La clausola del disciplinare che richiede all’impresa, ai fini della partecipazione alla gara, di essere proprietaria di un impianto finale di smaltimento allocato all’interno dell’ambito territoriale di tre regioni ovvero di avvalersi, per l’espletamento del servizio, dell’utilizzo di un deposito ubicato nello stesso territorio, non riguardando un territorio significativamente ristretto, non è irragionevole.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 06 aprile 2020, n. 2293, Presidente Garofoli, Estensore Tulumello
A margine
Con sentenza n. 970/2019, il Tar Veneto respinge il ricorso proposto da una società contro gli atti di una procedura ai sensi del d.lgs. 50/2016 per l’affidamento diretto, previa valutazione di preventivi, di un servizio di smaltimento dei rifiuti sanitari presso un’ASL.
L’impresa ricorre quindi in appello contestando la clausola del disciplinare di gara che richiedeva, quale requisito tecnico ai fini della partecipazione, di essere proprietaria di un impianto finale di smaltimento mediante termodistruzione situato nell’ambito territoriale delle regioni Veneto, Trentino o Friuli, ritenendola irragionevolmente limitativa della concorrenza.
La sentenza
Il Consiglio di Stato richiama la giurisprudenza che ha indicato i limiti entro i quali simili clausole possono considerarsi legittime, secondo criteri di ragionevolezza (sentenze della V Sezione n. 2238/2017 e n. 605/2019).
Quest’ultima, in particolare, evidenzia l’esistenza di profili di illegittimità legati non all’estensione territoriale, ma alla natura dell’adempimento richiesto (quale condizione per la partecipazione alla gara, e non per la stipula del contratto): “il richiedere il possesso di un’idonea officina sarebbe stato legittimamente esigibile verso il concorrente aggiudicatario definitivo come condizione per la stipulazione del contratto, attualizzandosi in quel momento l’interesse dell’amministrazione a che il contraente abbia a disposizione una struttura per assicurare la continuità del servizio: per converso, la clausola in parola, nella misura in cui richiede a tutti i concorrenti di procurarsi anticipatamente e già al momento della domanda, la disponibilità di un’officina localizzata nel Comune, finisce per imporre a carico dei medesimi un onere economico e organizzativo che potrebbe risultare ultroneo e sproporzionato, obbligandoli a sostenere i connessi investimenti per il reperimento degli immobili idonei in vista di una solo possibile ma non certa acquisizione della commessa, senza che a ciò possa sopperire l’eventuale ricorso all’istituto dell’avvalimento per l’evidente considerazione che l’effettiva operatività dell’istituto dipende non solo dalla decisione della concorrente (che comunque non può partecipare individualmente), ma anche dalla volontà concorde di altre imprese”.
Nel caso di specie la clausola è inserita non nel capitolato ma nel disciplinare e richiede all’impresa partecipante “di essere proprietaria di un impianto finale di smaltimento mediante termodistruzione allocato all’interno dell’ambito geografico evidenziato nell’allegato “ambito territoriale” ovvero di avvalersi, per l’espletamento del servizio dell’utilizzo di un deposito preliminare e/o messa in riserva (stoccaggio), autorizzato dai competenti enti all’accettazione dei rifiuti sanitari ed ubicato nell’ambito dell’area geografica rappresentata nell’allegato “ambito territoriale”.
L’ ambito territoriale comprende i territori di tre regioni.
La censura in esame invoca un indirizzo giurisprudenziale formatosi in relazione a clausole di contenuto analogo aventi ad oggetto ambiti territoriali infracomunali o comunque significativamente ristretti, mentre, nel caso di specie, l’ambito territoriale include un territorio più ampio (tre regioni), sicché la clausola censurata appare non irragionevole, secondo gli stessi criteri indicati dalla richiamata giurisprudenza, anche in relazione all’oggetto specifico dell’appalto (il solo smaltimento dei rifiuti).
Pertanto l’appello è respinto.
di Simonetta Fabris