In applicazione dei principi dettati dalla CGUE, il limite del 30% al subappalto non può più ritenersi applicabile “a priori” ma deve comunque essere valutato dalla stazione appaltante in concreto se il ricorso al subappalto abbia effettivamente violato i principi di trasparenza, di concorrenza e di proporzionalità.

Tar Puglia, Lecce, sez. I, sentenza 5 dicembre 2019, n. 1938, Presidente Pasca, Estensore Ferrazzoli

A margine

Nell’ambito di una procedura di gara ai sensi del d. lgs 50/2016 per l’affidamento del Servizio di analisi di acque destinate al consumo umano a bordo di Unità navali una ditta concorrente viene esclusa per:

a) mancanza della certificazione necessaria per eseguire direttamente le operazioni di campionamento;

b) accreditamento del Laboratorio ausiliario dichiarato dalla stessa impresa per eseguire il campionamento di soli 5 parametri a fronte dei 52 complessivamente richiesti nel bando di gara;

c) invalidità del contratto di avvalimento, atteso che l’impresa ausiliaria non era in possesso del requisito di accreditamento per tutti i parametri richiesti nella specifica tecnica e avrebbe dovuto sub-appaltare a laboratori terzi l’esecuzione delle analisi per 47 parametri sui 52 totali previsti.

La ditta ricorre dunque al Tar affermando che, nella fase esecutiva della prestazione oggetto di gara, il requisito dell’accreditamento sarebbe stato comunque pienamente rispettato, atteso che il laboratorio ausiliario avrebbe fatto eseguire le 47 prove per le quali era sprovvista della certificazione da altri laboratori autorizzati.

In particolare, non sarebbero applicabili alla fattispecie in esame tanto gli articoli 89, comma 8, e 105, comma 19, del d. lgs 50/2016, quanto il limite del 30% di cui all’art. 105 comma 2 del d. lgs 50/2016, atteso che il rapporto tra il laboratorio ausiliario certificato e gli altri laboratori utilizzati per singole prove dovrebbe essere qualificato alla stregua di un accordo quadro di service e non di un sub-appalto.

La sentenza

Il Collegio osserva che, come evidenziato dalla ricorrente, la norma europea UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005 consente al laboratorio accreditato (in questo caso impresa ausiliaria) la possibilità di far eseguire ad altri le proprie attività, ma prescrive espressamente che ciò avvenga tramite l’affidamento in “subappalto” ad enti competenti.

Peraltro, è la stessa ausiliaria a qualificare il rapporto giuridico intercorrente con gli altri laboratori di prova accreditati come subappalto nella dichiarazione sostitutiva prodotta in sede di gara.

Pertanto, accertato che l’affidamento a terzi delle analisi deve avvenire attraverso un contratto di subappalto, devono trovare applicazione al caso di specie le norme sul subappalto ed in particolare il comma 8 dell’art. 89 del d. lgs 50/2016 rubricato “avvalimento” – che prescrive che “Il contratto è in ogni caso eseguito dall’impresa che partecipa alla gara, alla quale è rilasciato il certificato di esecuzione, e l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati” – ed il comma 19 dell’art. 105 del d. lgs 50/2016 rubricato “subappalto” – che dispone che “L’esecuzione delle prestazioni affidate in subappalto non può formare oggetto di ulteriore subappalto”.

Ai sensi del combinato disposto dei predetti articoli 89 comma 8 e 105 comma 19, le prestazioni oggetto di un contratto pubblico devono essere eseguite dal soggetto che partecipa alla gara mentre nella fattispecie in esame il subappalto viene utilizzato dall’impresa ausiliaria, in violazione del divieto di subappalto a cascata.

Pertanto, anche sotto questo ulteriore profilo deve ritenersi infondata la censura della ricorrente.

Quanto alla dedotta non applicabilità del limite del 30% di cui all’art. 105 del d. lgs 50/2016 al subappalto delle analisi per 47 parametri sui 52 oggetto della procedura di gara effettuato dalla società ausiliaria a cinque laboratori, censurata dalla ricorrente, il Collegio evidenzia quanto segue.

Il comma 2 dell’art. 105 del d. lgs 50/2016 appalti prescrive che “Il subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. Costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare. Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”.

Tuttavia, nelle more del giudizio in esame, la Corte di Giustizia Europea, con sentenza C-63:18 del 26 settembre 2019, ha affermato che “la direttiva 2014/24 dev’essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.

La Corte ha evidenziato in particolare che “durante tutta la procedura, le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare i principi di aggiudicazione degli appalti di cui all’articolo 18 della direttiva 2014/24, tra i quali figurano, in particolare, i principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità” … “la normativa nazionale di cui al procedimento principale vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico in parola, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore”.

Orbene, ritiene il Collegio, in applicazione dei principi dettati dalla CGUE, che non possa più ritenersi applicabile “a priori” il limite del 30% al subappalto, ma che debba comunque essere valutato in concreto se il ricorso al subappalto abbia effettivamente violato i principi di trasparenza, di concorrenza e di proporzionalità.

Nel caso in esame, la società ausiliaria avrebbe dovuto subappaltare più del 90% delle prestazioni oggetto dell’appalto, possedendo l’accreditamento richiesto solamente per 5 dei 52 parametri.

Non è stata fornita alcuna precisa indicazione in sede di offerta circa i laboratori che avrebbero dovuto operare in subappalto, la loro affidabilità, i rapporti intercorrenti tra questi ultimi e l’ausiliaria e la prestazione di impegno dei medesimi ad eseguire le prove di analisi, violando così i predetti principi di trasparenza, di concorrenza e di proporzionalità e rendendo del tutto incerta la corretta esecuzione delle prestazioni oggetto dell’appalto.

Pertanto, il provvedimento di esclusione della ricorrente è confermato e il ricorso è respinto.

di Simonetta Fabris


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