IN POCHE PAROLE…
La sopravvenienza dell’interdittiva antimafia consente l’escussione della garanzia provvisoria a tutela dalla mancata sottoscrizione del contratto, dopo il provvedimento di aggiudicazione, dovuta ad ogni fatto che sia riconducibile all’affidatario. Tra questi, l’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, prevede espressamente anche l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva; non consente, invece, l’escussione della garanzia definitiva, perché quest’ultima ha la funzione di tutelare l’Amministrazione da inadempienze contrattuali in senso stretto.
Tar Puglia, Bari, sez. II, sentenza 10 febbraio 2023, n. 291, Pres. Ciliberti, Est. Ieva
Il provvedimento di incameramento della garanzia definitiva non è affatto conseguenziale a qualsiasi risoluzione contrattuale, bensì solo alla pronuncia della risoluzione in danno per inadempienze negoziali. Inadempimenti che dunque devono essere sia imputabili all’aggiudicatario, sia pregiudizievoli verso l’amministrazione come nel caso di eventuale maggiore spesa sostenuta per il completamento dei lavori, servizi o forniture nel caso di risoluzione del contratto disposta in danno dell’esecutore.
A margine
Il caso – In seguito ad una interdittiva antimafia sopravvenuta in capo all’impresa contraente, due Comuni dispongono la risoluzione dei rispettivi contratti di concessione e appalto del servizio di accertamento e riscossione delle entrate tributarie, extratributarie e patrimoniali ed il contestuale incameramento delle cauzioni definitive prestate ai sensi dell’art. 103 d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 per importi pari a € 1.250.000,00 ed € 80.786,00.
Indi, la società chiede ed ottiene dal Tribunale ordinario per le misure di prevenzione l’ammissione al “controllo giudiziario”, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 e, all’esito del prestabilito periodo di “osservazione”, l’amministratore giudiziario nominato, sotto la propria responsabilità, si esprime in senso positivo.
Da ultimo, riesaminata la posizione della società, con atto motivato in conseguenza al controllo giudiziario esperito, la Prefettura emana provvedimento antimafia liberatorio.
L’impresa ricorre dunque al Tar per ottenere l’annullamento dei provvedimenti di incameramento delle cauzioni.
La sentenza
Il Tar accoglie il ricorso evidenziando che, in base all’art. 108 (Risoluzione), comma 2, lett. b), d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (“Codice dei contratti pubblici”): “Le stazioni appaltanti devono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di efficacia dello stesso qualora: […] b) nei confronti dell’appaltatore sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l’applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione”.
Inoltre gli artt. 92, comma 3 e 94, commi 2-3, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 prevedono un potere-dovere qualificato, più propriamente, come “recesso”, proteso a tutelare l’ordine pubblico economico.
Pertanto alcuna risoluzione o recesso può pronunciarsi se il contratto di appalto abbia pressoché esplicato la propria efficacia, giungendo a “scadenza contrattuale”.
Il Tar aderisce alla tesi secondo cui, a seguito della sopravvenienza dell’interdittiva, debba, finché sia operativa, escutersi la “garanzia provvisoria” (a corredo dell’offerta ex art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 cit.), perché questa tutela la mancata sottoscrizione del contratto, dopo il provvedimento di aggiudicazione, dovuta ad ogni fatto che sia riconducibile all’affidatario, ivi comprendendosi anche “l’adozione di informazione antimafia interdittiva” (Cons. St., Ad. plen., 26 aprile 2022 n. 7).
La “garanzia definitiva” (ossia quella data in seno alla stipulazione del contratto ex art. 103 d.lgs. n. 50 cit.) obbedisce ad una diversa funzione, ovverosia a quella di tutelare l’amministrazione da inadempienze contrattuali stricto sensu, tant’è che, significativamente, il testo normativo, in questa seconda ipotesi, non contempla la sopravvenienza costituita dall’informativa interdittiva antimafia.
Una volta che sia stato stipulato il contratto, la “garanzia definitiva” viene prestata “a garanzia dell’adempimento di tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall’eventuale inadempimento delle obbligazioni stesse” e “per l’eventuale maggiore spesa sostenuta per il completamento dei lavori, servizi o forniture nel caso di risoluzione del contratto disposta in danno dell’esecutore” e per altre ipotesi assimilabili (art. 103, commi 1-2, d.lgs. n. 50 cit.).
Eventi successivi, tra cui il sopraggiungere, dopo la stipulazione del contratto, di un provvedimento interdittivo antimafia, legittimano la risoluzione-recesso, ma non automaticamente l’incameramento della “cauzione definitiva” per inadempienza negoziale.
Pertanto, per il primo dei Comuni interessati, poiché il contratto di appalto era comunque giunto a scadenza, non si pongono particolari problematiche di sorta e l’incameramento della “garanzia definitiva” è priva di causa lecita e indebita.
Nel caso del secondo Comune, dopo la risoluzione-recesso (e cessazione dei canoni da corrispondersi) questo ha provveduto alla gestione dei servizi già affidati alla società, in parte procedendo alla loro internalizzazione, anche acquistando software occorrenti e in altra parte procedendo all’affido diretto ad altro soggetto appaltatore.
Quindi non si è proceduto ad alcuna “risoluzione in danno”, bensì alla semplice adozione di “misure organizzative compensative” all’interno dell’amministrazione comunale e a vantaggio dello stesso, ai fini della prosecuzione dei servizi, né sono stati dedotti o dimostrati danni specifici subiti da parte del Comune.
Di conseguenza, anche tale incameramento della “cauzione definitiva” è da ritenersi priva di causa e indebito.
Sulla funzione della garanzia definitiva – In base all’art. 103, comma 2, d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 la funzione della “garanzia definitiva” è quella di assicurare, da un lato, l’adempimento del contratto di appalto stipulato e, dall’altro lato, quella di tenere indenne l’amministrazione dagli oneri conseguenti al pronunciamento di risoluzioni in danno dell’appaltatore disposte per inadempienza contrattuale di questi. Invero, la causa di risoluzione tutelata è riconducibile alla corretta esecuzione delle obbligazioni negoziali ed opera, per così dire, “all’interno” del contratto.
Nel caso di risoluzione (o rectius recesso) che sia pronunciata a causa dal sopravvenire di un provvedimento pubblicistico interdittivo, che, al contrario, opera “all’esterno” del contratto, precludendone l’ulteriore corso, solo la richiesta tempestiva di misure di mitigazione, qual è il “controllo giudiziario”, ai sensi dell’art. 34-bis d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 può salvaguardare l’operatività del soggetto interessato.