La responsabilità risarcitoria della P.A. in materia di appalti pubblici per aver assunto provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi, in conformità alle regole comunitarie, ha natura oggettiva ed è sottratta ad ogni possibile esimente. In sede di determinazione del quantum risarcitorio, esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, non essendo oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, è necessaria la prova, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, prova desumibile in primis dall’esibizione dell’offerta economica presentata in seggio di gara.
CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 8 novembre 2012, n. 5686, Pres. FF Saltelli, Est. Lotti
Commento – Con sentenza 8 novembre 2012, n. 5686, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato recepisce il principio desumibile dalle pronunce europee più recenti [1] secondo cui la responsabilità risarcitoria della P.A. per illegittimità accertate in materia di appalti pubblici con riferimento a provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi ha natura oggettiva ed è sottratta ad ogni possibile esimente, in quanto derivante da principio generale funzionale a garantire la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese e a protezione della concorrenza nel settore degli appalti pubblici. Precisa inoltre che tale principio non può essere circoscritto ai soli appalti “sopra soglia”, ma deve estendersi, in quanto principio generale di diritto comunitario in materia di effettività della tutela, a tutto il campo degli appalti pubblici, nei quali i principi di diritto comunitario hanno rilevanza ed incidenza, anche alla luce dell’art. 2 del codice degli appalti n. 163/2006.
Non spetta, pertanto, alla normativa interna individuare i presupposti per la risarcibilità del danno, poiché è il danno, come fatto oggettivamente esistente, che deve legittimare il risarcimento; ciò conduce alla conclusione che ogni danno che sia conseguenza immediata e diretta della violazione di norme in materia di appalti pubblici possa, per ciò solo, definirsi ingiusto e, come tale, meritevole di adeguato ristoro.
Con la pronuncia in commento il Collegio ha ritenuto che debba darsi piena esecuzione al principio comunitario espresso dalla Corte europea che esclude la possibilità di subordinare al carattere colpevole della violazione il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice [2].
A giudizio della Sezione, pertanto, non può gravare sul ricorrente danneggiato l’onere di provare che il danno derivante dal provvedimento amministrativo illegittimo sia conseguenza di una colpa dell’Amministrazione. Questa, da parte sua, non può sottrarsi all’obbligo di risarcire i danni cagionati dal suo provvedimento illegittimo adducendo l’inesistenza a proprio carico di elementi di dolo o colpa.
Il Consiglio di Stato, consolidando un orientamento giurisprudenziale non univoco [3], giunge così ad affermare il diritto al risarcimento sulla base della prova del solo danno ingiusto subito da un’impresa illegittimamente pretermessa in sede di aggiudicazione (nel caso di specie una gara per servizio di sorveglianza a mezzo di guardie giurate di una sede giudiziaria), risarcimento negato dal TAR in primo grado proprio sulla base della supposta inesistenza della colpevolezza in capo all’amministrazione.
Riguardo alla determinazione del danno la sentenza in commento apporta alcune precisazioni sui parametri e criteri di calcolo del cd. mancato guadagno, che segnano il progressivo abbandono di un disinvolto ricorso a criteri equitativi.
Muovendo dalla lettura dell’art. 124, comma 2, del codice del processo amministrativo, il giudice amministrativo ribadisce che il criterio del 10% dell’importo a base d’asta non può trovare immediata ed automatica applicazione, dovendosi fare riferimento all’utile effettivo, desumibile anche dall’offerta economica presente in sede di gara, dalle giustificazioni delle voci di prezzo che concorrono a formare l’offerta, dalle spese sostenute e sostenibili, dal margine di guadagno che residua dopo il ribasso indicato in sede di gara.
Tradizionalmente la giurisprudenza maggioritaria, al fine di provvedere alla quantificazione del danno per mancata aggiudicazione di un appalto dichiarato illegittimo, ha fatto ricorso, invece, al meccanismo presuntivo di forfettazione del danno previsto dall’art. 345 della L. n. 2248/1865, all. F, successivamente ripreso dall’art. 122 del d.P.R. n. 554/1999 in tema di recesso unilaterale della Pubblica Amministrazione dal contratto di appalto di opere pubbliche, ed infine recepito dall’art. 134 del D.lgs. n. 163/2006, che fissa, in generale, il margine del profitto lucrato dall’appaltatore nella misura del 10% del prezzo posto a base di gara.
Tale criterio, circoscritto dal legislatore al solo danno cagionato da recesso della Pubblica Amministrazione, è stato applicato in via analogica dalla giurisprudenza maggioritaria anche nel caso di aggiudicazione illegittima, in considerazione del difficile onere gravante sul privato, il quale, in mancanza di criteri presuntivi, avrebbe dovuto dimostrare il mancato accrescimento della sua sfera patrimoniale nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento amministrativo riconosciuto illegittimo non fosse stato adottato. L’applicazione di tale meccanismo automatico di forfettazione del lucro cessante costituiva ius receptum nella giurisprudenza amministrativa [4] di gran lunga dominante fino agli arresti giurisprudenziale [5].
Ora si richiede all’impresa il preciso onere di dimostrazione rigorosa della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, sulla base di quanto stabilito dall’art. 124 c.p.a., il quale subordina testualmente il risarcimento del danno per equivalente alla condizione che questo sia “provato” [6]. Considerata la possibilità per l’impresa di utilizzare in un altro cantiere le maestranze ed i mezzi, predisposti in vista dell’aggiudicazione, sarà a carico dell’impresa provare l’impossibilità dell’eventuale riutilizzo, in difetto, questa si vedrà decurtare il compenso, in applicazione del principio di cui all’art. 1227, comma 2, c.c., secondo cui il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno. Sulla somma così calcolata sono dovuti interessi e rivalutazione. E’ altresì dovuto il c.d. danno da ritardo, utilizzando il metodo consistente nell’attribuzione degli interessi (cd. compensativi), da calcolare secondo i criteri fissati dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 1712/95).
Infine con la pronuncia in commento i giudici di Palazzo Spada affermano che spetta al giudice amministrativo pronunciarsi in via incidentale sulla nullità della clausola contrattuale del capitolato che deroga all’entità degli interessi per ritardato pagamento di cui al D.Lgs. n. 231/2002 e direttiva 200/35/CE.
Katia Maretto
[1] Cgce, sentenze 5 marzo 1996, Cause riunite C-46/93 e C-48/93, 14 ottobre 2004, C-275/03; 30 settembre 2010, C-314/09.
[2] In senso conforme: TAR Lombardia, Brescia, n. 4552/2010 e n. 1675/2012, TAR Campania, n. 1069/2012, TAR Sicilia, Campania, n. 4624/2010, TAR Lazio n. 8171/2012; TAR Sardegna n. 778/2012, Consiglio di Stato, Sez. II, n. 4355/2011, Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1193/2011, n. 6919/2011, n. 5527/2011, n. 2256/2012, n. 2518/2012, n. 4438, n. 5686/2012.
[3] Si vedano, in senso contrario, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983, Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 14, TAR Lombardia, Brescia, 5 giugno 2012, n. 1005.
[4] Consiglio Stato, sez. V, 11 maggio 2004, n. 2962:“Il danno per mancata aggiudicazione di un contratto d’appalto di lavori pubblici, ove non possa essere provato nel suo preciso ammontare, va determinato in via equitativa nel dieci per cento del corrispettivo contenuto nell’offerta con riferimento al criterio indicato negli art. 345, l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F sui lavoripubblici, che fissa nella decima parte del valore delle opere non eseguite il corrispettivo a carico dell’amministrazione per il recesso anticipato dal contratto, e 37 septies, l. 11 febbraio 1994 n. 109, introdotto dall’art. 11, l. 18 novembre 1998 n. 415, che fissa nella stessa misura “l’indennizzo a titolo di risarcimento per mancato guadagno” nel caso di risoluzione del rapporto di concessione di opera pubblica per inadempimento del concedente”; Consiglio Stato, sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1377.
[5] Consiglio di Stato del 13 giugno 2008, n. 2967, T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, 2 luglio 2008, n. 6366, T.AR. Lazio, Sez. III ter, con sentenza del 17 luglio 2008, n. 7279, Consiglio di Stato n. 5098, del 17 ottobre 2008.
[6] Consiglio di Stato, sez. V sent. n. 2518/2012, sez. III sent. n. 6444/2012.