di derogare ai limiti imposti dalla normativa di riferimento nelle more dell’emanazione del decreto ministeriale previsto dall’art. 11, co. 6. del T.U. n. 175/2016, che disciplinerà i nuovi criteri di determinazione dei compensi spettanti agli organi delle società pubbliche.

Il parere – La Corte mette in evidenza i principi generali in materia contenuti, attualmente, nell’art. 4, co. 4, del D.L. n. 95/2012, relativo alla “Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche”, a mente del quale “A decorrere dal 1° gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investititi di particolari cariche, non può superare l’80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013”.

Si tratta di una norma finalizzata alla revisione della spesa e, come tale, preordinata alla produzione di economie pubbliche derivanti dalla diminuzione dei costi di funzionamento della pubblica amministrazione, nell’ottica del contenimento del debito pubblico nazionale.

Tale disposizione, ai sensi dell’art. 11, co. 7, del D.Lgs. n. 175/2016 e s.m.i., rimarrà in vigore fino all’emanazione del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, volto a definire, per le società a controllo pubblico, “indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle suddette società”.

Il nuovo DM dovrà, in particolare, uniformare la disciplina dei limiti retributivi degli organi di amministrazione e controllo di tutte le società pubbliche, introducendo vincoli non più ancorati a parametri storici (come accade attraverso la parametrazione al costo sostenuto nel 2013 o agli emolumenti percepiti da sindaci e presidenti delle province ex art. 1, co. 725 e ss, L. n. 296/2006) ma ad indicatori dimensionali qualitativi e quantitativi, riferiti alla medesima società (quali il fatturato, il numero dei dipendenti, ecc.),

Nel frattempo, come detto, resta confermato il divieto di aumentare il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori, sia delle società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche, che di quelle a totale partecipazione pubblica, oltre l’80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013.

Rispetto ai dubbi evidenziati nel quesito, la Sezione rammenta che la giurisprudenza contabile ha già avuto modo di esprimersi sull’interpretazione dell’art. 4, co. 4, del D.L. n. 95/2012.

Ad esempio, la Sezione di controllo della Lombardia, chiamata a verificare se, in caso di riorganizzazione aziendale di una società pubblica, con affidamento di nuovi servizi, fosse possibile attribuire al Presidente del Cda un compenso eccedente l’80% del costo del 2013, ha ritenuto che il suddetto limite “in quanto preordinato a garantire il coordinamento di finanza pubblica” non possa essere superato nell’ipotesi in cui siano posti in capo alla società nuovi e maggiori incarichi (SRC Lombardia n. 88/2015/PAR).

Si tratta infatti di un vincolo tassativo che non può “ammettere eccezioni che non siano stabilite da specifiche disposizioni di legge che nel vigente quadro normativo non è dato ravvisare con riferimento alle aumentate competenze della società partecipata dall’ente pubblico”.

Analogamente, la Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, con deliberazione n. 19/2015/PAR, ha affermato che “il vincolo ex art. 4, comma 4 del D.L. n. 95/2012 deve essere interpretato come tassativo, tale da non consentire eccezioni derivanti da situazioni contingenti .. senza poter tenere conto delle competenze professionali concretamente richieste per la gestione dell’incarico”.

Anche a fronte di un mutato quadro organizzativo (conseguente ad es. alla creazione di una nuova società a partecipazione pubblica a seguito della fusione per incorporazione di una partecipata in altro organismo), la Sezione regionale di controllo per la Lombardia ha, poi, nuovamente precisato che “è indubbio (…) che la tassatività dell’attuale previsione legislativa non può che essere superata o diversamente modulata solamente dal legislatore” (SRC Lombardia n. 71/2016/PAR).

Sulla stessa linea interpretativa si è espressa anche la Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo (delib. n. 80/2016/PAR), la quale, nel chiarire se i vincoli contenuti nelle del D.L. n. 95/2012 fossero applicabili anche alle società partecipate caratterizzate dalla presenza di un amministratore unico, ovvero se fossero da ritenersi unicamente rivolti alle ipotesi di società amministrate da organi collegiali, ha sottolineato che “il testo normativo non fornisce elementi interpretativi per consentire un’applicazione differenziata del vincolo in ragione della forma di governo societaria adottata (amministratore unico o consiglio di amministrazione)”.

Il D.L. 95/2012 si inserisce, tra l’altro, in quel trend normativo che ha avuto tra i suoi prodotti più significativi un rinnovato quadro costituzionale in esito al quale l’agere della pubblica amministrazione, anche laddove si sostanzi in attività amministrativa svolta in forma di impresa, non può più ritenersi limitato alla garanzia dell’imparzialità e del buon andamento, ma deve essere finanziariamente sostenibile.

Considerato, pertanto, che il diritto al compenso dell’organo amministrativo risulta un diritto geneticamente limitato, non si pone nemmeno un problema di bilanciamento tra principi o interessi costituzionali, in quanto il rapporto che lega la società al suo amministratore va ricondotto nell’ambito di un rapporto di tipo societario, che non è assimilabile né ad un contratto d’opera, né tanto meno ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato.

Per tali compensi non può quindi trovare applicazione il disposto dell’art. 36 Cost., con conseguente disponibilità e rinunciabilità del compenso e piena legittimità di ogni previsione statutaria restrittiva.

In conclusione, la tassatività del D.L. sulla spending review vieta un incremento dei compensi anche in caso di aumentata complessità della gestione societaria, evenienza che si verifica, peraltro, soltanto in caso di modifica dell’oggetto sociale statutariamente intervenuta successivamente all’accettazione dell’incarico da parte dell’amministratore designato e che non può trovare equivalenti nello svolgimento di attività già originariamente previste in Statuto ma precedentemente di fatto non esercitate.

Stefania Fabris


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