Le ipotesi di incompatibilità ed inconferibilità per il conferimento di incarichi nelle PP.AA. sono tassative e devono essere interpretate restrittivamente, non essendo ammissibile una loro applicazione in via analogica.
Sussiste un danno erariale per la nomina di un direttore generale solamente qualora il soggetto nominato ricada in una chiara e conclamata ipotesi di incompatibilità od inconferibilità.
Il Sindaco può essere chiamato a rispondere del danno erariale discendente dalla nomina di un direttore generale in violazione delle ipotesi di incompatibilità od inconferibilità solamente qualora abbia palese contezza della violazione o laddove venga meno alla diligenza richiesta per l’adempimento dei propri obblighi di servizio omettendo di verificare che gli uffici competenti abbiano adeguatamente istruito il procedimento.
Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, sentenza 28.3.2018, n. 79, Presidente dott. Donato Fino, Consigliere relatore Dott. Claudio Chiarenza
A margine
Il fatto – Viene chiesta la condanna, innanzi alla Corte dei conti emiliana, di un direttore generale di un Comune e del sindaco, per il danno cagionato allo stesso Ente in relazione, proprio, alla nomina dello stesso direttore generale .
Secondo la Procura, la nomina sarebbe avvenuta in violazione dell’art. 4 del D. Lgs. 8 aprile 2013, n. 39 che dispone, tra l’altro, l’inconferibilità degli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali, e degli incarichi dirigenziali esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni “a coloro che, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato o finanziati dall’amministrazione o dall’ente pubblico che conferisce l’incarico ovvero abbiano svolto in proprio attività professionali, se queste sono regolate, finanziate o comunque retribuite dall’amministrazione o ente che conferisce l’incarico”, con conseguente nullità degli atti di conferimento e del contratto di lavoro stipulato, ai sensi dell’art. 17 del citato D. Lgs.vo n. 39/2013, e qualificazione di danno delle retribuzioni corrisposte nel corso dello svolgimento dell’incarico.
Nel caso in questione l’inconferibilità dell’incarico deriverebbe dal fatto che il nominato direttore generale aveva assunto, nel biennio precedente, la carica di Presidente dell’Azienda dei Servizi alla Persona dello stesso Comune.
A detta della Procura, inoltre, l’evidenza di tale precedente incarico, unitamente alla sua manifesta riconducibilità nelle ipotesi di incompatibilità di cui sopra, giustifica l’imputazione della condotta illecita ai convenuti a titolo di dolo, inteso come volontà di non adempiere ai propri obblighi di servizio e di consapevolezza della natura illecita dell’attività realizzata e, anche in rapporto al Sindaco, in considerazione della sua “elevata qualificazione e preparazione giuridica”, che gli avrebbe permesso di rendersi facilmente conto dell’inadempimento dell’obbligo di legge.
Per effetto dell’imputazione dolosa, la Procura attribuisce il danno ad entrambi i convenuti con vincolo di solidarietà e lo quantifica nell’intero ammontare dei compensi percepiti dal direttore generale.
La sentenza – La Corte adita, però, ritiene che l’azione di responsabilità così esercitata sia infondata sotto molteplici profili.
Anzitutto viene ricordato dal Collegio come le ipotesi di incompatibilità e di inconferibilità di incarichi nelle pubbliche amministrazioni siano tassative e, pertanto, la condotta, per essere illecita, deve essere posta in violazione di una specifica norma di legge che la preveda, norma che non può essere interpretata in via analogica (Cass., Sez. 1 civ., 2 febbraio 2016, n. 1949, che, sia pure resa in tema di ineleggibilità ed incompatibilità per la carica di sindaco, ai sensi dell’art. 60 TUEL, espone principi valevoli anche per l’inconferibilità in esame; C.d.S., sez. V, 28 settembre 2016, n. 4009, in relazione all’interpretazione dell’art. 4 del D. Lgs. n. 39/2013).
A ben vedere, infatti. l’art. 4 del D.lgs. 39/2013, facendo espressamente riferimento ad incarichi e cariche ricoperte in “enti di diritto privato”, risulta essere finalizzato a disciplinare esclusivamente i rapporti tra enti privati e amministrazioni pubbliche, interpretazione confermata anche sotto il profilo sistematico dato che lo stesso decreto, all’art. 1, c. 2, lett. d), nel fornire una definizione di “enti di diritto privato regolati o finanziati” li individua espressamente nelle “società e gli altri enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, nei confronti dei quali l’amministrazione che conferisce l’incarico: 1) svolga funzioni di regolazione dell’attività principale che comportino, anche attraverso il rilascio di autorizzazioni o concessioni, l’esercizio continuativo di poteri di vigilanza, di controllo o di certificazione; 2) abbia una partecipazione minoritaria nel capitale; 3) finanzi le attività attraverso rapporti convenzionali, quali contratti pubblici, contratti di servizio pubblico e di concessione di beni pubblici”.
Pertanto, anche attribuendo alle parole dell’art. 4, comma 1, il significato normativo proprio indicato nell’artt. 1 del D.lgs. n. 39/2013, l’inconferibilità è riferibile esclusivamente agli enti di diritto privato finanziati dall’amministrazione o dall’ente pubblico conferente, e non agli enti pubblici, come definiti dall’art. 1, comma 2, lett. l), tra i quali deve invece essere annoverata l’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, la quale ha certamente natura di ente pubblico non economico.
L’insussistenza dell’incompatibilità contestata dalla Procura basterebbe, quindi, a negare qualsivoglia responsabilità in capo ai convenuti. Ciononostante la Corte evidenza come, in ogni caso, non sarebbe riscontrabile in capo agli stessi l’elemento psicologico della colpa grave e, men che meno, quello del dolo.
Da un lato, infatti, il direttore generale aveva esposto analiticamente nel curriculum gli incarichi svolti, tra cui quello di amministratore unico della predetta Azienda, consentendo così alle competenti strutture amministrative del Comune, ovverosia il dirigente del servizio risorse umane e il responsabile della prevenzione della corruzione, di esaminare in modo approfondito se l’incarico fosse conferibile, mediante una accurata verifica della corretta interpretazione dell’art. 4 del D.lgs. 39/2013.
Quanto, poi, al Sindaco la Corte, alla luce delle considerazioni sopra svolte, ritiene che l’accuratezza del procedimento istruttorio espletato – in cui sono stati coinvolti i dirigenti competenti, anche con l’ausilio dei pareri espressamente richiesti all’ANCI e all’Avvocatura comunale, che hanno entrambi confermato l’insussistenza di cause di inconferibilità dell’incarico – porta ad escludere anche il dolo o la colpa grave del primo cittadino che, a prescindere dalle sue eventuali specifiche competenze professionali, ha adottato gli atti solo dopo avere affrontato la complessa problematica con la diligenza richiesta per l’adempimento dei propri obblighi di servizio.
Marco Comaschi, avvocato in Alessandria
Dello stesso Autore, La responsabilità amministrativa degli amministratori locali, e-Book , IPSOA Editore, 2018