IN POCHE PAROLE…
Al lavoro una commissione di esperti presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per rielaborare, con l’0biettivo di una semplificazione “quantitativa”, lo schema di nuovo codice dei contratti consegnato dal Consiglio di Stato.
Schema Nuovo Codice dei contratti
Non sono del tutto chiare le ragioni che hanno determinato il Ministro delle Infrastrutture ad istituire una commissione di esperti (formata da sette componenti) per la definizione di una nuova bozza di codice dei contratti pubblici «nell’ottica della massima semplificazione e snellimento in vista dell’imminente esame dello stesso da parte del Consiglio dei ministri», in Agenda di Palazzo Chigi per i primi giorni del prossimo mese.
La parola d’ordine del Ministro è ridurre almeno della metà il contenuto (o il numero degli articoli?) della bozza elaborata dal Consiglio di Stato su incarico del precedente Governo Draghi.
Da notizie di stampa risulterebbe, infatti, che il Governo sia determinato a spingere sulla semplificazione «quantitativa» del testo; l’obiettivo del redigendum in medium se centrato porterebbe l’attuale bozza da 230 articoli a 115, impresa non certo semplice, se si pensa solo che sono ben trentanove (dicasi 39 !) i principi e i criteri direttivi della legge delega n. 78 del 2022 per una riforma sistemica del codice .
Obiettivi del nuovo codice – Giova ricordare che l’obiettivo del nuovo codice è di adeguare la disciplina dei contratti pubblici a quella del diritto europeo e ai principi espressi nel corso degli anni dalla giurisprudenza in materia di contratti pubblici, e di ridare soprattutto l’organicità e sistematicità perdute a seguito delle continue modifiche introdotte n questi anni al d.lgs. 50/2016, soprattutto, a seguito di diverse disposizioni d’urgenza adottate nel corso della pandemia da COVID-19, e per adeguare la disciplina di vari istituti alle contestazioni mosse dalla Commissione europea nelle procedure di infrazione.
La disciplina comunitaria – Ebbene, per rendersi conto della complessità del problema, sarebbe sufficiente ricordare che la disciplina europea dei contratti pubblici è suddivisa in tre direttive:
- la DIRETTIVA 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici che con 94 articoli e 15 allegati subentra alla direttiva 2004/18/CE;
- la DIRETTIVA 2014/25/UE del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, che con 110 articoli e 20 allegati sostituisce la direttiva 2004/17/CE;
- la new entry DIRETTIVA 2014/23/UE del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, con 35 articoli e 11 allegati.
Quindi, la complessiva disciplina di diritto europeo dei contratti pubblici consta di ben 239 articoli e 46 allegati. Non poco.
Oltre le suddette direttive, occorre ricordare anche la DIRETTIVA 2014/55/UE del 16 aprile 2014, relativa alla fatturazione elettronica negli appalti pubblici (con altri 13 articoli).
E’ necessario poi considerare che non è possibile non tenere conto della peculiarità dei settori speciali (trasporti, porti e aeroporti, servizi postali, acqua, ecc) e del settore dei beni culturali; delle previste semplificazioni delle procedure di realizzazione di investimenti in tecnologie verdi e digitali e in innovazione sociale (tutti indicati dagli stessi principi della legge delega); della specificità dei contratti nel settore della difesa e sicurezza; dell’ esigenza di un regime “ alleggerito” per i servizi sociali e i servizi assimilati, e, non ultimo per importanza, di una diversa disciplina sulle concessioni e i contratti di partenariato pubblico e privato, cui, peraltro, è dedicata la su richiamata direttiva europea 2014/23.
La bozza del Consiglio di Stato – In realtà, a parte l’eccessivo numero di articoli dedicati ai principi (ben undici), cui occorre aggiungere quelli sulla digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti, e l’astrusa distinzione fra principi di risultato (art. 1), della fiducia (art. 2) e dell’accesso al mercato ( art. 3), in base al quale interpretare e applicare il nuovo codice (art. 4), e altri principi, non è chiaro quali dovrebbero essere gli articoli da sacrificare o da sfoltire di contenuti per soddisfare la riduzione quantitativa voluta dal Ministro. A meno che non si proceda a ridurre gli articoli aumentando a dismisura la loro partizione in commi, artifizio che andrebbe a danno della chiarezza, facilità di lettura e comprensione dei diversi istituti.
E’ vero. Il testo elaborato dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato, necessita di essere rivisto, con attenzione, e, di certo, richiede di essere ripulito di alcuni evidenti refusi, ma forse, per tentare di semplificare il linguaggio e rendere il contenuto più comprensibile, questo restyling andrebbe affidato a studiosi di linguistica, piuttosto che a giuristi.
Normativa di attuazione – L’attenzione andrebbe focalizzata, però, sul contenuto degli allegati relative alle norme di attuazione, che, con l’approvazione del decreto legislativo, da fonte di livello legislativo degraderanno a fonte regolamentare, con uno stratagemma giuridico che servirebbe, a detta dei redattori, a far sì che il codice con l’approvazione sia auto applicativo senza dovere attendere l’emanazione del regolamento di esecuzione e di attuazione, cui il vigente codice affida, con la novella del 2019, il compito di sostituire le Linee guida dell’ANAC “vincolanti” (c.d. soft low), previste nell’originario D.Lgs. 50 per integrare o completare il contenuto normativo dei contratti pubblici, ai fini della sua attuazione, ora ferme al 2019.
La qualità delle leggi e il problema della formazione– Il problema non è tanto “tagliare la metà del testo”, come auspica il Ministro avvalendosi dell’abusato lemma “sburocratizzazione”, ma soprattutto (e come sempre) quello di migliorare la qualità del drafting e di verificare l’effettivo impatto della nuova disciplina, problema cui l’attuale VIR non sembra in grado di dare una risposta efficace.
Sotto l’aspetto operativo, un altro importante problema riguarda la formazione, indispensabile ai fini della crescita professionale del RUP e degli altri operatori, tecnici e amministrativi, chiamati a organizzare, coordinare e svolgere le fasi del complesso processo contrattuale. Non sembra adeguata, però, la risposta a questo problema contenuta nell’art. 15, comma 7, del nuovo codice, che grava le stazioni appaltanti di un altro piano, da elaborare unitamente alla programmazione dei beni, servizi e lavori, stabilendo che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano il connesso piano di formazione specialistica per il proprio personale. Le attività formative del piano sono considerate per la valutazione delle prestazioni dei dipendenti e per le progressioni economiche e di carriera secondo le modalità indicate dalla contrattazione collettiva“.
La formazione richiede investimenti in risorse, mezzi, organizzazione e tempo, senza spazio per improvvisazioni o iniziative non tarate su una seria rilevazione e analisi degli effettivi bisogni.
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