La direttiva 2014/24/UE deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.

CGUE, sez. V, sentenza 26 settembre 2019, causa C‑63-18, Presidente Lycourgos, Avvocato generale Campos Sánchez-Bordona

A margine

In seguito all’esclusione di un’impresa nell’ambito di una gara sopra soglia per l’affidamento di lavori per l’ampliamento di una corsia autostradale. per violazione del limite del 30% in materia di subappalto previsto dall’articolo 105, c. 2, del Codice dei contratti pubblici, il Tar Lombardia, con ordinanza 148/2018, sospende il giudizio e rinvia alla CGUE il seguente quesito:

«Se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 [TFUE], l’articolo 71 della direttiva 2014/24, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 50/2016, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture».

Il Tar ricorda che il Consiglio di Stato si è pronunciato nel senso che il legislatore nazionale può legittimamente porre, in materia di subappalto, limiti di maggior rigore rispetto a quelli previsti dalle pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione, laddove essi siano giustificati, da un lato, alla luce dei principi di sostenibilità sociale e, dall’altro, in considerazione dei valori declinati dall’articolo 36 TFUE, tra cui compaiono l’ordine e la sicurezza pubblici. Inoltre, secondo il Consiglio di Stato, la giurisprudenza della Corte riguardante i limiti quantitativi al subappalto relativa alla direttiva 2004/18/CE non si applica in relazione alla direttiva 2014/24.

Tuttavia, il Tar osserva anche che, al pari della direttiva 2004/17/CE, la direttiva 2014/24 non prevede limiti quantitativi al subappalto.

Secondo il giudice del rinvio, la previsione di un limite generale del 30% per il subappalto, con riferimento all’importo complessivo del contratto, può rendere più difficoltoso l’accesso delle imprese, in particolar modo di quelle di piccole e medie dimensioni, agli appalti pubblici. Tale limite è fissato in maniera astratta in una determinata percentuale del contratto, a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui trattasi.

La sentenza – La Corte ricorda che la direttiva 2014/24 ha l’obiettivo di garantire il rispetto, nell’aggiudicazione degli appalti, della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, e dei principi che ne derivano, in particolare la parità di trattamento, la non discriminazione, la proporzionalità e la trasparenza, nonché di garantire che l’aggiudicazione degli appalti pubblici sia aperta alla concorrenza.

A tal fine, la direttiva prevede espressamente, al suo articolo 63, paragrafo 1, la possibilità per gli offerenti di fare affidamento, a determinate condizioni, sulle capacità di altri soggetti, per soddisfare determinati criteri di selezione degli operatori economici.

Inoltre, l’articolo 71, che riguarda specificamente il subappalto, al suo paragrafo 2 dispone che l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere o può essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all’offerente di indicare, nella sua offerta, le eventuali parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti.

Secondo una giurisprudenza costante, e come risulta dal considerando 78 della direttiva 2014/24, è interesse dell’Unione che l’apertura di un bando di gara alla concorrenza sia la più ampia possibile e il ricorso al subappalto, che può favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce al perseguimento di tale obiettivo.

Inoltre, al punto 35 della sentenza del 14 luglio 2016, Wrocław – Miasto na prawach powiatu (C‑406/14, EU:C:2016:562), che riguardava l’interpretazione della direttiva 2004/18/CE, la Corte ha stabilito che una clausola del capitolato d’oneri di un appalto pubblico di lavori che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, è incompatibile con tale direttiva.

L’articolo 71 della direttiva 2014/24 pur riprendendo il tenore dell’articolo 25 della direttiva 2004/18, elenca anche talune norme supplementari in materia di subappalto prevedendo la possibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di chiedere o di essere obbligata dallo Stato membro a chiedere all’offerente di informarla sulle intenzioni di quest’ultimo in materia di subappalto.

Inoltre, l’articolo 71 dispone che le amministrazioni aggiudicatrici possono verificare o essere obbligate dagli Stati membri a verificare se sussistano motivi di esclusione dei subappaltatori a norma dell’articolo 57 di tale direttiva relativi in particolare alla partecipazione a un’organizzazione criminale, alla corruzione o alla frode.

Tuttavia, dalla volontà del legislatore dell’Unione di disciplinare in maniera più specifica il subappalto, non si può dedurre che gli Stati membri dispongano della facoltà di limitare tale ricorso a una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale, al pari del limite imposto dalla normativa italiana.

A tale riguardo, il governo italiano sostiene che la limitazione del ricorso al subappalto è giustificata alla luce delle particolari circostanze presenti in Italia, dove il subappalto ha da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di intenti criminosi.

Limitando la parte dell’appalto che può essere subappaltata, la normativa nazionale renderebbe il coinvolgimento nelle commesse pubbliche meno appetibile per le associazioni criminali, il che consentirebbe di prevenire il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa nelle commesse pubbliche e di tutelare così l’ordine pubblico.

Ad avviso della Corte, se è vero che i considerando 41 e 105 della direttiva 2014/24, nonché l’articolo 71, paragrafo 7, indicano espressamente che gli Stati membri rimangono liberi di prevedere, nel proprio diritto interno, disposizioni più rigorose rispetto a quelle previste dalla predetta direttiva in materia di subappalto, resta la condizione che tali disposizioni devono essere compatibili con il diritto dell’Unione.

Infatti, il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto dell’obbligo summenzionato.

La Corte ha già dichiarato che il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici

Tuttavia, anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo vietando in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori.

Un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore (v., per analogia, sentenza del 5 aprile 2017, Borta, C‑298/15, EU:C:2017:266, punti 54 e 55).

Misure meno restrittive sarebbero idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano. D’altronde, come indica il Tar, il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso.

Pertanto, una restrizione al ricorso del subappalto come quella di cui trattasi nel procedimento principale non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24.

Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento dedotto dal governo italiano, secondo cui i controlli di verifica che l’amministrazione aggiudicatrice deve effettuare in forza del diritto nazionale sarebbero, per le modalità adottate, inefficaci nulla togliendo al carattere restrittivo della misura nazionale di cui al procedimento principale.

Pertanto la Corte dichiara che la direttiva 2014/24 dev’essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.

di Simonetta Fabris


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