IN POCHE PAROLE …
La certificazione sulla parità di genere non può essere oggetto di avvalimento trattandosi di documento relativo a qualità intrinseche dell’organizzazione aziendale che devono essere attestate da apposito organismo accreditato
Il caso
Un’impresa domanda l’annullamento dell’aggiudicazione dell’appalto relativo alla gestione di un centro diurno per persone con disabilità, lamentando l’errata assegnazione, al RTI aggiudicatario, del punteggio relativo alla “certificazione della parità di genere” perché posseduta solo dalla mandataria e non anche dalla mandante.
Inammissibile sarebbe il contratto di “avvalimento “premiale”, concluso a favore della mandante ex art. 104, co. 4, d.lgs. n. 36/2023, perché:
- escluso espressamente dalla lex specialis di gara, la quale precisa che “In caso di RTI … la certificazione deve essere presentata da tutti”;
- l’art. 108, co. 7, del d.lgs. n. 36/2023, mira a premiare la condizione soggettiva del concorrente che ha già conseguito la parità di genere o che sta per conseguirla. Tale condizione non potrebbe pertanto essere messa a disposizione di terzi;
- l’avvenuta adozione di politiche tese al raggiungimento della parità può essere provata solo col possesso della certificazione stessa, la quale pertanto non può essere oggetto di “prestito” in avvalimento ad altra impresa;
- l’utilizzo della stessa identica certificazione da parte di due diverse imprese costituirebbe un’indebita duplicazione del requisito, non ammessa dall’art. 104, co. 12, d.lgs. n. 36/2023, secondo cui “Nei soli casi in cui l’avvalimento sia finalizzato a migliorare l’offerta, non è consentito che partecipino alla medesima gara l’impresa ausiliaria e quella che si avvale delle risorse da essa messe a disposizione”.
La sentenza
Il Tar osserva che il disciplinare di gara, in conformità all’evoluzione normativa, ha previsto l’ammissibilità, oltre che dell’avvalimento “qualificante”, relativo ai requisiti di partecipazione, anche dell’avvalimento “premiale”, finalizzato esclusivamente a migliorare l’offerta.
L’istituto è stato innovato dall’art. 104 del Codice, con la (parziale) soppressione del divieto di contestuale partecipazione alla procedura delle imprese ausiliarie e dell’operatore che beneficia dell’avvalimento. Il divieto, infatti, sussiste oggi solo in caso di avvalimento “premiale” (cfr. comma 12), ed esplica effetti solo in sede di valutazione delle offerte, non rilevando ai fini della qualificazione e partecipazione alla gara.
Detto ciò, il giudice rammenta che:
- la certificazione della parità di genere è regolata dalla legge 5 novembre 2021, n. 162, la quale, nel modificare il d.lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità), ha previsto che, dal 1° gennaio 2022, le imprese possono dotarsi della certificazione per attestare le misure adottate per ridurre il divario di genere all’interno dell’azienda;
- l’attivazione di un sistema nazionale di certificazione costituisce uno dei traguardi e obiettivi previsti dal PNRR, per la realizzazione del quale lo Stato ha messo a disposizione significative risorse;
- con DPCM del 29 aprile 2022 sono stati definiti i parametri per il conseguimento della certificazione, che potrà essere rilasciata unicamente da organismi di certificazione accreditati; alle imprese è richiesto innanzitutto di misurare il livello as-is della propria organizzazione per poi misurare rispetto ad esso, gli stati di avanzamento costanti nel tempo attraverso un monitoraggio annuale e una verifica ogni due anni;
- per incentivarne l’ottenimento, sono stati previsti esoneri in relazione alle contribuzioni previdenziali, l’attribuzione di punteggi premiali nelle gare d’appalto, diminuzioni degli importi delle garanzie per la partecipazione alle medesime gare, …
Da quanto sopra deriva che la certificazione di parità di genere attiene ad una condizione soggettiva intrinseca dell’azienda che non può costituire oggetto di un contratto di avvalimento, perché non assimilabile ad una risorsa da mettere a disposizioni di terzi che la potrebbero impiegare nell’esecuzione di un lavoro o di un servizio.
Infatti, anche ammettendo per ipotesi l’esistenza di due realtà aziendali simili e sovrapponibili per quanto riguarda il divario di genere, l’eventuale ausilio, consulenza o supervisione fornita dalla ausiliaria per stabilire quali politiche e misure siano le più adatte e idonee per l’ausiliata per superare il divario di genere, non potrà aver alcun effetto, in quanto il legislatore riserva simili valutazioni ad appositi organismi accreditati.
Conclusioni
La certificazione sulla parità di genere non può essere oggetto di trasferimento a mezzo di un contratto di avvalimento che preveda attività di consulenza, messa a disposizione di standard operativi e procedure di intervento all’impresa ausiliata.
Questo perché si tratta di una certificazione relativa a qualità intrinseche delle organizzazioni che devono essere attestate da un apposito organismo accreditato.
Un eventuale contratto di avvalimento sarebbe pertanto inidoneo a garantire che le procedure adottate siano effettivamente funzionali ed efficaci al raggiungimento della parità di genere, trattandosi di valutazioni riservate unicamente ad organismi accreditati.
Per quanto sopra, il ricorso viene accolto con annullamento degli atti impugnati.
Stefania Fabris