IN POCHE PAROLE…

Costituisce condotta illecita del dipendente lo svolgimento, durante lo stato di malattia, in plurime occasioni, di competizioni agonistiche e dilettantistiche di calcio nella veste di arbitro.

Corte dei conti, sezione giurisdizionale Toscana, sentenza 17 aprile 2023, n. 113, Pres. Bax, Est. Guerrini

La fattispecie integra assenze dal servizio obiettivamente ingiustificate, ottenute mediante condotte chiaramente fraudolente atte a compromettere o mettere a rischio il recupero definitivo e, con esso, la sollecita ripresa dell’attività lavorativa.

A margine

Il caso  La procura della Corte dei conti chiede la condanna al risarcimento del danno in favore del Ministero dell’Interno, nella misura di euro 49.493,20, da parte di un assistente della Polizia di Stato, oggetto di procedimento penale per truffa ai danni dello Stato, per aver simulato uno stato di malattia ottenendo l’esonero dal prestare la propria attività lavorativa per un lasso di tempo considerevole (31 agosto 2014-14 dicembre 2015) e quindi procurandosi un ingiusto profitto pari ad euro 27.669,45, corrispondenti agli emolumenti percepiti nel corso della malattia.

Risulta che, nelle more della malattia, il soggetto avrebbe disputato in plurime occasioni competizioni agonistiche e dilettantistiche di calcio nella veste di arbitro del tutto incompatibili con la malattia.

Tale condotta, invero, sarebbe illecita in quanto, nel nostro ordinamento, un dipendente pubblico che versa in stato di malattia ha il diritto di assentarsi dal lavoro (pur percependo la retribuzione) per curarsi, riposarsi e recuperare un buon stato di salute, ma ha anche il dovere di non porre in essere attività che possano impedire o ritardare la guarigione.

La procura richiede inoltre il risarcimento per il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione quantificato in via equitativa in euro 20.000,00 in conseguenza della risonanza della vicenda e della diffusione della stessa a mezzo di organi di stampa nonché un danno da spese indirette di gestione e/o da disservizio, quantificato in euro 1.823,75 consistente nei costi sostenuti per il lavoro straordinario svolto dal personale della Questura per l’assenza del convenuto.

Il soggetto dichiara che l’inidoneità fisica non avrebbe riguardato le attività rientranti nello svolgimento della vita quotidiana, tra le quali va ricompresa quella di arbitraggio nelle modalità concrete particolarmente leggere con cui è stata posta in essere e da ritenere compatibile con l’assenza dal servizio, non integrativa di una condotta illecitamente preordinata a pregiudicare e/o ritardare la pronta e completa guarigione e, con essa, la sollecita ripresa dell’attività lavorativa.

La sentenza

Il giudice richiama quanto riportato dal medico curante secondo cui le attività di arbitraggio svolte erano incompatibili con le condizioni patologiche del ginocchio che venivano certificate sulla base del dolore riferito dal convenuto e con i periodi di riposo che venivano raccomandati in esito alle visite mediche.

Pertanto, ad avviso del giudice, la condotta complessivamente tenuta, a prescindere dalla configurazione penalistica, concorre senza dubbio ad integrare corrispondenti fattispecie di assenze dal servizio obiettivamente ingiustificate, in quanto ottenute mediante condotte chiaramente fraudolente e atta a compromettere o mettere a rischio il recupero definitivo e, con esso, la sollecita ripresa dell’attività lavorativa.

Tale condotte illecite risultano connotate da una natura dolosa, in quanto realizzate con la piena coscienza di trasgredire gli ordinari e ben conosciuti obblighi e doveri verso l’Amministrazione di appartenenza.

Si afferma pertanto la sussistenza di un “danno patrimoniale diretto da assenteismo”, correlato alla perdita patrimoniale subita dal Ministero dell’Interno in ragione degli emolumenti retributivi erogati per i periodi in cui si sono verificate le assenze dal lavoro non giustificate.

Inoltre vanno posti a carico del convenuto, a titolo di “danno da spese indirette di gestione e/o da disservizio” anche i costi aggiuntivi sostenuti dall’Amministrazione danneggiata che ha dovuto distogliere risorse, in specie umane, dal perseguimento dei fini istituzionali per concentrarle nelle attività straordinarie volte a sanzionare il dipendente convenuto e a ripristinare la regolarità del funzionamento dell’ufficio.

Quanto al danno all’immagine si riscontra la sussistenza in concreto dei presupposti per l’applicazione dell’art. 55-quinquies, comma 2, d.lgs. n. 165/2001.

Per i motivi esposti, il Collegio ritiene sussistenti nella fattispecie tutti gli elementi della responsabilità amministrativa contestati all’interessato, il quale pertanto è tenuto a risarcire al Ministero dell’Interno, quale Amministrazione lesa, il danno erariale complessivo di euro 41.673,38, composto dal “danno patrimoniale diretto da assenteismo” pari a euro 24.849,63, dal danno “da spese indirette di gestione e/o da disservizio” pari a euro 1.823,75 e dal “danno non patrimoniale all’immagine da assenteismo” pari a euro 15.000,00.

Sui presupposti per l’applicazione dell’art. 55-quinquies, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, nel basare la quantificazione del danno inferto dal convenuto all’immagine dell’Amministrazione di appartenenza la procura si  conforma ai seguenti elementi di rilievo: a) qualifica di poliziotto del responsabile, ovvero il ruolo rivestito dal dipendente nel suo ambito lavorativo, quale Assistente della Polizia di Stato; b) dolosità del comportamento; c) rilevanza penale della condotta, in quanto posta in essere da un soggetto che era incardinato in un ambito lavorativo (la Polizia di Stato) cui si riconnette la funzione di reprimere comportamenti illeciti e non di provocarli deliberatamente determinando un danno all’Amministrazione di appartenenza per un lungo periodo; d) la reiterazione dei fatti delittuosi, protrattisi in lasso temporale piuttosto esteso; e) la risonanza della vicenda all’esterno e anche all’interno dell’Amministrazione danneggiata, in specie entro la Questura di riferimento.

 


Stampa articolo