La disciplina del ritardo nei pagamenti nel contratto di appalto di lavori pubblici è contenuta negli artt. 133, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 e negli artt. 142, 143 e 144 del d.P.R. n. 207/2010.

Sono molto frequenti nei contratti di appalto o nei capitolati predisposti dalle stazioni appaltanti, clausole mirate a depotenziare la rigorosa disciplina delineata in queste norme nel tentativo di eludere l’obbligo di corrispondere gli interessi in caso di pagamenti eseguiti in ritardo.

In particolare, quando il finanziamento deve essere erogato da un soggetto terzo, capita di leggere che il termine di trenta giorni per  disporre i pagamenti in acconto decorrerà dalla data dell’effettivo trasferimento dei fondi, oppure che è esclusa la maturazione degli interessi a favore dell’appaltatore allorquando il ritardo nei pagamenti sia dovuto a ritardi da parte dell’ente finanziatore nell’erogazione dei fondi a favore della stazione appaltante.

In sostanza, si tratta di clausole tendenti ad addossare all’appaltatore il rischio del ritardato pagamento dovuto a negligenza o lungaggini da parte di un soggetto terzo, il finanziatore, nell’adempimento del proprio obbligo di erogare i fondi alla stazione appaltante.

Tuttavia, si tratta di clausole del tutto nulle.

Sul piano del diritto positivo un’indicazione piuttosto chiara è contenuta nel quarto comma dell’art. 143 del Regolamento, secondo il quale “i capitolati speciali e i contratti possono stabilire termini inferiori”, rispetto a quelli precisati  nei commi precedenti per il pagamento delle rate d’acconto e di saldo, dal che si desume, a contrario, che non possono essere previsti in via pattizia termini di pagamento superiori.

Nessun dubbio circa l’inderogabilità della disciplina contenuta nell’art. 29 del Capitolato Generale, oggi  integralmente confluita nel più volte citato art. 143 del Regolamento, ha la dottrina che si è occupata della questione.

Mazzone e Loria nel loro “Manuale di diritto dei lavori pubblici” – Jandi Sapi Editori, ed. 2000, si domandano “se l’amministrazione possa legittimamente inserire nel Capitolato Speciale di appalto posto a base di gara, destinato a divenire a tutti gli effetti documento contrattuale, una clausola che escluda la maturazione di interessi a favore dell’appaltatore per effetto di ritardi da parte dell’ente finanziatore negli accrediti all’amministrazione appaltante delle rate di finanziamento” e concludono “che disposizioni di tale genere siano nulle perché contrastanti con la disciplina speciale dei lavori pubblici, la cui portata è cogente”. Dunque “deroghe contrattuali a norme essenziali volte a garantire certezza di rapporti in vista di un interesse superiore – quali sono quelle concernenti la disciplina degli interessi per ritardato pagamento – sono da ritenersi nulle perché lesive di principi ed esigenze inderogabili” (op. citata, pp. 331 – 332).

Il medesimo orientamento è stato anche seguito dalla giurisprudenza arbitrale.

Così, un lodo del 3 luglio 2000, sancisce che “in caso di ritardati pagamenti, la mancanza di risorse finanziarie per fatto dell’ente finanziatore non può mai essere evocata quale esimente dell’adempimento della relativa obbligazione, nemmeno quando siano state stipulate clausole contrattuali che correlano espressamente i pagamenti verso l’appaltatore ai corrispettivi accrediti in favore dell’amministrazione committente da parte dell’ente finanziatore” e il lodo n. 89 del 23 ottobre 1997 aveva chiarito che “la committente è obbligata alla tempestiva erogazione dei corrispettivi di acconto … né può considerarsi ricondotto a terzi il ritardo derivante da altri organi dell’amministrazione, poiché gli altri organi, non importa se di amministrazione attiva, consultiva o di controllo, non possono considerarsi soggetti giuridicamente diversi dalla stessa Pubblica Amministrazione”. Concetti  espressi anche nel lodo n. 43 del 12 maggio 1998.

Vale a dire che la P.A., nelle sue varie articolazioni, va considerata come un organismo unitario e, in quanto tale, nei rapporti con i terzi i vari enti che la compongono non possono vicendevolmente attribuirsi la responsabilità.

Questo, in effetti, sembra essere il punto essenziale: altro sono i rapporti tra i diversi enti pubblici in forza dei quali vengono assunti obblighi di tempestiva erogazione di finanziamenti, altro è il contratto di appalto, rispetto al quale i primi sono res inter alios.

E nel contratto di appalto alcune clausole, tra cui quelle in argomento relative alla maturazione e alla corresponsione degli interessi, mutuate da disposizioni legislative e regolamentari, non sono derogabili per volontà delle parti perché finalizzate alla tutela di un interesse superiore, che senz’altro può essere ricondotto ai principi costituzionali di libertà dell’iniziativa economica, da un lato, e di buon andamento dell’azione amministrativa, dall’altro.

Resta inteso che nei rapporti con il finanziatore inadempiente, la stazione appaltante creditrice ben potrà ricorrere a tutti gli strumenti offerti dall’ordinamento giuridico, anche sotto il profilo risarcitorio, per tutelare i propri interessi ed i propri diritti.

Ed è anzi consigliabile lo faccia, anche per evitare il verificarsi di danni erariali e della conseguente responsabilità contabile.

Nella giurisprudenza della Cassazione, una sentenza del 1998 della I Sezione, n. 6043, identificava nella clausola contrattuale unilateralmente predisposta dalla stazione appaltante e volta ad escludere la maturazione di interessi in caso di ritardato pagamento, una condizione generale di contratto limitativa della responsabilità dell’Amministrazione da ricondursi pertanto alla disciplina contenuta nell’art. 1341 C.C., e quindi efficace se espressamente approvata per iscritto o contenuta in un atto pubblico notarile, ancorché vessatoria.

A parte questa pronuncia, ormai risalente nel tempo e sostanzialmente isolata, la giurisprudenza più recente è senz’altro nel senso della nullità delle clausole in questione.

Emblematica la sentenza n. 19040/2010, secondo la quale “è nulla la clausola di contratto che, dilazionando il pagamento degli stati di avanzamento dei lavori al momento in cui siano accreditati all’ente appaltante i finanziamenti a carico di altro ente, escluda la corresponsione degli interessi moratori fino alla data stessa”.

Del tema si è occupata anche l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici nel parere n. 50  del 21 marzo 2012.

La situazione esaminata dall’Autorità riguardava precisamente una clausola contenuta in un bando di gara, secondo la quale “l’appaltatore si assoggetta agli eventuali ritardi che potranno sopravvenire nei pagamenti a causa dei ritardi di erogazione delle somme da parte dell’Ente finanziatore e di conseguenza rinuncia ad ogni richiesta di interessi per tali ritardi. L’appaltatore dichiara di aver tenuto conto di questi eventuali ritardi nella formulazione dell’offerta economica”.

L’Autorità si esprime nel senso dell’illegittimità della clausola in parola, definita come “gravemente iniqua per l’appaltatore, che si trova ad essere esposto a rilevanti oneri finanziarie organizzativi” e sul quale, in buona sostanza, viene trasferito il rischio dell’insolvenza della stazione appaltante determinato da un’inadempienza dell’ente finanziatore.

Il profilo che va messo in rilievo è che, nel caso esaminato dall’Autorità  la clausola era contenuta nel bando di gara – prima ancora che nel capitolato d’appalto – e che quindi ad ogni operatore economico interessato alla partecipazione era richiesto di assoggettarvisi, pena, è da supporre, l’esclusione dalla gara.

Addirittura, la presa d’atto della disciplina dei pagamenti imposta dalla stazione appaltante, veniva espressamente identificata quale elemento determinante nella formulazione dell’offerta economica, laddove si richiedeva che “l’appaltatore dichiarasse di aver tenuto conto di questi eventuali ritardi nella formulazione dell’offerta”.

Il problema, allora, non è più soltanto quello di una clausola contrattuale alla quale si debba eventualmente sostituire la disciplina prevista ex lege, secondo il fenomeno dell’inserzione automatica di clausole ex art. 1329 C.C. – già espressamente previsto al secondo comma dell’art. 1 del Decreto n. 145/2000, Capitolato Generale d’appalto – ma quello di una procedura di gara viziata ab origine e come tale soggetta ad essere annullata prima ancora che si concluda con l’aggiudicazione.

Non si tratta cioè solo del possibile contenzioso che possa insorgere tra stazione appaltante e appaltatore nella fase esecutiva del contratto, ma di un profilo di illegittimità della stessa procedura di gara, condizionata nella sua fase essenziale, quella della formulazione dell’offerta, dalla acquiescenza richiesta all’offerente di una clausola illegittima.

L’Autorità stessa coglie perfettamente questo aspetto allorquando osserva che “non si ritiene che la clausola oggetto di valutazione possa essere contestata solo dall’impresa aggiudicataria all’esito della procedura di gara”, ma, viene da concludere, da qualunque soggetto interessato alla partecipazione.

Va anche evidenziato che se la circostanza che la clausola in questione, nel caso sottoposto all’esame dell’Autorità, fosse contenuta nel bando di gara e fosse richiesta un’esplicita accettazione da parte degli offerenti, rende senz’altro la fattispecie particolarmente eclatante, tuttavia la sostanza non muta di molto neppure quando clausole del genere sono “nascoste” nei capitolati o negli schemi di contratto.

Questo anzitutto perché generalmente viene richiesto all’offerente di prendere atto ed accettare, in generale, tutto quanto contenuto in questi atti, secondo lo schema tipico del contratto per adesione, e quindi l’operatore economico attento ben può sollevare comunque la questione.

E’ poi perché, anche ammesso che nessuno si dolga nel corso della gara, il massimo che si potrà ottenere è di rinviare il contenzioso alla fase esecutiva del contratto il che, sotto il profilo pratico e delle responsabilità per gli operatori della stazione appaltante, forse è perfino peggio.

Per completezza di esposizione, merita infine di essere menzionato il D.Lgs. n. 231/2002, di recepimento della Direttiva 35/2000/CEE, relativa alla “lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

La disciplina comunitaria, per chiarissima (anche se non pacifica, in dottrina) interpretazione espressa dall’Autorità di Vigilanza nella determinazione n. 5/2002 non si applica agli appalti di lavori ma ai soli contratti che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi contro pagamento di un prezzo, e quindi soltanto agli appalti di forniture e servizi, e pertanto non ha rilievo immediato rispetto all’argomento trattato in questa nota.


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