Il tema della regolarità dei pagamenti della pubblica amministrazione, stante la sua rilevanza, è da tempo al centro di un vivace dibattito, a livello tanto nazionale quanto europeo. Il recente intervento normativo del Governo introduce regole più stringenti rispetto al passato, ma presenta anche alcuni elementi di incertezza meritevoli di essere approfonditi e, possibilmente, risolti, soprattutto avendo riguardo al settore dei lavori pubblici.
Il D.Lgs. n. 192/2012, entrato in vigore lo scorso 1 gennaio, aggiorna, come noto, il D.Lgs. n. 231/2002, in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra imprese e tra pubbliche amministrazioni, dando attuazione alla delega conferita al Governo dall’art. 10, della L. n. 180/2011 (cd. “statuto delle imprese“) e in recepimento della direttiva comunitaria 2011/7/UE.
Si tratta di questione non nuova (basti pensare al citato D.Lgs. n. 231/2002 e alla direttiva 2000/35/EC dallo stesso recepita) e particolarmente rilevante, tanto più nell’attuale contesto economico ed in specie nel nostro paese (il cui tessuto produttivo è prevalentemente formato da piccole e micro-imprese), in quanto, favorendo condizioni di maggiore certezza e tempestività dei pagamenti relativi alle transazioni commerciali, tende a sostenere la liquidità del sistema economico-produttivo.
Per quanto rileva in questa sede, l’aspetto più significativo tra quelli dettati dal decreto considerato è ovviamente rappresentato dal termine massimo di 30 giorni entro cui le amministrazioni pubbliche devono ordinariamente effettuare i pagamenti nei confronti dei loro fornitori, in relazione alle transazioni commerciali concluse, come anticipato, dal 1 gennaio di quest’anno. Possibili differimenti, ma comunque entro un termine non valicabile di 60 giorni, sono contemplati, ma solo in casi particolari, qualora risultino giustificati dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. Il termine di 60 giorni è altresì espressamente previsto per gli enti pubblici che erogano prestazioni di assistenza sanitaria e le imprese pubbliche tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza.
Di qualche rilievo, in materia, è anche la dichiarata nullità di eventuali clausole contrattuali con cui le parti intendano predeterminare o modificare la data di ricevimento della fattura.
Qualora gli stringenti termini di pagamento non vengano rispettati, è sancita l’automatica decorrenza di interessi legali moratori, oltretutto ad un tasso maggiorato all’8% (sinora era il 7%) oltre quello fissato dalla BCE per le operazioni di rifinanziamento (attualmente pari allo 0,75%). L’automatismo previsto dal legislatore fa sì che tali interessi dell’8,75% decorrano dal giorno successivo alla scadenza del termine non rispettato, senza che sia necessaria la costituzione in mora.
L’elevata onerosità derivante dall’applicazione di detti interessi moratori rappresenta un forte deterrente al mancato rispetto dei termini contrattuali e dovrebbe quindi indurre le amministrazioni pubbliche ad una attenta programmazione operativa e finanziaria che, sebbene espressamente prevista dalla normativa in materia, risulta spesso mancante o disattesa.
Oltretutto, se rapportati a quelli mediamente applicati in concreto, i termini di pagamento definiti dal D.L. n. 192/2012 risultano particolarmente restrittivi. Questo aspetto, unitamente alla celerità con cui il Governo, tra i primi in Europa, ha adottato il decreto (emanato il 09/11/2012 e pubblicato in G.U. il 15/11/2012, nonostante la direttiva comunitaria desse tempo sino al 16/03/2013), lascerebbero supporre un effettivo intento di rigore.
Nondimeno, alcuni passaggi contenuti nel testo del decreto suscitano perplessità e sono all’origine di dubbi interpretativi, mettendo in discussione se non le buone intenzioni, la loro migliore attuazione. Due, in particolare, meritano menzione.
Il primo riguarda il possibile differimento del termine ordinario di 30 giorni che, stando alla lettera del D.L. n. 192/2012, può avvenire, ancorché in modo motivato, nei casi richiesti dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. Si tratta di una formulazione sufficientemente generica e tale da poter trovare diffusa applicazione, molto più di quanto il testo originario della direttiva comunitaria avrebbe voluto, con il rischio che il termine ordinario risulti normalmente raddoppiato.
Il secondo dubbio riguarda l’applicabilità delle comunque stringenti disposizioni del decreto al settore dei lavori pubblici, nonostante l’esplicito riferimento ad esso contenuto nel preambolo della direttiva 2011/7/UE, che comprende, tra gli altri, appunto “la progettazione e l’esecuzione di opere e edifici pubblici, nonché i lavori di ingegneria civile”.
Infatti, nel definire le transazioni commerciali cui si applica, il D.Lgs. n. 192/2012 richiama “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo”. I lavori non risultano quindi menzionati.
Inoltre, il D.Lgs. n. 192/2012 non interviene, né abrogandole né modificandole, sulle disposizioni in materia di termini e interessi per ritardato pagamento contenute nel codice degli appalti (art. 133 del D.Lgs. n. 163/2006), nel relativo regolamento (artt. 142 ss. del d.P.R. n. 207/2010) e nel decreto che fissa la misura del tasso moratorio (D.M. 28/08/2012). Si tratta, come noto, di termini sensibilmente più protratti (che, nel caso dei saldi, possono arrivare sino a 90 giorni dall’emissione del certificato di collaudo provvisorio o del certificato di regolare esecuzione), così come di interessi calcolati ad un tasso relativamente più contenuto (attualmente pari al 5,27%).
Non è dato sapere se si tratti di lacune deliberate o accidentali. Tuttavia, la mancata elencazione dei contratti relativi a lavori nell’ambito delle transazioni commerciali di riferimento e, soprattutto, la mancata abrogazione o modifica delle disposizioni contenute nel codice degli appalti rendono oltremodo incerta l’applicazione del D.Lgs. n. 192/2012 al settore delle opere pubbliche. Il che è vero sia che si ritengano il D.Lgs. n. 192/2012 e il D.Lgs. n. 163/2006 norme di pari rango e specie, sia, a maggior ragione, qualora si ritengano il primo di portata generale e il secondo di valenza speciale (in virtù del noto brocardo “lex specialis derogat generali”).
Sul punto uno specifico intervento correttivo o chiarificatore da parte del Governo sarebbe oltremodo auspicabile, per almeno due ordini di motivi: per un verso, per non incorrere nelle sanzioni conseguenti all’infrazione della disciplina recata dalla direttiva comunitaria in materia; per altro verso, per mettere a disposizione sia delle amministrazioni pubbliche che delle imprese interessate un quadro di regole chiaro e trasparente.
Questa seconda esigenza, per certi versi più urgente e importante, lo è a maggior ragione per le amministrazioni pubbliche soggette al patto di stabilità interno, ivi compresa, altresì da quest’anno, un’ampliata platea di enti locali (province e comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti), per le quali le spese in conto capitale, principalmente relative a lavori pubblici, rilevano proprio in termini di cassa.
Non v’è dubbio che l’applicazione al settore dei lavori pubblici degli stringenti termini di pagamento considerati, se da un lato può apparire un potenziale vantaggio sotto il profilo finanziario per gli operatori coinvolti, dall’altro rischia di costringere gli enti a ridimensionare ulteriormente le loro politiche di investimento, con effetti socio-economici di segno contrario. Tuttavia, questo eventuale rischio è da ascrivere alla disciplina europea (in materia di patto di stabilità e di crescita, prima ancora che di regolarità dei pagamenti) più che a quella nazionale.
(F.F. – M.R.)
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