L’assenza di confronto concorrenziale che consente all’impresa affidataria diretta di procedere ad un ribasso del solo 5% sulla base d’asta, a fronte del 16,8%, costituente il valore medio dei ribassi di aggiudicazione per tipologia di stazione appaltante, determina un danno erariale pari al differenziale tra il ribasso medio e quello attuato che va posto a carico del sindaco, del segretario comunale e del responsabile dell’area tecnica.

Conte dei conti, sez. I giurisdizionale centrale d’appello, sentenza 21 agosto 2019, n. 175, Pres. Chiappiniello, Est. Mignemi

A margine

Con sentenza n. 45/2016, la Corte dei Conti per il Molise, respinge la domanda di risarcimento del danno di € 9.677,24, derivato dall’illecito affidamento diretto ad una impresa, di lavori di messa in sicurezza e di ripristino di puntellamenti di fabbricati per un importo di € 95.000,00, nei confronti del Sindaco di un Comune, del Segretario comunale e del Responsabile dell’Area tecnica-RUP, non essendo sufficientemente comprovato che altra impresa, selezionata nel rispetto della normativa del codice degli appalti, avrebbe accettato l’affidamento dei lavori ed eseguito gli stessi ad un costo minore di quello praticato.

Posto che il Comune aveva ottenuto dalla ditta contrattualizzata un ribasso del solo 5% sulla base d’asta, la procura ricorre dunque in appello evidenziando il maggiore esborso sopportato dall’Amministrazione per non aver beneficiato dei vantaggi competitivi, in termini di qualità/prezzo, che ordinariamente derivano dalla selezione della controparte mediante confronto concorrenziale.

In particolare, nei confronti del Sindaco, per aver proposto e votato la delibera in questione, del Responsabile dell’Area Tecnica, per averne attestato la regolarità tecnica e dato esecuzione e del Segretario comunale per aver omesso di segnalare alla Giunta la manifesta illiceità della emananda delibera nell’esercizio delle sue funzioni e per avervi dato esecuzione rogando il contratto di appalto.

La sentenza

La Corte ricorda che l’espressione <<danno alla concorrenza>>, mutuata dalla giurisprudenza amministrativa, indica il danno risarcibile per equivalente in favore di un’impresa che non ha avuto la possibilità di aggiudicarsi un contratto (si parla, infatti, di perdita di chance) o perché illegittimamente esclusa da una gara o perché, altrettanto illegittimamente, la gara non è stata neppure espletata.

Dall’angolo visuale della pubblica amministrazione, il danno alla concorrenza rappresenta, invece, una lesione del patrimonio pubblico che consegue all’ingiustificato maggiore esborso o, comunque, al mancato risparmio derivante dall’omesso ricorso alle regole dell’evidenza pubblica che, come quota percentuale di mancato ribasso, viene ingiustamente perduta, in misura percentuale, su ogni singolo maggiore pagamento che viene effettuato (Sez. II App. n. 601 del 2014, Sez. II n. 1081 del 2015).

Il puntuale rispetto delle regole sull’evidenza pubblica dev’essere, dunque, il modus agendi tipico e normale della pubblica amministrazione, poiché tende a favorire l’economicità dell’azione amministrativa ed il confronto effettivamente concorrenziale tra aspiranti contraenti, garantendo, altresì, il perseguimento dell’efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, oltre che della legalità e della trasparenza.

Nel caso in esame, l’appalto di lavori è stato attribuito direttamente 7 anni dopo il sisma, in assenza di un qualsivoglia confronto concorrenziale. Né vale ad escludere l’applicabilità delle regole di evidenza pubblica, la circostanza che, con dPCM, fosse stato prorogato lo stato di emergenza per gli eventi sismici del 31 ottobre 2002, verificatisi nel territorio del Comune in causa.

L’ordinanza relativa alla dichiarazione dello stato di emergenza autorizzava infatti la deroga alla normativa sugli appalti non indiscriminatamente, ma solo ricorrendo l’esigenza di adottare iniziative necessarie ed urgenti intese a rimuovere eventuali situazioni di pericolo.

Nella specie, correttamente, quindi, la Procura ha ritenuto applicabile la ordinaria disciplina sugli appalti, non sussistendo alcuna situazione di concreto ed imminente pericolo per l’incolumità pubblica, che giustificasse la deroga alla normativa vigente.

Infatti, dagli atti del procedimento e dalla delibera di Giunta relativa all’affidamento dei lavori non risulta da cosa sarebbe stata, in concreto, determinata l’urgenza dei lavori; né viene dato minimamente conto delle ragioni per le quali, stante la assoluta prevedibilità del logoramento dei puntellamenti, la procedura per l’affidamento non fosse stata iniziata per tempo, nel rispetto delle regole di evidenza pubblica.

L’assenza di urgenza è comprovata inoltre dalla tempistica della procedura adottata dall’amministrazione.

Ciò dimostra l’antigiuridicità delle condotte dei convenuti, ciascuno in relazione alle incombenze proprie della funzione.

L’assenza di confronto concorrenziale ha consentito all’impresa affidataria di procedere ad un ribasso del solo 5% sulla base d’asta, a fronte del 16,8%, costituente il valore medio dei ribassi di aggiudicazione per tipologia di stazione appaltante, con riferimento ai Comuni, come risultante dai dati forniti dall’AVCP, nella Relazione annuale al Parlamento del 15.6.2011, con riferimento agli anni 2009-2010, per gli appalti pubblici di lavori di importo inferiore ai 500.000,00 euro.

Risultando ragionevole e congruo il predetto parametro di riferimento assunto dalla Procura, il danno risulta sussistente ed equitativamente quantificato, ai sensi dell’art. 1226 c.c., nel differenziale tra il ribasso medio e quello attuato, pari ad € 9.677,24.

Peraltro, detta somma va diminuita fino a complessivi € 5.000,00, in ragione dell’apporto causale della Giunta comunale che ha adottato la delibera, che non poteva non avvedersi della palese assenza delle condizioni che avrebbero consentito la deroga alla vigente normativa in materia di evidenza pubblica.

La predetta somma di € 5.000,00 va quindi suddivisa in parti uguali tra i convenuti appellati, considerato il loro equivalente apporto nella causazione del danno.

Pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, la Corte dei conti condanna il sindaco, il segretario comunale e il responsabile dell’Area tecnica del Comune al risarcimento del danno, in favore del Comune stesso, di € 1.666,66 ciascuno.


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