IN POCHE PAROLE…

Il decorso del termine annuale di validità non “azzera” automaticamente gli effetti interdittivi dell’informativa antimafia.


Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 13 dicembre 2021, n. 8309Pres. Frattini, Est. Fedullo


Al decorso del termine annuale di efficacia interdittiva del provvedimento antimafia ex art. 86, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 non va attribuito l’effetto di determinare automaticamente la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo.

Il decorso del termine di validità annuale dell’interdittiva antimafia ha l’effetto di legittimare il soggetto interdetto a presentare un’istanza volta a sollecitare il riesame del provvedimento medesimo, alla luce delle circostanze sopravvenute alla sua adozione e tali da giustificare la rivalutazione da parte della Prefettura dei relativi presupposti, ovvero consentire alla Prefettura di procedere alla attualizzazione della prognosi infiltrativa, laddove sia venuta a conoscenza di circostanze suscettibili di estinguere o attenuare il pericolo di condizionamento mafioso,

Scaduto l’anno di efficacia del provvedimento interdittivo, sussiste quindi l’esigenza dell’aggiornamento laddove si siano verificate circostanze meritevoli di considerazione ai fini della verifica della sua persistente attualità, ferma restando l’efficacia, nelle more e fino alla sua formale revoca, del provvedimento  e del connesso regime inibitorio.

A margine

Il Tar Lazio respinge il ricorso di una ditta, destinataria di informazione antimafia, volto ad affermare l’intervenuta decadenza dell’interdittiva antimafia, sulla scorta del decorso del termine annuale di validità ex art. 86, comma 2, del codice delle leggi antimafia (D.Lgs. n. 159/2011).

In proposito, il T.A.R. sostiene che “non è riconoscibile…. la decadenza dell’interdittiva per il decorso del termine annuale di durata ai sensi dell’art. 86, comma 2, del codice delle leggi antimafia (D.Lgs. n. 159/2011), considerato che la pubblica amministrazione è tenuta ad emettere una informativa liberatoria nei confronti dell’impresa solo ove sopraggiungano elementi nuovi, capaci di smentire o, comunque, di superare gli elementi che hanno giustificato l’emissione del provvedimento interdittivo, essendo irragionevole, e contrario alla ratio della normativa antimafia, sostenere che gli elementi valutati per l’adozione dell’informativa perdano di efficacia indiziante solo perché l’informativa è scaduta decorso un anno dalla sua emanazione, con la conseguenza che l’attualità degli elementi indizianti, posti a fondamento di un’informativa interdittiva, permane inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi e ulteriori rispetto alla precedente valutazione, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo (T.A.R. Emilia-Romagna, -OMISSIS-). Elementi che reggono e giustificano la legittimità del provvedimento interdittivo, la cui revisione è rimessa alla esclusiva competenza del Prefetto che potrà essere esercitata a seguito di una domanda di riesame che dimostri il venir meno degli originari presupposti”.

La ricorrente si appella dunque al Consiglio di Stato deducendo che la norma citata, affermando la validità annuale dell’informazione antimafia, non farebbe menzione della necessità dell’adozione di un’informazione di tipo liberatorio.

L’appellante richiama i principi sanciti al riguardo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 57 del 29 gennaio 2020, secondo cui “alla scadenza del termine occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva”, lamentando che nella specie è mancato ogni approfondimento istruttorio a seguito dell’immediato licenziamento dei soggetti attenzionati operanti all’interno dell’impresa.

Evidenzia pertanto che, una volta spirato il termine di validità annuale dell’interdittiva, non è necessaria la prova di sopravvenienze idonee ad ottenere un’informazione liberatoria (onere che, peraltro, l’appellante avrebbe pienamente assolto mediante la dimostrazione della immediata cessazione di ogni qualsiasi rapporto con i soggetti che la Prefettura aveva ritenuto in “odore di mafia”, facendo così venir meno ogni possibile pericolo di infiltrazione nel mercato delle commesse pubbliche), ma, al contrario, spetta alla P.A. dimostrare la persistenza delle ragioni che hanno condotto all’adozione del provvedimento interdittivo per procedere al suo rinnovo.

La sentenza 

Il Collegio respinge il ricorso sottolineando che il decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, D.Lgs. n. 159/2011 non produce ex se la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, il quale, una volta spirato il termine suindicato, dovrebbe considerarsi tamquam non esset, ma produce l’effetto (strumentale e procedimentale) di imporre all’Autorità prefettizia il riesame della vicenda complessiva, ergo dei sintomi di condizionamento dai quali era stato distilllato il pericolo infiltrativo, ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva.

Tale conclusione interpretativa è l’unica coerente con l’esigenza di non prefissare rigidamente la durata della vita del provvedimento interdittivo, ma di commisurarla alla reale natura ed intensità dell’esigenza preventiva cui lo stesso è preordinato, consentendo al soggetto interessato (titolare quantomeno di un potere di impulso) ed all’Amministrazione di apprezzare, in relazione alla concreta situazione ostativa ed alla potenzialità evolutiva che la stessa presenta, la sussistenza dei presupposti per procedere alla revisione, in chiave liberatoria, del provvedimento originario.

Ragionando diversamente, ovvero attribuendo al decorso del predetto termine annuale l’effetto automatico di “azzerare” gli effetti interdittivi dell’informativa, si imporrebbe alla Prefettura di procedere costantemente (o, almeno, al decorso del termine annuale) alla verifica della persistenza dei presupposti per la protrazione del regime inibitorio, anche quando nessun elemento nuovo (tale, cioè, da giustificare la sua revisione) si sia verificato (o sia stato addotto dal soggetto interessato), con la conseguente ineluttabilità della sua conferma.

Pertanto al decorso del suddetto termine annuale non può essere attribuito l’effetto di determinare automaticamente la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, ma quella di legittimare il soggetto interdetto a presentare un’istanza volta a sollecitare il riesame del provvedimento medesimo, alla luce delle circostanze sopravvenute alla sua adozione e tali da giustificare la rivalutazione da parte della Prefettura dei relativi presupposti, ovvero consentire, recta via alla Prefettura di procedere alla attualizzazione della prognosi infiltrativa, laddove sia venuta a conoscenza di circostanze suscettibili di estinguere o attenuare il pericolo di condizionamento mafioso.

Tale interpretazione è sintonica con il dettato normativo richiamato, in quanto la “validità” a termine dell’informativa antimafia può essere correttamente riferita alla prognosi interdittiva (che dell’informativa costituisce il fondamento legittimante), la cui intangibilità resta circoscritta al suindicato orizzonte temporale, con la conseguente esigenza del suo aggiornamento laddove si siano verificate circostanze meritevoli di considerazione ai fini della verifica della sua persistente attualità, ferma restando l’efficacia, nelle more e fino alla sua formale revoca, del provvedimento interdittivo e del connesso regime inibitorio (all’intrattenimento da parte dell’impresa interdetta di rapporti con la P.A. o comunque allo svolgimento di attività in settori cui sia estesa la vigenza della normazione antimafia).

di Simonetta Fabris


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