Nel corso degli ultimi anni è stato frequente il ricorso, da parte delle imprese partecipanti alle gare finalizzate all’affidamento di pubblici contratti, allo strumento del c.d. contratto a progetto, vale a dire il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa di natura autonoma traente origine dall’art. 61 del D.Lgs. n. 276/2003, recante «Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30», strumento, questo, il cui impiego non determina l’instaurazione di un vincolo di subordinazione tra datore di lavoro e lavoratore.
In particolare, nell’ambito delle gare pubbliche, a fronte di offerte – in cui era contemplato l’utilizzo di contratti a progetto – recanti valori economici considerevolmente più bassi rispetto a quelli rinvenibili in proposte avanzate da concorrenti che avevano inteso fare esclusivo ricorso a contratti di natura subordinata, le stazioni appaltanti si sono viste soventemente costrette ad avviare specifici procedimenti di verifica delle proposte prime graduate (e sospettate di anomalia), e ciò conformemente a quanto stabilito dall’art. 86 («Criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse»), c. 3 bis del D.Lgs. n. 163/2006 [1], verifiche, queste, che gli enti affidanti erano tenuti ad operare nel rispetto di quanto previsto dall’art. 87 («Criteri di verifica delle offerte anormalmente basse»), c. 3 del medesimo D.Lgs. n. 163/2006, a termini del quale è prescritto che «Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge».
Ebbene, dalle pronunce derivanti dal contenzioso che ha tratto origine dalle valutazioni finali compiute dalle stazioni appaltanti in ordine alla congruità (o non) delle diverse proposte in concreto esaminate, sono emerse negli ultimi anni statuizioni di rilevante interesse.
In particolare, va segnalato che con una prima pronuncia più risalente, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto compatibile – rispetto alla disciplina concernente il sistema di formulazione e di valutazione delle diverse offerte recata dal D.Lgs. n. 163/2006 – l’utilizzo di contratti a progetto, avendo nell’occasione affermato l’organo giudicante che «non può essere ritenuta anomala l’offerta dell’aggiudicataria di un pubblico incanto che, ancorché consideri un costo del lavoro inferiore alla tabella ministeriale, legittimamente non preveda alcune voci di spesa previste dalla tabella, relative a oneri pensionistici e indennità, non dovute o dovute in ammontare inferiore al proprio personale, né può essere in sé considerato illegittimo l’impiego di lavoratori con contratto a progetto, essendo ammissibili in ogni caso rapporti di lavoro autonomo fondati sulla collaborazione coordinata e continuativa, genus cui detto tipo di rapporto appartiene» (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, 23 febbraio 2006, n. 144).
Tale prospettazione è stata in seguito confermata dai giudici amministrativi che, ritenendo congrua un’offerta in cui si faceva espresso riferimento all’utilizzo di lavoratori a progetto, hanno giustificato il gap economico intercorrente fra tale proposta e quelle (per così dire, maggiormente “rituali”) avanzate dagli altri concorrenti, e ciò sulla scorta del fatto che il contratto a progetto non contempla il riconoscimento di alcune indennità al contrario prescritte in caso di contratto subordinato [2].
E’, questa, una tesi a cui ha sostanzialmente aderito anche il Consiglio di Stato, secondo cui «ai lavoratori autonomi, quali quelli a progetto, non sono applicabili né direttamente né indirettamente i contratti collettivi che disciplinano il lavoro subordinato, né è loro applicabile il principio costituzionale di retribuzione sufficiente, che riguarda esclusivamente il lavoro subordinato, sicché il lavoro a progetto risulta esclusivamente disciplinato dalle norme dettate dal codice civile in materia di lavoro autonomo e dalle norme speciali di cui al D. Lgs. n. 276 del 2003, che prevedono che, fatta salva la applicazione di accordi collettivi più favorevoli, il compenso corrisposto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e debba tenere conto dei compensi normalmente erogati per analoghe prestazioni di lavoro autonomo» (Cons. St., sez. V, 25 novembre 2010, n. 8229).
Peraltro, il medesimo Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che non risulta ammissibile la formulazione di un’offerta avanzata nell’ambito di una gara pubblica volta a contemplare, in caso di aggiudicazione, lo svolgimento dell’intero appalto da parte di lavoratori “a progetto”: è stato in proposito affermato che «In ordine al prospettato utilizzo di contratti a progetto, si osserva che, ai sensi degli artt. 61 e 69 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, è elemento indispensabile per la validità del contratto in questione l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, ossia di una precisa attività, temporalmente e funzionalmente delimitata, alla quale inerisca un determinato risultato finale e che si rapporti con l’organizzazione aziendale in cui si inserisca; attività che, ovviamente, non può identificarsi con tale organizzazione, sostituendola ed esaurendola, bensì se ne deve distinguere in modo che, eliminata la collaborazione, residui comunque un’organizzazione aziendale. Ne deriva che non può esservi una struttura aziendale interamente composta, come nella specie, da soli collaboratori a progetto» (Cons. St., sez. V, 17 settembre 2008, n. 4420).
Ebbene, nel quadro interpretativo sopra delineato, si è recentemente inserita la c.d. riforma del lavoro Fornero (trattasi, più precisamente, della L. n. 92/2012, che ha preso il nome dal relativo Ministro competente), che, nel modificare il contenuto dell’art. 61 del D.Lgs. n. 276/2003 [3], ha di fatto limitato il ricorso all’istituto del contratto a progetto in relazione a numerose tipologie di attività.
In tale prospettiva, con circolare n. 29/2012 dell’11 dicembre 2012, avente ad oggetto «L. n. 92/2012 – collaborazione coordinata e continuativa a progetto – indicazioni operative per il personale ispettivo», il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dopo aver delineato le caratteristiche e le peculiarità dell’istituto in esame, per come emergenti dalla nuova formulazione del citato art. 61 del D.Lgs. n. 276/2003, ha operato un’elencazione di attività ritenute «difficilmente riconducibili» a specifici progetti, e che, come tali, devono essere necessariamente riportate – ad avviso del Ministero – «nell’alveo della subordinazione».
In particolare, va segnalato che alcune delle prestazioni considerate “non compatibili” con i contratti a progetto interessano potenziali contratti di appalto riconducibili sia ai settori ordinari sia a quelli speciali di cui al D.Lgs. n. 163/2006, quali, fra gli altri, quelli riguardanti «gli addetti alla distribuzione di bollette; gli addetti alle pulizie; i letturisti di contatori; i manutentori; i muratori e le qualifiche operaie nell’edilizia».
Sono, queste, indicazioni operative di cui le stazioni appaltanti dovranno oggi necessariamente tener conto nell’ambito delle verifiche in ordine alla congruità delle diverse offerte sospettate di anomalia e contemplanti l’utilizzo di lavoratori a progetto, indicazioni, queste, che combinate ai principi desumibili dai pronunciamenti giurisprudenziali che hanno affrontato l’argomento, risultano in grado di esattamente perimetrare i limiti entro cui viene oggi considerato ammesso, nelle procedure di gara, il ricorso all’istituto di cui trattasi, e ciò allo scopo di garantire un più effettivo rispetto del principio di par condicio fra i concorrenti che aspirano all’assegnazione di un pubblico contratto.
Giorgio Lezzi
[1] Secondo cui «Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico, sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione».
[2] In particolare, è stato chiarito che «il costo medio annuo per un lavoratore [dipendente] […] si compone di voci quali anzianità, terzo elemento, festività retribuite, tredicesima, quattordicesima, TFR e rivalutazione, non incluse nel costo di un lavoratore a progetto che, per definizione, è un prestatore d’opera vincolato ad una obbligazione di risultati (il progetto) completamente indipendente sia dalla durata del rapporto […] sia dal numero di ore lavorate, che può essere modulato in relazione alle esigenze funzionali cui è collegato» (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 16 giugno 2010, n. 1885).
[3] Il quale attualmente prevede che «Ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, nonché delle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center ‘outbound’ per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».