La Corte di Giustizia europea, Sez. III, con la sentenza 29 novembre 2012, si pronuncia ancora sulle condizioni necessarie per ritenere legittimo l’affidamento diretto, da parte di due o più Enti locali, di un appalto di servizi ad una società mista, senza l’attivazione di una procedura di aggiudicazione.

Il fatto, oggetto della pronuncia, riguarda il caso di due Comuni, i quali acquistano un’azione ciascuno di una società pubblica, operante nel settore della gestione dei rifiuti urbani, e partecipata per la quasi totalità da un altro Comune.

I due nuovi Comuni azionisti procedono, insieme con altri Comuni interessati, alla sottoscrizione di un patto parasociale, il quale prevede il loro diritto di essere consultati per la nomina di un componente del collegio sindacale e per la designazione, in accordo con gli altri Comuni partecipanti al patto, di un consigliere di amministrazione. Pertanto, in tale contesto, i due Comuni ritengono che esistano i presupposti per l’affidamento diretto del servizio di interesse pubblico in questione, dal momento che la società è controllata da loro congiuntamente.

Diversamente, un soggetto concorrente, operatore nel settore della gestione dei rifiuti urbani, contesta la sussistenza dei presupposti per procedere all’affidamento diretto e propone ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

In tale procedimento il Consiglio di Stato, chiamato ad esprimere il proprio parere, dubita che, nel caso di specie, l’acquisizione di una sola azione e la sottoscrizione di un patto parasociale di tale modesta sostanza possa comportare un controllo congiunto effettivo sulla società pubblica e, di conseguenza, possa soddisfare completamente il criterio del controllo analogo.

Secondo la giurisprudenza comunitaria, le condizioni perché un’Amministrazione aggiudicatrice possa ricorrere legittimamente all’affidamento diretto, prescindendo dall’espletamento di procedure concorsuali, sono: l’esercizio sull’entità affidataria di un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi e lo svolgimento da parte dell’affidataria della porzione più importante della propria attività con l’Amministrazione o le Amministrazioni aggiudicatrici che la controllano.

L’affidamento in house è un modello pienamente conforme al diritto comunitario, ed è proprio il controllo analogo l’elemento di identificazione, tra l’Amministrazione aggiudicatrice e la società affidataria, che rende compatibile con le regole comunitarie di tutela della concorrenza l’affidamento diretto senza l’adozione delle procedure ad evidenza pubblica.

L’in house providing non costituisce un principio generale del diritto comunitario, prevalente sulla normativa interna, ma è un principio derogatorio che consente, e non obbliga, i legislatori nazionali a prevedere tale forma di affidamento.

La disciplina comunitaria è preordinata ad evitare che gli Stati membri possano operare nel settore degli appalti pubblici in modo da favorire le imprese nazionali, discriminando in questo modo quelle degli altri Paesi. Nel diritto interno, la concorrenza è preordinata a garantire un miglior livello qualitativo e quantitativo dei servizi pubblici nell’interesse degli utenti finali.

Nelle ipotesi in cui l’istituzione della società abbia come conseguenza quella di togliere mercato ai privati, la relativa disciplina deve essere attentamente vagliata alla luce della normativa comunitaria e nazionale, per impedire che la costituzione di società diventi un espediente utilizzato dagli enti pubblici per sottrarsi alle regole del confronto concorrenziale.

L’elemento essenziale e imprescindibile, per la sussistenza dei presupposti dell’in house, è la realizzazione e concretizzazione del controllo analogo.

Il rapporto di controllo analogo è perfezionato allorquando tra Amministrazione aggiudicatrice e società aggiudicataria sussista un controllo gestionale e finanziario stringente dell’Ente pubblico sull’Ente societario.

L’Amministrazione deve esercitare sulla società controllata un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, che non possiede alcuna autonomia decisionale in relazione agli atti di gestione e che, in concreto, costituisce parte della stessa Amministrazione, con la quale deve trovarsi in una condizione di dipendenza finanziaria ed organizzativa. L’Ente pubblico detentore del capitale deve poter esercitare un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società, in modo tale che siano sottoposte al vaglio preventivo dell’Ente affidante.

Il controllo analogo sulla società affidataria del servizio può ritenersi garantito dalla previsione espressa, nell’atto costitutivo e nello statuto della società, di stringenti poteri di controllo finanziario e gestionale da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice.

Secondo la giurisprudenza, le società a partecipazione pubblica regionale o locale possono essere destinatarie di affidamenti diretto, se sussiste il requisito del controllo analogo, quale elemento indispensabile della gestione in house, al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori. E, perciò, è necessario che si realizzi un “controllo strutturale”, che non può limitarsi agli aspetti formali relativi alla nomina degli organi societari ed al possesso della totalità del capitale azionario. Perché l’ingerenza sostanziale delle controllante si deve realizzare non sotto un profilo formale ma sostanziale, impedendo, di fatto, l’attuazione di politiche aziendali che, di fatto, incidano sulla concorrenza.

Il problema interpretativo, sottostante la pronuncia qui a commento, concerne la compatibilità del requisito del controllo analogo con la struttura associativa o consortile del soggetto affidatario, e le forme e le modalità in cui si deve manifestare detto controllo da parte delle Amministrazioni che costituiscono un Ente strumentale.

La Corte di Giustizia, Sez. III, con la decisione del 13 novembre 2008, causa C-324/07, si pronuncia sul quesito relativo alla possibilità di considerare controllo analogo anche il controllo esercitato congiuntamente da parte di più Amministrazioni socie. La Corte, dopo aver ricordato la sua giurisprudenza che impone che il controllo esercitato sull’Ente concessionario da parte dell’Amministrazione pubblica concedente sia analogo ma non identico in ogni elemento a quello che la medesima Amministrazione esercita sui propri servizi, precisa che l’importante è che il controllo esercitato sull’Ente concessionario sia effettivo, pur non risultando indispensabile che sia individuale.

Perciò, nel caso in cui più Amministrazioni abbiano costituito un Ente al quale affidare in concessione un servizio pubblico, il controllo delle Amministrazioni pubbliche sull’Ente può essere da loro esercitato congiuntamente e, in presenza di un organo collegiale, anche deliberando a maggioranza.

In seguito, con la sentenza 10 settembre 2009, causa C-573/07, la Corte di Giustizia europea ribadisce che se una Pubblica Amministrazione diventa socia di minoranza di una società per azioni a capitale interamente pubblico, al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo, che le Pubbliche Amministrazioni partecipanti esercitano, può essere qualificato come analogo al controllo che esse praticano sui propri servizi qualora esso sia esercitato congiuntamente.

La Corte comunitaria conclude nel senso che, fatta salva la verifica da parte del Giudice del rinvio in ordine all’operatività delle specifiche disposizioni statutarie, il controllo esercitato dagli Enti azionisti sulla società affidataria può essere considerato analogo a quello esercitato sui propri servizi nel caso in cui gli Enti, tramite organi statutari composti da loro rappresentanti, esercitino un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni importanti della società.

A questo punto, ammessa la sussistenza del controllo analogo congiunto, in base a determinate condizioni, rimane per il Giudice comunitario il compito di determinare quantitativamente il requisito del controlloanalogo congiunto.

In merito, la Corte di Giustizia europea, Grande Sezione, con la sentenza del 21 luglio 2005, causa C-231/03, statuisce, in merito alla misura della partecipazione alla società strumentale, che una partecipazione dello 0,97% è talmente modesta da non consentire ad un Comune di esercitare il controllo su un concessionario che gestisce un servizio pubblico.

Più recentemente, la Corte di Giustizia, Sez. II, con la sentenza 19 aprile 2007, causa C-295/05, afferma che, in talune circostanze, la condizione relativa al controllo esercitato dall’Amministrazione pubblica può essere soddisfatto anche nel caso in cui l’Amministrazione detenga una partecipazione esigua del capitale di un’impresa pubblica. Nel caso di specie il capitale sociale appartiene, per il 99%, allo Stato spagnolo e, per il restante 1%, a quattro Comunità autonome, ognuna delle quali in possesso di un’azione. E la Corte rigetta la tesi volta ad escludere la sussistenza del controllo analogo con riferimento agli appalti commissionati dalle Comunità autonome, poiché, sulla base della normativa spagnola, la società pubblica è obbligata ad eseguire gli incarichi ad essa affidati da tutte le Amministrazioni pubbliche, Comunità autonome incluse, e non ha la possibilità di negoziare il corrispettivo per le prestazioni.

Con questi presupposti, non si ravvisa alcun rapporto di natura contrattuale e, pertanto, la società non può considerarsi come un terzo rispetto alle Comunità autonome.

In definitiva, nella giurisprudenza comunitaria, manca una rigida definizione dei requisiti di ammissibilità dell’affidamento diretto in presenza di strutture associative o consortili e della conseguente necessità di ancorare la verifica della sussistenza di detti requisiti alla valutazione complessiva delle circostanze, in fatto e in diritto, pertinenti al singolo caso scrutinato, rifuggendo da soluzioni aprioristiche.

La questione fondamentale, pertanto, è la validità o meno della partecipazione simbolica di un Ente locale.

La questione pregiudiziale è “se il principio di irrilevanza della situazione del singolo Ente pubblico partecipante alla società strumentale si applichi anche nel caso in cui uno dei Comuni associati possegga una sola azione della società strumentale ed i patti parasociali intercorsi fra Enti pubblici non siano idonei a dare alcun controllo effettivo della società al Comune partecipante, sicché la partecipazione societaria corrisponda, di fatto, ad un contratto di prestazione di servizi“.

L’Avvocato Generale sostiene che “ai fini dell’eccezione in house, è in linea di principio irrilevante che la posizione di un Ente pubblico nel capitale della società strumentale, cui si intende affidare un servizio, sia minoritaria o maggioritaria. Diversamente, non sussiste il principio di irrilevanza della posizione dell’Ente pubblico nel controllo effettivo della società strumentale. In particolare, il ricorso all’eccezione in house non è possibile in una fattispecie in cui, da un lato, ciascuno degli Enti affidanti in questione sia titolare di un’unica azione della società strumentale e, dall’altro, i patti parasociali intercorsi fra Enti pubblici non conferiscano al Comune partecipante un controllo apprezzabile e proporzionato sulla società strumentale, circostanze queste che devono essere definitivamente acclarate dal Giudice nazionale”.

Con la sentenza in nota, la Corte di Giustizia ribadisce che l’Amministrazione aggiudicatrice deve essere in grado di esercitare sull’Ente strumentale un controllo strutturale, funzionale ed effettivo.

Il Giudice comunitario, pertanto, afferma che diverse Pubbliche Amministrazioni istituiscono un Ente in comune allo scopo di adempiere un servizio pubblico, e che non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale sulla società pubblica.

Tuttavia, il controllo esercitato sulla società non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell’Amministrazione che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale del soggetto in questione, in quanto, in caso contrario, perde di significato la nozione di controllo congiunto. Infatti, il requisito non risulta integrato nel caso in cui l’Ente aggiudicatrice abbia, nell’ambito di un Ente affidatario a cui partecipa unitamente ad altri Enti, una presenza puramente formale nella sua compagine o in un organo comune incaricato della direzione, tale da non garantirle la possibilità di partecipare effettivamente al controllo.

La Corte di Giustizia afferma che “quando più Amministrazioni aggiudicatrici istituiscono insieme un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’Amministrazione aderisce ad una società pubblica, la condizione enunciata dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui gli Enti locali, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità al diritto europeo, sono tenuti  ad esercitare congiuntamente sulla società un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna degli Enti partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi”.

Il Giudice comunitario, di conseguenza, statuisce che spetta al Giudice del rinvio verificare se la sottoscrizione di un patto parasociale, che conferisce agli Enti locali il diritto di essere consultati, per la nomina di un componente del collegio sindacale e la designazione di un consigliere di amministrazione, in accordo con gli altri Enti locali, sia idonea a consentire a tali Enti di contribuire effettivamente al controllo.

Pertanto, la Corte di Giustizia, oltre il principio del controllo analogo, decide di lasciare al Giudice di rinvio la valutazione complessiva delle circostanze pertinenti al caso scrutinato, perciò la valutazione della sussistenza del requisito quantitativo del controllo analogo congiunto.

L’affidamento diretto di attività di interesse generale va considerato come un modello organizzativo, nel senso di Amministrazione indiretta, per cui la gestione del servizio, sostanzialmente, resta in capo all’Amministrazione aggiudicatrice, attraverso un controllo assoluto sull’attività della società affidataria, la quale è istituzionalmente destinata in modo assorbente a operazioni in favore dell’Amministrazione.

In materia di appalti pubblici di servizi, in virtù anche della direttiva 2004/18/CE, l’Amministrazione aggiudicatrice che esercita su un’entità affidataria, giuridicamente distinta da essa, un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi, non ha l’obbligo di organizzare una procedura di aggiudicazione secondo le norme del diritto europeo, sussistendo i presupposti di applicabilità dell’affidamento diretto, essendo l’entità affidataria controllata congiuntamente da più Enti locali.

La partecipazione minoritaria, anche dell’1%, ad una società affidataria di un servizio, da parte di un Ente locale o comunque di un’Amministrazione, esclude che questa possa essere qualificata come in house, determinando che tale partecipazione sia svantaggiosa e controproducente rispetto ai reali intenti sottostanti il progetto di affidamento diretto, con tutte le ripercussioni di tipo economico e politico.

Perciò, rispetto al quadro complessivo, la giurisprudenza comunitaria contrasta il sistema nell’ambito del quale la classe politica opera una dilatazione dei propri confini attraverso l’uso della partecipazione azionaria, a spese del contribuente, con risultati prevalentemente di inefficienza produttiva, risultando contenitiva rispetto a tale insensata e costosa espansione pubblica.

Leggi anche il commento alla sentenza CGE 29 novembre 2012 di Stefania Fabris

Bruno Di Giacomo Russo*

* Docente di diritto costituzionale Milano-Bicocca – Presidente Aevv Energie

CGCE 29_11_2012


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