La “clausola sociale” deve conformarsi ai principi in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza non potendo imporre alcun obbligo, per l’impresa aggiudicataria, di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dal precedente gestore.
Tar Toscana, sez. III, sentenza 13 febbraio 2017, n. 231, Presidente Trizzino, Estensore Giani
A margine
Nella vicenda, un’impresa impugna il bando di gara di una procedura aperta finalizzata alla conclusione di una convenzione quadro per la gestione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti sanitari, indetta da una centrale di committenza regionale, contestando le previsioni relative alla c.d. “clausola sociale” nella parte in cui stabiliscono, in violazione dell’art. 50 del d.lgs. n. 50/2016, non la prioritaria assunzione del personale del gestore uscente ma l’ obbligatoria assunzione della totalità dello stesso.
In particolare, ad avviso della ricorrente, la clausola, per come formulata:
- non è tesa a “promuovere la stabilità occupazionale”, come prevede l’art. 50 cit., bensì ad imporre l’assunzione di tutto il personale attualmente presente, indicandone numero, inquadramento, orario, in tal modo violando i principi UE di concorrenza e libertà d’impresa;
- è in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza e dall’ANAC, dovendo la stessa comportare solo priorità nell’assorbimento del personale uscente e non il totale riassorbimento dello stesso, incidendo altrimenti sulla libera esplicazione della libertà imprenditoriale; tanto più, in presenza di un elenco di personale sovradimensionato rispetto al ridotto perimetro del nuovo contratto oggetto di affidamento.
In risposta, la stazione appaltante eccepisce l’inammissibilità delle censure, perché la ricorrente è il gestore uscente, per cui non ci sarebbe alcun passaggio di personale, che presuppone il cambio di gestore, con conseguente inapplicabilità della clausola in esame.
Peraltro, la stessa clausola è frutto di un Protocollo d’intesa con i sindacati volto a garantire la stabilità di tutto il personale del servizio, dato il difficile quadro economico e la scarsa specializzazione dello stesso che ne rende difficile il ricollocamento.
Infine, l’amministrazione evidenzia che la giurisprudenza che configura la clausola sociale in termini compatibili con la libertà d’impresa, è stata elaborata sotto la vigenza della vecchia normativa, senza tener conto della dimensione maggiormente sociale della più recente legislazione europea. Pertanto, la disciplina di cui all’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016 e la normativa europea di cui esso costituisce attuazione, innovando rispetto al passato, renderebbero, oggi, legittima la suddetta clausola.
Il Tar ritiene il ricorso fondato.
In particolare il collegio richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. III, n. 1255 del 2016) secondo cui: a) la “clausola sociale” deve conformarsi ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando, altrimenti, lesiva della stessa concorrenza e della libertà d’impresa; b) l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori dell’appaltatore uscente deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante; c) la clausola non comporta alcun obbligo per l’aggiudicataria di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dal precedente gestore (Cons. Stato, sez. III, n. 1896/2013).
Per questi motivi, la clausola sociale risulta illegittima, dovendo essere riformulata in conformità alle esigenze occupazionali richieste per la gestione del nuovo servizio, in modo da armonizzare l’obbligo di assunzione con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’affidatario.
Peraltro, seppur la direttiva 24/2014/UE sicuramente riconosce le esigenze sociali anche negli appalti, non pare tuttavia che le stesse possano giustificare o imporre una clausola così forte come quella contestata e, in tal senso, pure l’art. 50 del Codice “promuove” la stabilità occupazionale senza imporla rigidamente.
Ciò posto, il Tar annulla le parti degli atti di gara che prevedono la clausola.
di Simonetta Fabris