“L’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che prevede i “gravi illeciti professionali”, deve essere inteso nel senso che la pendenza e la non definitività del giudizio, relativa alla contestazione di una risoluzione contrattuale pronunciata nei confronti dell’impresa, non giustifica l’esclusione dalla gara.”
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 1955 del 27 aprile 2017
A margine
Il Consiglio di Stato chiarisce che l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti da una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, tra i quali … “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata”.
Ad avviso dei giudici, sulla base dell’interpretazione letterale della norma, ex art. 12 delle preleggi al c.c., si richiede che al provvedimento di risoluzione sia stata prestata acquiescenza o che lo stesso sia stato confermato in sede giurisdizionale. E questa conferma non può che essere data da una pronuncia di rigetto nel merito della relativa impugnazione divenuta inoppugnabile, come si evince dalla locuzione, ancorché atecnica, “all’esito di un giudizio”. A questo stesso riguardo è invece da ritenersi evidentemente insufficiente la definizione di un incidente di natura cautelare, come nella fattispecie sottoposta all’esame del Consiglio di Stato, con decisione avente funzione interinale e strumentale rispetto a quella di merito.
I giudici amministrativi hanno poi escluso che la questione di conformità del diritto nazionale a quello europeo prospettata dall’appellante possa essere apprezzata in senso favorevole. La causa di esclusione su cui si controverte ha infatti carattere facoltativo.
Tale conclusione trova conferma nell’art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE. Questa disposizione prevede infatti che le situazioni da esso elencate relative agli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici sono quelle in presenza delle quali le amministrazioni aggiudicatrici “possono escludere”, oppure “possono essere richieste dagli Stati membri”, in sede di recepimento della direttiva, “di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto” tali operatori. Quindi, la norma europea facoltizza gli Stati membri a prevedere quale causa di esclusione da procedure di affidamento di contratti pubblici, senza porre a carico degli stessi alcun vincolo. A fortiori deve ritenersi pertanto che non vi siano vincoli quanto alla definizione normativa della causa di esclusione in questione a livello nazionale.
Non giova neanche richiamare il considerando 101, laddove si fa riferimento alla possibilità di escludere dalla gara l’operatore economico in caso di “grave violazione dei doveri professionali”, dimostrata dall’amministrazione “con qualsiasi mezzo idoneo”, “prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori”. Quest’ultima previsione è infatti espressamente riferita ai motivi di esclusione “obbligatori”, ovvero a quelli previsti dall’art. 57 della direttiva, ai paragrafi 1 e 2, mentre nel caso di specie si verte nelle ipotesi contemplate dal paragrafo 4 della medesima disposizione.
Per essa vale dunque il rinvio a “qualsiasi mezzo idoneo”, che il legislatore nazionale nell’esercizio della sua discrezionalità rispetto ad un ambito del diritto dei contratti pubblici non vincolato a livello europeo può ritenere integrato solo in presenza di una decisione giurisdizionale definitiva, come avvenuto nel caso di specie con l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016.