IN POCHE PAROLE …
Il riconoscimento dei debiti fuori bilancio, possibile anche in assenza di un contratto redatto in forma scritta.
Corte dei conti, Sez. reg. di controllo Sardegna, deliberazione 6 novembre 2024, n. 179/2024/PRSE – Pres. Contu, Rel. Carnieletto
Ai fini del riconoscimento di debiti fuori bilancio per acquisti irregolari (art. 194, comma 1, lett. e) Tuel) non è necessaria la sussistenza di un’obbligazione giuridicamente perfezionata, essendo possibile anche in assenza di un contratto redatto in forma scritta.
E’ quanto ha recentemente affermato la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti del Piemonte (parere n° 179/2024) rispondendo ad una specifica richiesta di parere in modo coerente con altri pronunciamenti dello stesso tenore (Sezione Campania – Parere n° 111/2021 e Sezione Sicilia – Parere n° 178/2023).
La pronuncia si presenta di interesse in quanto – tradizionalmente – l’orientamento era restrittivo sul punto, in forza della riconduzione del riconoscimento dei debiti fuori bilancio agli atti di ricognizione di debito che, come noto, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale della cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale.
Più di recente, infatti, il Giudice di legittimità è pervenuto al differente approdo ermeneutico secondo cui “anche qualora le obbligazioni siano state assunte senza un previo contratto, oltre che senza l’osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione dello stesso, al di fuori delle norme c.d. ad evidenza pubblica, insorge un rapporto obbligatorio direttamente tra chi abbia fornito la prestazione e l’amministratore o il funzionario inadempiente che l’abbia consentita (Cass. n. 30109 del 21/11/2018)” (Cass. civile, Sez. I, 12 marzo 2020, n. 7113).
La tesi della necessaria esistenza di un’obbligazione giuridicamente perfezionata è stata riconsiderata anche da alcuni, più recenti, orientamenti giuscontabili. Da una parte, essi hanno escluso la rilevanza, ai fini del riconoscimento, di un’eventuale patologia del contratto, venendo in considerazione non il rapporto bensì solo gli effetti, se vantaggiosi. Dall’altra parte, è stato evidenziato che – in tale ipotesi – si tratterebbe del riconoscimento dell’utilità dell’opera o della prestazione ai fini dell’imputabilità dell’arricchimento all’ente pubblico.
In ogni caso, a prescindere dalla validità dell’obbligazione sottostante il riconoscimento, l’ente locale sarebbe comunque esposto sia all’azione diretta di arricchimento senza causa da parte del dipendente/amministratore che abbia corrisposto al privato il prezzo della prestazione o della fornitura, sia in via surrogatoria all’azione di indebito arricchimento del privato contraente, ove il patrimonio del dipendente/amministratore non offrisse adeguata garanzia.
In effetti, prosegue la pronuncia, la previsione normativa nulla dispone circa la necessità di una valida costituzione del titolo di acquisto, con la conseguenza che devono ritenersi riconoscibili gli acquisti di beni e servizi che, a prescindere dalla validità del rapporto obbligatorio sottostante per l’ente locale, siano ritenuti pertinenti, utili e vantaggiosi per l’ente e la sua comunità.
L’estraneità dell’Ente al rapporto obbligatorio (sulla base della specifica previsione di cui all’art. 191, comma 4, del Tuel) comporta che eventuali invalidità del rapporto medesimo sono irrilevanti ai fini del riconoscimento, il quale non sana l’illegittima acquisizione del bene o servizio, non produce gli effetti negoziali del titolo mancante (determina a contrarre, provvedimento di affidamento, stipula del contratto in forma scritta) e non convalida il contratto nullo.
Con il riconoscimento – invece – nasce il rapporto obbligatorio tra il fornitore e l’ente sulla base del presupposto dell’arricchimento per l’ente ai fini dell’inserimento nel bilancio del debito irregolarmente assunto.
Pertanto, il presupposto della regolarizzazione contabile non è dunque un preesistente rapporto obbligatorio, bensì l’arricchimento per l’ente, il cui riconoscimento fonda il debito (e quindi il rapporto obbligatorio) in capo all’amministrazione.
Di conseguenza, conclude la Corte, non assume carattere ostativo al riconoscimento del debito la nullità del contratto di acquisizione tra p.a. e contraente privato per difetto della forma scritta, ove richiesta ad substantiam dalla vigente normativa.
Peraltro, sul piano applicativo, il difetto della forma scritta potrebbe in ogni caso assumere rilevanza nella valutazione complessiva effettuata dall’ente in ordine alla remunerabilità della prestazione ovvero all’indennizzabilità dell’acquisizione come debito fuori bilancio.
Fermo quanto sopra, di particolare interesse si presentano le ulteriori indicazioni del parere in ordine al percorso istruttorio da svolgere ai fini del riconoscimento, a partire dal richiamo della competenza in ordine alla decisione sulla legittimità del debito e sulla conseguente sua riconoscibilità è riservata all’organo consiliare cui spetta programmare la gestione finanziaria e le scelte amministrative nella prospettiva del piano di spesa contenuto nel bilancio di previsione, e non oltre i limiti da esso fissati.
In tale quadro si rende opportuna una valutazione dell’organo consiliare in ordine alla potenziale esposizione dell’ente, in caso di mancato riconoscimento, all’esercizio dell’azione di indebito arricchimento (in via diretta o indiretta), e quindi a eventuali contenziosi, perciò solo forieri di ulteriori spese a loro volta fonte di potenziali danni erariali.
Il Consiglio è, infine, tenuto ad accertare le ragioni per cui gli organi di amministrazione attiva dell’ente non hanno seguito la regolare procedura di acquisizione del bene o servizio in questione, sia al fine di verificare eventuali responsabilità sia per evitare che si ripetano situazioni di irregolarità nella gestione delle procedure di acquisto dei beni e servizi.
In presenza di un’invalidità del contratto “l’ente locale non potrebbe che valutare con rigore i presupposti in questione, ponderando, nei singoli casi di specie, il ricorrere dell’inerenza alle funzioni e del c.d. ‘arricchimento imposto’, ossia la circostanza che l’arricchimento non fu voluto e non fu consapevole”.
dott. Marco Rossi