Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 8028 del 15 dicembre 2020– Presidente Barra Caracciolo, relatore Di Matteo

IN POCHE PAROLE …

Per gli statuti delle società in house pluri-partecipate non sussiste il divieto di istituire organi speciali ove preposti all’esercizio del controllo analogo congiunto

A margine

Il fatto

Un operatore economico privato impugna gli atti di un comune finalizzati al successivo affidamento diretto in house, ad una società a totale capitale pubblico, della gestione del servizio di igiene urbana.

Ad essere contestata è la deliberazione con cui il Consiglio comunale ha approvato le modifiche dello statuto della società, necessarie ad assicurare ai soci pubblici il controllo analogo, unitamente allo schema di patti parasociali tra gli stessi soci.

Viene inoltre messa in discussione l’espressa introduzione di due categorie di soci, quelli “affidanti” e quelli “non affidanti” il servizio, in apparente contrasto con il divieto di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 175/2016 di detenere partecipazioni in società di capitali, per riceverne soltanto utili e non anche servizi.

La sentenza

Il Consiglio di Stato respinge il ricorso, chiarendo che, per le società cd “in house”, non vige il divieto, sancito dall’art. 11 del d.lgs. n. 175/2016 e s.m.i., di prevedere, mediante apposita norma statutaria, la costituzione di organi speciali se necessari a garantire il controllo analogo congiunto.

In caso di società partecipata da più enti pubblici è la stessa Corte di Giustizia ad aver ammesso che il controllo analogo può essere esercitato in forma congiunta dotando i soci di appositi strumenti che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società, ex art. 2, co. 1, lett. c, del d.lgs. n. 175/2016.

Tra questi strumenti rientrano, unitamente ai patti parasociali, anche eventuali organi speciali come i Comitati unitari e i Comitati tecnici, a condizione che:

a) in essi ogni socio pubblico abbia un proprio rappresentante e che le deliberazioni siano assunte con maggioranze formate per unità e

b) che siano previsti poteri di controllo e di gestione, tali da restringere l’autonomia decisionale del Consiglio di amministrazione imponendo indirizzi e prescrizioni, nonché prevedendo poteri consultivi preventivi.

In altri termini, un Comitato assembleare, costituito per disciplinare la collaborazione tra i soci per l’esercizio del controllo, se dotato di poteri vincolanti nei confronti del Consiglio di amministrazione, può costituire una rilevante deroga ai meccanismi tipici di funzionamento della società di capitali, in grado di assicurare ai soci pubblici, collettivamente considerati, un’influenza determinante e un controllo effettivo sulla gestione dell’ente partecipato.

Il divieto, sancito per gli statuti delle società a controllo pubblico dall’art. 11, co. 9, lett. d, del d.lgs. n. 175/2016, di “istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”, non vale pertanto per le società in house in quanto:

  • trattasi di divieto previsto in relazione alle “società a controllo pubblico”, disciplinate dall’art. 11, e non ripetuto nell’art. 16, dedicato alle società in house, la cui disciplina appare, pertanto, speciale e derogatoria;
  • le società in house sono sottoposte a quella forma particolare di controllo pubblico che è costituita dal controllo analogo ex art. 2, co. 1, lett. o, d.lgs. n. 175/2016, da intendersi quale forma di eterodirezione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma al socio pubblico controllante che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni (Cfr. sentenza 13 ottobre 2005, causa C-458/03 Parking Brixen).
  • la logica alla base di tale controllo è esattamente opposta a quella del codice civile ove, per l’esigenza di garantire la separazione tra la gestione dell’impresa e la proprietà della stessa, agli amministratori è riconosciuta una competenza gestoria generale;
  • lo statuto di una società in house non può ripetere regole e procedure previste per la società di capitali di diritto comune; tant’è che l’art. 16, co. 2, lett. a, del d.lgs. n. 175/2016 assegna agli statuti di tali società la possibilità di derogare alle disposizioni dell’articolo 2380 bis cod. civ.  (sui poteri degli amministratori nel sistema societario ordinario), e dell’articolo 2409 nonies cod. civ., (sui poteri in caso di sistema dualistico).

In sostanza, lo statuto di una società in house pluripartecipata può assegnare il potere gestorio ad organi assembleari diversi dal Consiglio di amministrazione configurando, così, il peculiare sistema di amministrazione e controllo della società in house, nel quale gli amministratori sono privi di poteri decisionali propri, che derivano, invece, da altri organi della società, e che, comunque, non esercitano in piena autonomia rispetto ad essi.

A questo va aggiunto che, in caso di controllo analogo in forma congiunta, i soci pubblici hanno la necessità di concordare previamente le determinazioni da trasmettere agli organi di amministrazione della società.

I soci pubblici partecipanti devono, ad esempio, nominare rappresentati comuni negli organi decisionali, accordarsi sulle decisioni più significative per la vita sociale, e controllare reciprocamente che gli indirizzi elaborati non vadano a discapito dei propri interessi, ai sensi dell’art. 5, co. 5, del d.lgs. n. 50/2016.

L’esercizio “congiunto” del controllo va letto come esercizio “condiviso” dello stesso, impostando una modalità di gestione da parte dei soci pubblici caratterizzata dal coordinamento delle decisioni, affinché degli interessi pubblici perseguiti da ciascuno si faccia sintesi nell’interesse pubblico comune perseguito dalla società nell’esecuzione del servizio.

Ne deriva che, per ottenere la condivisione del controllo, appare indispensabile una sedes nella quale la volontà comune possa assumere la forma di determinazioni vincolanti per gli organi amministrativi.

Tale sede potrà essere individuata in un organo assembleare speciale (ad es. un Comitato) allorquando non possa essere la stessa assemblea dei soci, per la prevalenza ivi espressa dai soci di maggioranza secondo le ordinarie regole deliberative.

Questi Comitati, peraltro, si configurano quali organi della società composti da rappresentanti degli enti locali partecipanti al capitale sociale, previsti dagli statuti societari e regolamentati da atti negoziali, deliberati dalla società stessa.

In merito, poi, all’espressa introduzione di soci “affidanti” e soci “non affidanti” il servizio, il Consiglio di Stato osserva che la natura di società in house non può essere esclusa dalla contestuale partecipazione al capitale dei due tipi di soci.

La Corte di Giustizia, con sentenza 6 febbraio 2020 cause C-89-19 e C-91-19, ha infatti chiarito che “l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale che impedisce ad un’amministrazione aggiudicatrice di acquisire partecipazioni al capitale di un ente partecipato da altre amministrazioni aggiudicatrici, qualora tali partecipazioni siano inidonee a garantire il controllo o un potere di veto e qualora detta amministrazione aggiudicatrice intenda acquisire successivamente una posizione di controllo congiunto e di conseguenza la possibilità di procedere ad affidamenti diretti di appalti a favore di tale ente, il cui capitale è detenuto da più amministrazioni aggiudicatrici”.

Da questa pronuncia si desume che quel che interessa è che i soci pubblici affidanti siano in condizione di esercitare il controllo analogo congiunto; per gli altri viene invece rimesso al diritto nazionale se consentire la detenzione di partecipazioni prive dei poteri di controllo; quel che è certo è che questi ultimi non potranno effettuare affidamenti diretti prima di acquisire anch’essi i medesimi poteri gestori dei primi.

Da ultimo, esprimendosi sulle contestate condizioni per l’affidamento diretto del servizio di igiene urbana, nel richiamare la giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, i giudici di Palazzo Spada ribadiscono che, nell’attuale quadro normativo, il ricorso all’affidamento in house si colloca in posizione subalterna rispetto all’affidamento mediante gara pubblica: proprio a questo fine, all’amministrazione aggiudicatrice è imposto un onere motivazionale rafforzato, quale si ricava dal combinato disposto dell’art. 192, co. 2, del d.lgs. n. 50/2016 e dall’art. 34, co. 20, del d.l. n. 179/2012.

Nel caso di specie, il comune risulta aver dimostrato la convenienza economica dell’affidamento in house, nonchè assolto all’onere di valutazione della congruità dell’offerta economica della società dandone compiuta motivazione nel provvedimento con rinvio delle ragioni della scelta alla relazione di cui all’art. 34, co. 20, d.l. n. 179/2012.


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